Il Cosenza calcio e l’arte di arrangiarsi. Crotone, altro che outsider
Lupi ko e ridimensionati. Ma a fare rumore è ancora l’apatia che regna nell’ambiente rossoblù. Il cambio di passo degli Squali: Longo ha plasmato una squadra solida, affamata e consapevole

Con il Catanzaro a riposo per gli impegni della Nazionale di Gattuso, i riflettori nell’ultimo fine settimana sono stati puntati sulla serie C. Il Cosenza è crollato a sorpresa in casa contro l’Atalanta Under 23, mentre il Crotone ha calato un nuovo tris, confermandosi competitivo.
Il Cosenza calcio e l’arte di arrangiarsi
Cosenza, ottobre. Mentre l’autunno veste le foglie cittadine di malinconia, il Cosenza calcio si scopre ancora una volta fragile, disilluso, disabitato. Non solo nel gioco, anche nel cuore pulsante di una passione che – colpevolmente o rassegnatamente – si è fatta assenza.
Contro l’Atalanta Under 23, formazione imbottita di baby con risultati da retrocessione, i rossoblù dovevano fare di più. Dovevano. Ma non l’hanno fatto. Non ci sono riusciti. Perché tra il dovere e il potere, nel calcio come nella vita, passa il sottile confine dell’organizzazione, della progettualità, del rispetto per l’intelligenza altrui. E allora no, il Cosenza non poteva fare molto di più. Non ieri, non così.
A dispetto di una formazione titolare da primi tre posti, la rosa resta corta. Anemica. Inadeguata per chi proclama (?) l’immediato ritorno in B. Un sogno che già ad agosto sembrava stinto e oggi appare, al netto delle impennate di orgoglio e delle strisce vincenti, più lontano di quanto racconti la classifica. Servivano rinforzi veri. È arrivato Beretta, attaccante da riattivare con l’olio 31 e un mese di personal trainer. Troppo poco. Troppo tardi. Troppo tutto. A pagarne il prezzo sono Buscè e i suoi ragazzi. Bravi, generosi, silenziosi. Gli unici a crederci davvero. Gli unici a non mollare, neppure quando devono allenarsi a Fuscaldo, tra una curva e un tornante, perché il prato del Marulla è momentaneamente inagibile. Neanche quando devono arrangiarsi. Letteralmente. «L’arte di arrangiarsi – ha detto Buscè con un sorriso amaro – evidenzia l’umiltà del gruppo». Vero. Ma anche l’improvvisazione. E la solitudine. E una malinconia che si taglia a fette come la nebbia sulla Statale 107.
Il problema non è (solo) tecnico. È ambientale. È culturale. Il Cosenza è solo. Solo con i suoi calciatori che corrono e con i suoi tifosi che non vanno più allo stadio. Non è colpa delle curve, che ci sono sempre anche quando non si vedono. Non è colpa di una città intera che ha smesso di crederci. Di fidarsi. Di investire il proprio tempo domenicale – e il proprio cuore – in una società che continua a promettere rilanci futuri mentre inciampa nel presente.
Il San Vito-Marulla è un deserto. Mille spettatori scarsi, a voler essere generosi e ossequiosi delle comunicazioni societarie. La sala stampa è un cimitero di sedie vuote. I giornalisti disertano, come gesto estremo di protesta. E non è solo una questione di risultati. È una questione di rispetto. Di reciprocità. Di visione. Il Cosenza dice di voler coinvolgere istituzioni, scuole, associazioni. Ma intanto non riesce nemmeno a coinvolgere sé stesso. E così, mentre si parla di progetti da esportare oltre i confini regionali e nazionali, non si riesce a portare neppure il suo popolo allo stadio. Quando la fiducia si rompe, la colla del marketing non basta.
Crema: c’è un Cosenza che non fa rumore. Che non si lamenta. Che prende le automobili private per Fuscaldo, si allena come può e poi prova a vincere, anche senza ossigeno nei muscoli. È il Cosenza di Buscè, dei ragazzi, dello staff. Meritano applausi veri. E forse anche compassione e comprensione. Soprattutto dopo una sconfitta che nessuno aveva messo in conto.
Amarezza: le parole sono finite. Le scuse pure. Una società che viene da quattro vittorie e un pareggio, eppure gioca in uno stadio vuoto, non ha più solo un problema tecnico, organizzativo o comunicativo. Ha un problema d’anima. E le anime, quando fuggono, non tornano con due post su Instagram e una partita gratis per le scuole. Servirebbe credibilità. Servirebbe una società in grado di guardarsi allo specchio. E magari, per una volta, di capire e accettare che il vero nemico non è la stampa o la città.

Crotone, altro che outsider
Altro che outsider. Se qualcuno pensava che il Crotone fosse la solita incompiuta buona per l’alta classifica ma incapace di incidere nei momenti topici, ora dovrà rivedere i propri appunti. Perché i numeri non mentono – 18 gol fatti, 7 subiti – e il campo nemmeno: questa squadra ha imparato a soffrire, a reagire, a vincere anche quando non segna il suo bomber.
La trasferta di Foggia racconta molto più di quanto dica il roboante 3-0 finale, il secondo di fila dopo quello inflitto al Picerno. Racconta di un gruppo cresciuto, compatto, che sa adattarsi agli imprevisti. Persino restare in dieci, contro un maestro della panchina come Delio Rossi, senza perdere ordine e determinazione.
Longo, nonostante i recenti problemi societari, è riuscito dove tanti hanno fallito: trasformare il talento diffuso in struttura, equilibrio, identità. Il suo Crotone non è solo una somma di ottimi giocatori – Gomez, Zunno, Murano, Vinicius, Maggio – ma un meccanismo che gira con sincronismi d’alta scuola.
Dopo due stagioni a flirtare col grande salto, ma senza mai prenderselo davvero, quest’anno i rossoblù sembrano avere qualcosa in più. Non solo tecnica e gamba, ma testa e fame. La fame di chi sa cosa significa restare fuori dalla festa, dopo aver sentito il profumo dello spumante. E allora sì, mentre tutti continuano a scommettere su Salernitana, Benevento e Catania, il Crotone inizia a rosicchiare punti e certezze. Silenziosamente, con quel passo felpato ma letale di chi non fa proclami, ma sa dove vuole arrivare.
Crema: Quattro vittorie nelle ultime cinque, una prova di forza vera a Foggia anche in inferiorità numerica, un attacco che punge in più modi e una difesa che ha finalmente smesso di ballare. Ma soprattutto un gruppo che ha trovato una chimica rara in questo campionato. Longo può sorridere: la sua squadra non è più una promessa, ma una candidata vera alla promozione diretta. Menzione speciale per lo strepitoso gol in sforbiciata di Berra.
Amarezza: Le sconfitte interne con Benevento e Casertana gridano ancora vendetta, soprattutto per come sono maturate. Due partite che, con un po’ più di cinismo o lucidità, avrebbero potuto cambiare la classifica e la percezione stessa di questo Crotone. Dell’exploit di Foggia, viene da pensare amaramente all’espulsione ingenua di Vinicius che toglierà a Longo un tassello importante contro il Monopoli. (f.veltri@corrierecal.it)

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