Omicidio Gioffrè, una relazione «tossica e ambigua»: le motivazioni della condanna di Tiziana Mirabelli
Il malcontento dell’anziano ucciso il 14 febbraio 2023 per la «rottura dei patti» avrebbe portato ad un litigio e alle 41 coltellate

COSENZA «Le emergenze istruttorie restituiscono in modo inequivocabile una relazione “tossica” , ambigua, conflittuale, di comodo, ma certamente non di subordinazione della Mirabelli verso il Gioffrè».
E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza di condanna a 17 anni di reclusione inflitta dalla Corte d’Assise di Cosenza a Tiziana Mirabelli, reo confessa dell’omicidio di Rocco Gioffrè: 75enne ucciso con 41 coltellate il 14 febbraio 2023 nello stabile popolare di via Monte Grappa nella città dei bruzi. Al termine della requisitoria, la pm Marialuigia D’Andrea aveva invocato la pena dell’ergastolo.
Il prequel
Nel ripercorrere le tappe che hanno portato ad incrinare inevitabilmente un rapporto già particolarmente controverso tra vittima e imputata, la Corte si sofferma sui dissidi avvenuti il giorno antecedente il delitto. «Tra i due protagonisti vi era stata una qualche incomprensione e Gioffrè rivendicava dall’imputata una maggiore complicità ed il rispetto degli accordi, dal momento che “la pagava profumatamente”». I dialoghi sono «chiari e non si prestano a diverse interpretazioni» e, dunque, è «assai probabile che tale malcontento della vittima, il giorno seguente, avrebbe dato corso ad una discussione verbale dalla quale sarebbe sfociato l’orrendo crimine». Questa relazione, iniziata un anno prima del delitto, è stata segnata – da quanto emerso – dalla «rottura dei patti laddove gli accordi avevano chiaramente ad oggetto le concessioni sessuali della Mirabelli, gradite al Gioffrè, dietro il corrispettivo della dazioni di denaro».
Le richieste e il controllo
Il rapporto evidentemente conflittuale si reggeva su due presupposti: le richieste e il controllo. Le insistenze di Mirabelli erano dettate da esigenze di carattere economico: dalle sigarette ai beni di necessità fino alla condivisione del medesimo contatore dell’energia elettrica. Dall’altra parte, invece, l’anziano avrebbe accolto le costanti sollecitazioni della donna in cambio della garanzia di prestazioni di natura sessuale. A tal proposito, è opportuno richiamare un passaggio messo nero su bianco nelle motivazioni. «Nemmeno la morte della moglie Anna, avvenuta in quei giorni, dissuadeva il Gioffrè dal rivolgere all’imputata insistenti richieste di incontro, che in talune occasioni venivano soddisfatte, mentre in altre venivano rimandate con varie giustificazioni».
E poi c’era l’esercizio del controllo. Nel corso delle udienze sono emersi i dettagli delle conversazioni avvenute via chat tra Gioffrè e Mirabelli. Vi è un richiamo all’utilizzo di telecamere da parte della vittima, necessarie a sorvegliare l’attività di Mirabelli, circostanza chiara come si legge in messaggio finito agli atti. «Buongiorno gentilmente la porta deve stare chiusa non iniziamo…hai le telecamere per guardare per l’aria invece apri il balcone», dice Mirabelli. Per la Corte, tuttavia, l’imputata non sarebbe «terrorizzata dal Gioffrè, al contrario, approfittava del suo ascendente sulla vittima per concedersi o rifiutarlo, a secondo della contingente convenienza economica».
L’aggressione mortale
Sono 41 le coltellate inflitte sul corpo della vittima, 36 delle quali avrebbe effettivamente contribuito alla morte dell’anziano. Ma cosa è accaduto prima e durante lo sfogo mortale? Sulla dinamica, la Corte precisa: «quand’anche la Mirabelli avesse sferrato il pugno al Gioffrè e fosse stata colta da tergo dal suo aggressore, armato dell’arma (evenienza esclusa, ndr) la configurazione giuridica del fatto nella fattispecie dell’omicidio volontario non verrebbe affatto scalfita». La stessa imputata, infatti, ha ammesso che, «una
volta caduto il coltello, ella lo prendeva da terra con la mano destra ed, anziché allontanarsi dall’uomo, peraltro già ferito allo stomaco e guadagnare l’uscita, iniziava un feroce e lungo accoltellamento della vittima, che era confinata contro il muro, con la forte determinazione di ucciderlo». Una ricostruzione che per i giudici esclude «la configurabilità della legittima difesa, invocata dal difensore di Tiziana Mirabelli, l’avvocato Cristian Cristiano. Sempre secondo la Corte, «non vi era necessità difensiva, da parte dell’imputata, la quale ben poteva scegliere se desistere dall’azione omicidiaria non ancora iniziata
ed uscire dalla scena». In buona sostanza, sferrare le coltellate era un’azione evitabile «perché l’uomo non avrebbe opposto resistenza». Gioffrè, anzi, avrebbe avuto timore dell’imputata. Circostanza che emergerebbe chiaramente quando – in un messaggio – Mirabelli si rivolge all’anziano e dice: «Ma a pensare che ti volevo far venire ora un po’ ma se hai questa paura di me, nemmeno meno fossi un mostro, è successo un episodio ma non farei male ad una mosca». Il testo lascia ipotizzare che qualcosa sia accaduto e che il sentimento di timore palesato dall’anziano sia proprio da ricollegare a quell’evento.
La rapina
Non solo il delitto. Tiziana Mirabelli era accusata di essersi impossessata del portafogli di Gioffrè contenente 1.800 euro, «corrispondenti al denaro di seguito versato presso l’istituto postale sul
libretto cointestato con la madre». Una condotta che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe stata correlata dal nesso teleologico con l’omicidio. Per il Collegio giudicante, il tempo di permanenza di Mirabelli all’interno della casa della vittima (inferiore ai due minuti) «era congruo in relazione alla apprensione di un oggetto di cui già conosceva l’esistenza e l’ubicazione, piuttosto che alla ricerca di denaro o preziosi». Sono le immagini delle telecamere a restituire i frame dedicati agli spostamenti dell’imputata. Sul punto chiosa la Corte, «non v’è dubbio, allora, che Mirabelli, accoltellato e finito Gioffrè abbia approfittato delle circostanze di luogo e della carenza di reattività per sottrargli il portafogli e gli altri oggetti personali contenuti nel borsello». Tuttavia, la rapina e l’omicidio «non sono interconnessi teleologicamente posto che l’azione omicidiaria risulta sorretta, come più volte si è accennato, dalla diversa causale da ricercare nei rapporti tra le parti e non già nell’intento furtivo, sorto, successivamente al delitto». (f.benincasa@corrierecal.it)
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