La “lottizzazione” e il piano per blindare il patrimonio per i figli: «il programma criminoso» dei Piromalli a Gioia Tauro
L’acquisizione di immobili con il meccanismo delle intestazioni fittizie. Il modus operandi: una volta incamerato il denaro «glieli deve tornare perché il terreno è il nostro»

REGGIO CALABRIA Un programma criminoso nel quale rientrava l’ampliamento del patrimonio immobiliare in capo agli esponenti apicali del sodalizio. Primo, tra tutti, Giuseppe “Pino” Piromalli, il boss conosciuto da tutti come “Facciazza” che a Gioia Tauro ha imposto regole mafiose che non sarebbero state scalfite dai 20 anni trascorsi al 41 bis. Evidenze emerse attraverso l’inchiesta “Res Tauro” della Dda di Reggio Calabria. Sono 26 le persone destinatarie di misure cautelari (22 in carcere, 4 ai domiciliari), indagate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione illegale di armi e munizioni, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso e reati in materia di armi.
Le indagini hanno permesso di documentare «conflitti e dissapori» all’interno del clan. In primo piano le figure dei fratelli Piromalli Giuseppe (cl. 1945 “facciazza”), Gioacchino (cl. 1934) e Antonio (cl. 1939), cui è contestata la direzione strategico-operativa della cosca e delle connesse attività delittuose. Pino Piromalli, dopo 22 anni di 41bis era «rientrato prepotentemente sulla scena», all’indomani della sua scarcerazione il 10 maggio 2021, riprendendo le redini della cosca, ridefinendo i ruoli e compiti degli associati, riaffermando il suo potere sul territorio attraverso una costante pressione estorsiva ai danni di imprenditori ed operatori commerciali, attraverso l’alterazione delle aste giudiziarie mediante l’inquinamento delle relative procedure di vendita, al fine di acquisire beni d’interesse della cosca stessa, di rientrare in possesso di beni già confiscati, oppure, di ricevere denaro e/o altre utilità da terzi intenzionati ad aggiudicarsi la procedura pubblica.
Il piano per l‘ampliamento del patrimonio immobiliare del clan
Le evidenze relative al piano per l’ampliamento del patrimonio immobiliare del clan, come emerge dalle carte dell’inchiesta, trova riscontro nelle vicende relative ai piani di “lottizzazione” che hanno interessato, già prima della carcerazione del boss, il territorio di Gioia Tauro, ricostruiti dalla polizia giudiziaria. Al di là degli enormi possedimenti terrieri agricoli nella disponibilità di Piromalli – ricostruiscono gli investigatori – già in periodo antecedente alla sua carcerazione e che, nell’attualità, sono stati oggetto di una magistrale opera di riqualificazione attraverso il reimpiego dei proventi estorsivi, si è appurato come il boss, insieme ai suoi fratelli, abbia sfruttato la propria leadership mafiosa per accaparrarsi appezzamenti edificabili. «Una vorace azione di acquisizione di immobili» che adesso doveva fare i conti con gli eredi di coloro che erano stati designati, attraverso il meccanismo delle intestazioni fittizie, quali titolari formali del patrimonio immobiliare e che, nelle more degli oltre venti anni di detenzione del boss, erano deceduti. A questa esigenza – evidenzia l’inchiesta – si frapponeva quella di «ampliare il proprio asset patrimoniale, distribuendo le risorse tra i figli, attraverso meccanismi che avrebbero dovuto garantire la blindatura da possibili aggressioni da parte degli inquirenti».
Il modu operandi
Nell’ambito di un un episodio in particolare, Piromalli spiegava il modus operandi già utilizzato in passato: ossia individuare una figura di fiducia («i cristiani che se lo devono comprare intestare e comprare») che avrebbe dovuto acquistare fittiziamente i lotti di interesse, utilizzando i «soldi… glieli danno e ce li tornano». L’intestatario fittizio, dunque, «dà l’assegno» al venditore e questi, una volta incamerato il denaro «glieli deve tornare perché “il terreno è il nostro”». Acquisizioni immobiliari che facevano emergere la presa di posizione di Pino Piromalli, il quale – ricostruiscono gli investigatori – in un caso specifico, all’esito della conversazione con la figlia, stabiliva con fermezza che aveva diritto ad ulteriori tre o quattro lotti di terreno lamentando il fatto che i suoi fratelli Antonio e Gioacchino avevano realizzato grossi immobili per i propri figli («Ora ne dobbiamo avere almeno non… non dico assai, per dire, uno da questa parte, due di là… ne dobbiamo avere qualche tre, quattro lotti….»).
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