Il Tar affossa l`inciucio Bova-Scopelliti al Comune di Reggio Calabria
REGGIO CALABRIA Le prove tecniche di inciucio tra Peppe Scopelliti e Peppe Bova possono andare in soffitta. La sentenza con la quale il Tar calabrese annulla l`elezione dei segretari-questori del con…

REGGIO CALABRIA Le prove tecniche di inciucio tra Peppe Scopelliti e Peppe Bova possono andare in soffitta. La sentenza con la quale il Tar calabrese annulla l`elezione dei segretari-questori del consiglio comunale di Reggio Calabria e la designazione del presidente del gruppo Misto fa esultare i rappresentanti dell`opposizione di centrosinistra presenti a Palazzo San Giorgio e spezza la collaborazione, apertasi all`indomani delle elezioni, tra il governatore calabrese e l`ex presidente del consiglio regionale.
I SEGRETARI-QUESTORI La storia è più o meno nota e parte dall`elezione nell`ufficio di presidenza di Francesco Plateroti e Paolo Brunetti. Il primo è espressione del centrodestra; il secondo dovrebbe rappresentare la minoranza. Il condizionale usato non è casuale perché la nomina di Brunetti (uomo politicamente vicino a Bova) risulta possibile solo grazie all`aiuto determinante del Pdl. Brunetti in pratica ottiene nove preferenze di cui quattro da rappresentanti del centrodestra. Una in meno, tanto per capirci, di Nino Liotta, rappresentante del movimento civico “Energia Pulita”, e designato all`incarico da Pd e Prc.
I conti non tornano, insomma. Dove sono finiti i ruoli di controllo e garanzia che spettano di diritto all`opposizione? Liotta non ci pensa su due volte e presenta ricorso alla giustizia amministrativa. Ha ragione evidentemente perché nella sentenza del Tar non solo l`elezione viene annullata («ai sensi dell`articolo 37 bis dello Statuto del Comune, sono eletti quali questori del consiglio comunale “i due consiglieri che hanno riportato il maggior numero di voti nei rispettivi schieramenti di maggioranza e minoranza”») ma il Comune di Reggio Calabria viene condannato al pagamento di 1500 euro di spese legali.
CANALE CAPOGRUPPO Peppe Bova, alla carica di presidente del gruppo Misto, aveva attribuito la consueta importanza tattica. Così come avvenuto in consiglio regionale, dove siede ormai da un quarto di secolo, l’ex numero uno di Palazzo Campanella aveva fatto di tutto per essere nominato alla guida della truppa dei “senza partito”. Un ruolo che gli avrebbe consentito di operare con le “mani libere” facendo pesare quella piccola porzione di potere rimasta nelle sue mani. Bova era riuscito a spuntarla grazie alla sua maggiore – e obiettivamente indiscutibile – anzianità anagrafica rispetto a Massimo Canale. Ma anche su questo il Tar è stato tranchant: non era quello il criterio da seguire, perché bisognava fare riferimento al responso delle urne. Spiegano i magistrati amministrativi: «L’Ufficio di presidenza» di Palazzo San Giorgio, «nella riunione del 22 novembre 2011 ha individuato, erroneamente, il consigliere Bova quale presidente del gruppo Misto, sulla base della maggiore anzianità anagrafica rispetto al consigliere Canale, che ha invece conseguito nelle elezioni “generali” una maggiore cifra individuale».