I vertical drama: come Tik Tok spiazza le serie tv
Ma anche le stories dei politici non fanno eccezione

C’è un nuovo convitato di pietra nei palinsesti globali, e non arriva da Hollywood: è il fotoromanzo verticale, l’ultima creatura di TikTok. Un formato breve, compulsivo, melodrammatico, che sta rosicchiando minuti – e forse presto interi abbonamenti – ai colossi dello streaming. Non avevamo ancora fatto in tempo a celebrare il de profundis della TV generalista, ancora ci scambiamo opinioni e consigli su quale serie Netflix seguire, ancora ci lamentiamo del costo degli abbonamenti e dei pirati dei “pezzotti” e, eccola qui, arriva una novità a costo zero. Sul famelico social giovanile. Sono i vertical drama: di cosa si tratta?
I vertical drama sono “fotoromanzi” costruiti con scaltrezza industriale: conflitto immediato, emozioni gridate, cliffhanger (tecnica narrativa che lascia la storia in sospeso in un momento di forte suspense) ogni sessanta secondi. Una struttura così serrata che qualunque serie tradizionale, con le sue scene “di respiro” e le sue “linee narrative”, sembra di colpo appartenere a un’altra epoca, quella in cui lo spettatore aveva ancora pazienza. Il risultato è un intrattenimento che scorre come una micro–soap in endovena. Interpretazioni grossolane, dialoghi improbabili, estetica da pubblicità arrangiata, girata in fretta: eppure funziona. Funziona perché taglia tutto ciò che non genera immediata tensione o sollievo. L’ossessione in formato tascabile. Il dato interessante è il successo del fenomeno e ciò che implica. Se milioni di utenti si ritrovano risucchiati da queste micro-storie – spesso prodotte con budget ridicoli e attori semisconosciuti – vuol dire che la competizione non è più sulla qualità, né sulla fama, né sulla serialità lunga. La sfida è sul tempo d’attenzione residuo, ormai ridotto a un intervallo tra due notifiche. La narrativa verticale sta ridefinendo priorità e linguaggi. Gli attori, esclusi dai set tradizionali, trovano qui ingaggi e visibilità; le piattaforme occidentali osservano con una preoccupazione crescente un mercato che monetizza più rapidamente delle loro stagioni premium; il pubblico, infine, accede a un melodramma a costo zero (o quasi), spesso piratato e redistribuito con la stessa naturalezza con cui si inoltra un meme. È l’evoluzione logica di un consumatore che vive sul telefono e preferisce la frenesia alla profondità. L’algoritmo scavalca la sceneggiatura, la velocità batterà sempre l’approfondimento.
Che si tratti di una moda o dell’inizio del pensionamento delle serie TV è presto per dirlo. Ma un dato è certo: se l’intrattenimento del futuro si misura in minuti e non in episodi, TikTok ha già vinto la partita.
Le piattaforme tradizionali inseguono, ancora convinte che lo spettatore voglia una storia. Il problema è che, nel frattempo, lo spettatore vuole solo la prossima puntata. E la vuole tra dieci secondi. (Ma poi, fateci caso: quando seguiamo i nostri influencer preferiti, ma anche la politica che ci appassiona, non stiamo a guardare le stories su Instagram cercando novità ogni mattina? E cosa ci attrae subito? Il messaggio politico o la novità di una nuova puntata, cioè cosa sta facendo questo signore che seguiamo? Un racconto “circolare”: seguo, vedo, traggo, riscrivo, rivedo.)
Intanto Sandokan è andato in controtendenza, e non è detto che le novità siano un male. Anzi. Possono essere fonte di nuovi business e di nuova industria.
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