Una strage familiare «per legittima difesa»
REGGIO CALABRIA «Ho reagito a un’aggressione. Mi hanno sparato con un fucile alla schiena». Sono queste le prime parole che il trentaseienne Francesco Ascone ha riferito al capo della Squadra mobile…

REGGIO CALABRIA «Ho reagito a un’aggressione. Mi hanno sparato con un fucile alla schiena». Sono queste le prime parole che il trentaseienne Francesco Ascone ha riferito al capo della Squadra mobile di Reggio, Gennaro Semeraro, dopo esser stato accompagnato dal suo avvocato Guido Contestabile in questura. Non ce l’ha fatta più. Si sentiva braccato dagli agenti guidati dal vicequestore aggiunto Francesco Rattà e dal dirigente del commissariato di Gioia Tauro Fabio Catalano, costretti a lavorare in un clima di omertà per tre giorni e tre notti. La caccia all’uomo ha dato i suoi frutti: risolto il triplice omicidio consumato a Rizziconi, in contrada Monaca Drosi, nella notte tra martedì e mercoledì, in cui persero la vita Remo Borgese, 48 anni, e i figli Antonio e Francesco (27 e 21), mentre fu ferito Antonino Borgese, di 29 anni, cugino delle vittime. Nei confronti di Francesco Ascone, la Procura di Palmi aveva emesso un provvedimento di fermo per omicidio plurimo. Reato che il giovane di Rizziconi, ritenuto vicino alla cosca Crea, ha ammesso di aver commesso ma per legittima difesa. In sostanza, il pomeriggio prima della strage Ascone avrebbe avuto un diverbio con uno dei figli di Borgese che era stato preso a schiaffi dall’arrestato, il quale è stato individuato grazie ai contatti telefonici con le vittime. Qualche ora dopo la colluttazione, Ascone e i Borgese si sono dati appuntamento per chiarire la vicenda. Stando alla ricostruzione del fermato, quest’ultimo sarebbe stato attinto alle spalle da alcuni colpi di fucile, di piccolo calibro, caricato a pallini. Ferito in maniera lieve, quindi, Ascone avrebbe estratto la pistola calibro 9 per 21 e ha sparato 10 colpi, tutti andati a segno, sterminando la famiglia Borgese. Una versione che, finora, è supportata solo da alcune escoriazioni alla schiena dell’Ascone, ma non dalla scena del delitto dove gli uomini di Semeraro non hanno rinvenuto alcuna traccia del fucile o dei pallini che sarebbero stati esplosi contro l’assassino. Quest’ultimo avrebbe, quindi, reagito all’offesa dileguandosi subito dopo a bordo di una Fiat Punto. «Le indagini continuano, pur in un clima di omertà» ha assicurato il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, durante la conferenza stampa tenuta stamattina in questura. «La risposta da parte dello Stato è stata pronta ed efficace – ha aggiunto il magistrato –. La versione di Ascone dovrà essere riscontrata dalle dichiarazioni del ferito» che, come ha ribadito il dirigente del commissariato di Gioia, Francesco Catalano, «non ha fornito alcuna collaborazione. C’è stata assoluta omertà. Solo la pressante attività di ricerca ha indotto il soggetto a consegnarsi alla polizia».
«Per risolvere il caso, venti uomini della squadra mobile, diretti dal dottore Rattà – ha sottolineato Semeraro – sono stati distaccati a Gioia Tauro in supporto agli agenti del commissariato locale. Si è fatta terra bruciata. L’avremmo preso comunque perché non avremmo mollato un solo millimetro per riuscire a catturare Ascone».
Soddisfatto il questore Guido Longo secondo cui, a Reggio, «i responsabili degli omicidi si scoprono, anche se a volte a distanza di tempo. Questo dovrebbe dare certezza ai cittadini. I poliziotti impegnati nella cattura del ricercato non hanno dormito per tre giorni e tre notti. Ieri anche i carabinieri hanno arrestato il responsabile di un altro omicidio avvenuto a Seminara. Questo dimostra che qui sui delitti viene fatta luce».