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"Reale 5", terra bruciata attorno ai Pelle

REGGIO CALABRIA Terra bruciata. Si sarebbe potuta chiamare anche così l’operazione “Reale 5”, che questa mattina ha portato in carcere 26 persone legate alla cosche di ‘ndrangheta dei mandamenti Jo…

Pubblicato il: 16/07/2012 – 13:08
"Reale 5", terra bruciata attorno ai Pelle

REGGIO CALABRIA Terra bruciata. Si sarebbe potuta chiamare anche così l’operazione “Reale 5”, che questa mattina ha portato in carcere 26 persone legate alla cosche di ‘ndrangheta dei mandamenti Jonico, Tirrenico e Metropolitano della provincia di Reggio Calabria. Tutti fiancheggiatori della latitanza di Antonio Pelle “Gambazza” il mammasantissima di San Luca arrestato a Polistena il 12 giugno 2009 e morto poco dopo nell’ospedale di Locri. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio, è stata emessa nei confronti di Giuseppe Pelle (classe ’60), Sebastiano Pelle (’71), Domenico Pelle (’75), Antonio Pelle (’87), Giasone Italiano (’69), Giuseppe Marvelli (’53), tutti già detenuti; Domenico Carbone (’86), Giuseppe Carbone (’56), Sebastiano Giampaolo (’48), Vincenzo Giampaolo (’75), Aldo Domenico Marvelli (’55), Antonio Pizzimenti (’73), Pietro Scopelliti (’60), Virginio Scopelliti (’90), Francesco Albanesi (’74), Vincenzo Brognano (’75), Giuseppe Codispoti (’55), Roberto Crisafi (’85), Sebastiano Pizzata (’88). Agli arresti domiciliari due donne, Ines Cuscunà (’76) e Giuseppa Giampaolo (‘36).
L’operazione ha colpito gli stretti congiunti del boss “Gambazza”, tra cui la vedova e i figli. Le indagini, coordinate dalla Dda reggina, hanno confermato ancora una volta il carattere unitario della ‘ndrangheta, nel cui contesto criminale emerge con forza il potere e la trasversalità della ‘ndrina Pelle. Un’autorità riconosciuta, secondo gli investigatori, dalla totalità degli affiliati alla criminalità organizzata. La casa di Bovalino del boss, latitante per 10 anni, era infatti il crocevia di numerosi esponenti dei “locali” reggini, che si recavano lì per risolvere le varie problematiche relative ai sodalizi di riferimento. «Noi siamo sempre stati una famiglia – diceva uno degli ospiti – a compare Antonio e a tutta la famiglia, ad uno per uno… dal più piccolo al più grande… mi sono sentito che siamo un’unica famiglia». Anche i portavoce dell’allora “Capo Crimine” Domenico Oppedisano facevano la spola dalla Piana di Gioia Tauro a Bovalino per chiedere favori di varia natura ai Pelle, oppure per aggiornarli sulle problematicità che investivano un singolo mandamento o l’intero assetto ‘ndranghetistico della provincia. I Pelle “Gambazza” potevano insomma contare su alleanze trasversali con altre famiglie mafiose, che operavano nelle zone del territorio reggino o in Piemonte. È proprio all’interno del salotto di Giuseppe Pelle (classe ’60) che gli inquirenti hanno intercettato numerosi dialoghi durante i quali è emerso il ruolo di Domenico Larizza, detto “Micu u grassu”, portavoce della cosca Maisano che – almeno dalla fine degli anni Novanta – ha operato nei “locali” di Palizzi Marina e Spropoli. Il suo ruolo è stato ben  delineato dagli investigatori nell’ambito delle operazioni “Armonia”, “Labirinto” e “Reale”. Larizza è imparentato col boss Filiberto Maisano e vanta un rapporto confidenziale con Giuseppe Pelle, con il quale tentava di orchestrare una truffa e di pianificare una rapina. Importanti anche le figure di Giuseppe Gagliardi e Salvatore Chindamo, portavoce di Domenico Oppedisano, che a casa Pelle discutevano di delicate questioni di ‘ndrangheta. Giasone Italiano, invece, elemento di spicco della cosca Italiano-Papalia di Delianuova, ha favorito la latitanza di Antonio Pelle “Gambazza”, restando al suo fianco fino a pochi istanti prima della cattura di quest’ultimo.
I componenti della potente cosca di San Luca – stando a quando emerge dalle nuove indagini – trascorrevano la loro quotidianità nella convinzione di essere controllati costantemente dalle forze dell’ordine. Ognuno di loro aveva una tecnica alla quale faceva ricorso per eludere gli eventuali controlli: come dialogare a voce bassa, “inquinare” le voci alzando il volume della radio o addirittura non parlare affatto. Timori che avevano spinto i Pelle a deputare alcuni soggetti alla bonifica periodica dei mezzi di trasporto e delle abitazioni, tra cui Francesco Albanesi, Vincenzo Brognano, Giuseppe Codisposti e Roberto Crisafi.
Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, sono iniziate nel 2007 – attraverso il monitoraggio delle attività della figlia di “Ntoni Gambazza” – e hanno permesso di fare una mappatura completa dei rifugi in cui aveva trascorso la latitanza il superboss di San Luca. La cosca riusciva a gestire i movimenti del grande capo carismatico sia in Calabria che in Piemonte. Dai dialoghi intercettati emerge che il mammasantissima di San Luca, dopo un periodo trascorso nel bunker di Contrada Ricciolio, era stato ospitato a Careri da Ines Cuscunà, a Natile Vecchio di Careri dai fratelli Marvelli, per poi essere trasferito in provincia di Cuneo sotto la responsabilità dei cugini Sebastiano e Vincenzo Giampaolo. Dal dicembre 2008 al maggio 2009 Antonio Pelle era stato invece “accudito” da Virginio e Pietro Scopelliti e da Antonio Pizzimenti a Santo Stefano D’Aspromonte.
L’operazione di oggi rappresenta la quinta tranche dell’indagine denominata “Reale”, ai danni della cosca Pelle, che in precedenza era stata colpita dagli arresti di “Reale 1”, “Reale università”, “Reale politici” e “Reale Ippocrate”. Azioni giudiziarie che si sono rivelate di grande importanza anche per i procedimenti “Il Crimine” (che ha disvelato gli attuali equilibri della ‘ndrangheta, consentendo l’arresto di quasi 300 persone tra la Calabria e la Lombardia) e “Piccolo carro” (che ha consentito di fare luce sul ritrovamento di armi avvenuto a Reggio il 21 gennaio 2010, giorno della visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano). «Quella di oggi è l’ennesima brillante operazione portata a termine dai carabinieri», ha detto il procuratore capo facente funzioni Ottavio Sferlazza. «La dimostrazione univoca – ha continuato – delle grandi capacità di fare terra bruciata attorno ai latitanti che appartengono alle grandi dinastie mafiose. Sempre più spesso vengono colpiti anche i congiunti più stretti. Le donne, in particolare, oltre a trasmettere determinati disvalori, hanno sempre più un ruolo operativo che consentono ai boss di continuare i loro affari».
Il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa di questa mattina, ha rievocato lo spessore criminale di Antonio Pelle “Gambazza”, ricordando una perquisizione «durata tre giorni, nella quale abbiamo trovato tre bunker, tra cui uno in cui c’erano un altare della Madonna e le immagini di San Michele Arcangelo: era il luogo dove avvenivano le affiliazioni. È stata una mossa importante, con la quale abbiamo dimostrato una forte determinazione. I latitanti non si trovano facilmente, per scovarli possono volerci anche molti anni».

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