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‘ndrangheta globale

Importazioni dal Sud America e spaccio in tutta Italia, la multinazionale della droga con collegamenti fino all’Australia

Tra estorsioni, compravendita di voti e il tentativo di ripulire denaro: il modus operandi dell’organizzazione nelle accuse dell’inchiesta “Millennium”

Pubblicato il: 16/12/2025 – 8:41
di Mariateresa Ripolo
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Importazioni dal Sud America e spaccio in tutta Italia, la multinazionale della droga con collegamenti fino all’Australia

REGGIO CALABRIA Un’organizzazione capace gestire traffici globali e di inquinare dogane, banche e politica: «organizzata e strutturata, duratura nel tempo, dotata di stabili canali di approvvigionamento e di commercio della sostanza stupefacente, con ripartizione di ruoli e ampia disponibilità di risorse finanziarie, dedita alla consumazione di un numero indeterminato di delitti di importazione, trasporto, detenzione, acquisto e successiva cessione di sostanze stupefacenti».
Cocaina, hashish e marijuana, importazioni dal Sud America, transazioni internazionali e collegamenti che si estendevano fino all’Australia. L’organizzazione di ‘ndrangheta smantellata dall’inchiesta “Millennium” della Dda di Reggio Calabria presenta caratteristiche ben definite nelle pagine che elencano le accuse che hanno portato alla chiusura delle indagini per 67 persone

Il sistema criminale

Dai piccoli centri in provincia di Reggio Calabria, gli indagati hanno saputo tessere relazioni e portare avanti affari dimostrando ancora una volta la pervasività e la sofisticazione logistica della ‘ndrangheta. Gli indagati, sono accusati a vario titolo, di aver dato vita a una vera e propria multinazionale della droga, con epicentro a Reggio Calabria ma propaggini estese fino a Volpiano (Torino) e Buccinasco (Milano). Il blitz della Dda ha squarciato il velo sulle operazioni delle potenti cosche Barbaro “Castani” di Platì e Alvaro di Sinopoli, che, nonostante i segnali di “fibrillazioni” interne, avrebbero gestito un traffico imponente.
Al centro dell’accusa non c’è solo la «associazione a delinquere di tipo mafioso», ma una dettagliata ricostruzione dell’«associazione finalizzata al traffico, anche internazionale, di sostanze stupefacenti». Il sodalizio, descritto come «organizzato e strutturato, duraturo nel tempo», operava come una macchina perfettamente oliata, con una netta «ripartizione di ruoli».

Tonnellate di droga dal Sudamerica alle piazze di spaccio

Per muovere tonnellate di cocaina, hashish e marijuana, l’organizzazione era costantemente impegnata nella ricerca di denaro necessario a finanziare le compravendite, arruolando finanziatori specifici come Santo Modaffari e Francesco Perre detto “u Percia”. L’approvvigionamento era la priorità: gli organizzatori individuavano le fonti primarie di droga, in particolare in Sudamerica e Spagna, gestendo l’acquisto e l’importazione. Figure come Matteo Costanza agivano da veri e propri «broker del narcotraffico internazionale» e referenti in Spagna (Malaga); il loro compito era cruciale: organizzare le fasi finali dell’importazione, mantenendo i rapporti con il fornitore colombiano “Oscar” e gestendo la logistica, compreso l’ingresso della sostanza in Europa, anche attraverso la presunta «corruzione di funzionari doganali collusi». Una volta in Italia, la droga veniva smerciata attraverso canali stabili in diverse regioni come Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia. Gli incontri avvenivano in luoghi strategici in provincia di Reggio Calabria come Ardore, Palmi o Gioia Tauro, con la prassi di fornire “campioni” di sostanza per certificarne la qualità agli acquirenti.
Dall’arrivo in Italia alla commercializzazione dello stupefacente: secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’organizzazione criminale aveva stabili canali di vendita all’ingrosso su varie “piazze di spaccio” e manteneva rapporti con gli intermediari dediti allo smercio a Roma, Messina, Palermo, Cosenza, in Campania, in provincia di Reggio Calabria. Gli indagati inoltre si interessavano dei profili logistici dei traffici attraverso il reperimento di soggetti cui affidare i trasporti dello stupefacente e «valutavano i margini di guadagno per il sodalizio e i criteri di ripartizione degli stessi tra i vari partecipi».

La direzione strategica

L’alta sfera direttiva, in particolare la “propaggine” milanese guidata da Pasquale Zappia, si avvaleva di un vero e proprio modus operandi per comunicare: gli ordini, le strategie e i pagamenti venivano concordati tramite «telefoni dotati di sistemi di messaggistica criptati o mediante canali di comunicazione alternativi come “Signal” o “Telegram”», garantendo l’opacità delle transazioni internazionali che si estendevano fino ad Australia e Centro Europa. A capo di questa struttura verticistica c’era Giuseppe Barbaro (cl. 56), accusato di essere «dirigente ed organizzatore della cosca Barbaro», colui che stabiliva «i termini economici delle operazioni» e dettava «le concrete modalità esecutive». L’inchiesta ha messo in luce la presunta ideazione di reati satellite per sostenere i traffici: si parla di «estorsioni» e soprattutto di «compravendita di voti» per procurare il denaro necessario. A ciò si aggiunge il tentativo di «ripulire» le grandi quantità di banconote macchiate grazie all’aiuto di un direttore di banca colluso, sottolineando la necessità per l’organizzazione di integrare il denaro illecito nel tessuto economico legale. 

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