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Caso Cisterna, un`inchiesta con troppi "buchi"

REGGIO CALABRIA Per prima era stata la Suprema Corte di Cassazione a bacchettare la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che aveva aperto un`indagine contro il magistrato Alberto Ciste…

Pubblicato il: 04/12/2012 – 15:24
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Caso Cisterna, un`inchiesta con troppi "buchi"

REGGIO CALABRIA Per prima era stata la Suprema Corte di Cassazione a bacchettare la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che aveva aperto un`indagine contro il magistrato Alberto Cisterna, numero due della Dna, per corruzione in atti giudiziari e per i suoi presunti rapporti con il boss Luciano Lo Giudice.
Decidendo che la competenza dell`inchiesta era della Procura di Reggio, infatti, la Cassazione aveva definito «del tutto indeterminata la descrizione della condotta corruttiva, giacché la fonte delle informazioni sul punto, Lo Giudice Antonino, “non spiega in alcun modo… se la presunta retribuzione abbia preceduto o seguito il compimento dell`atto (né potrebbe, visto che nemmeno professa certezze sul fatto che sia avvenuta una dazione di denaro)”. Non vi sarebbe, peraltro, alcuna indicazione circa il luogo, il tempo, le modalità e ogni altro riferimento inerente l`asserita dazione».
Il nome di Cisterna era stato fatto proprio dal collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, che si è autoaccusato della bomba esplosa il 3 gennaio 2010 davanti alla Procura generale e dell`ordigno che otto mesi più tardi ha distrutto l`ingresso dello stabile in cui abita il procuratore generale Salvatore Di Landro.
In particolare, stando a quanto aveva riferito il pentito ai magistrati, il boss Luciano Lo Giudice avrebbe pagato il procuratore Cisterna che si sarebbe interessato alla scarcerazione del fratello Maurizio, il primo della famiglia a saltare il fosso negli anni novanta e a collaborare con la giustizia.
Nino Lo Giudice, in sostanza, aveva riportato alcune informazioni apprese dal fratello molti anni fa. «Per quanto riguarda la scarcerazione di Maurizio che si trovava in un carcere per collaboratori a Paliano, perché era andato definitivo, – è il verbale di Lo Giudice – mi sembra che Luciano ne parlò con Alberto Cisterna. Che poi, dopo che ha avuto un buon esito, Luciano mi disse che gli aveva fatto un regalo, e mi fece intendere soldi, molti soldi».
Un regalo che, secondo il pentito, sarebbe da quantificare in “una grossa somma” di denaro. Non dice, però, quanto e quando sarebbe stata pagata la mazzetta. Non sa spiegare dove è avvenuto la consegna dei soldi che, in un anno e mezzo di indagini, la Procura, dopo aver esaminato tutti i movimenti bancari del numero 2 della Dna, non è riuscita a trovare.
Piuttosto il collaboratore aveva affidato alla sua intuizione la certezza che il magistrato reggino e il fratello abbiano intrattenuto rapporti illeciti.
Un`inchiesta, quella sul caso Cisterna, con più punti interrogativi che certezze. Come quelli sulla sim filippina e la “smemoranda” trovata in carcere.
In particolare, l`informativa del 2 novembre 2011 redatta dalla squadra Mobile di Reggio e depositata sulla scrivania dell`ex procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto Beatrice Ronchi presentava due novità rilevanti: una scheda telefonica trovata il 28 gennaio 2011 all`interno di un borsello nella camera da letto di Luciano Lo Giudice, e una “Smemoranda” sequestrata sei mesi più tardi, a giugno, allo stesso imprenditore durante la perquisizione della cella del carcere di Lanciano dove era detenuto. Una perquisizione disposta dalla Procura «in concomitanza – scrive la squadra Mobile – con l`esecuzione della ordinanza applicativa di misura interdittiva emessa dal gip di Reggio Calabria nei confronti dei legali di Lo Giudice Luciano, gli avvocati Gatto Lorenzo e Pellicanò Giovanni».
«Tra la varia documentazione cartacea rinvenuta nell`occasione – scrive ancora la Mobile –, veniva in particolare sequestrata un`agendina “Smemoranda”, compilata a mano in diverse pagine contenenti altresì diverse cancellature, attraverso la scrittura, nota all`Ufficio, di Lo Giudice Luciano». Un`agendina dove c`erano trascritti alcuni numeri di cellulare tra cui quelli del procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna.
Alcune domande, sono d`obbligo: perché non è mai stata trovata la sim nelle precedenti perquisizioni dell`abitazione di Lo Giudice, visto che quest`ultimo era in carcere da tempo? E poi, cosa ci fa nella rubrica della sim di Lo Giudice, disattivata nel 2008, un numero di un`altra scheda non funzionante dal 2005? E come fa lo stesso numero a comparire nella Smemoranda del 2010 al fianco degli altri numeri di Cisterna? Ed è normale, infine, che un detenuto abbia con sé in cella un`agenda dove appuntare i numeri di telefono che, finché ristretto in carcere, non potranno essergli utili?
Anomalie su anomalie come tutta la confusione che è stata fatta in merito alla questione del colonnello Michele Ferlito, all`epoca in servizio al Sismi. La colpa di Cisterna sarebbe stata quella di mettere in contatto l`ufficiale dell`Arma con Luciano Lo Giudice che avrebbe potuto fornire elementi utili per la cattura del boss Pasquale Condello.
Cosa che, tuttavia, non è avvenuta in quanto, a dispetto di quanto sostiene il pentito Nino Lo Giudice, l`inchiesta “Meta” ha dimostrato come l`arresto del “Supremo” è frutto dell`attività di indagine del Ros dei carabinieri all`epoca diretto dal colonnello Valerio Giardina e dal capitano Gerardo Lardieri.
Al termine delle indagini il sostituto procuratore Beatrice Ronchi il 14 settembre scorso ha chiesto l`archiviazione del caso Cisterna, disposta il 26 novembre dal gip Barbara Bennato. Non c`erano gli elementi per sostenere l`accusa. L`indagine, quindi, non ha portato a nulla sul piano penale. Ha però fortemente danneggiato il viceprocuratore nazionale antimafia il quale, in seguito all`inchiesta avviata dalla Dda di Reggio (all`epoca diretta dall`attuale procuratore di Roma Giuseppe Pignatone), è stato sottoposto a un procedimento disciplinare al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura lo ha trasferito al Tribunale di Tivoli.
A smentire, infine, le parole del pentito Nino Lo Giudice, appena una settimana fa, ci ha pensato il fratello Luciano che, durante un processo, in aula bunker ha spiegato che non ha mai chiesto favori al magistrato Cisterna.

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