CATTURA LANZINO | Un binocolo per la latitanza itinerante di “Ettaruzzu”
COSENZA Ettore Lanzino, il latitante della porta accanto, «aveva certamente a disposizione più di un appartamento nella zona di Rende». Per il colonnello Francesco Ferace, comandante provinciale dei…

COSENZA Ettore Lanzino, il latitante della porta accanto, «aveva certamente a disposizione più di un appartamento nella zona di Rende». Per il colonnello Francesco Ferace, comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, non c’è dubbio: «La mansarda in cui lo abbiamo trovato era una base provvisoria». E le prime valutazioni investigative fanno pensare che di sole basi provvisorie si servisse il capo della mala cosentina: «La cifra della sua latitanza, il suo punto di forza, era la mobilità. È stato circondato da persone scaltre, si sono mossi bene e hanno coperto il boss per quattro anni, non moltissimi. Sappiamo di latitanze anche più lunghe, che durano decenni. Questa volta gli è andata male: hanno trovato i carabinieri di Cosenza».
Nessuno nasconde la soddisfazione, nel comando provinciale dell’Arma. E neppure le delusioni patite negli ultimi nove mesi, quando gli investigatori hanno puntato tutto su un gruppo di militari scelti, impegnati solo sulla cattura di Lanzino. L’ultimo atto, quelle stanze così apparentemente ordinarie – riempite dei viveri necessari a fermarsi per qualche settimana, poche bottiglie d’olio, la pasta, i rifornimenti offerti da Renato Mazzulla, uno dei presunti fiancheggiatori, fermato ieri con la spesa in mano – raccontano una storia fatta di fatica e di indagini «portate avanti con metodi assolutamente tradizionali». Ma sono anche il punto di partenza per i prossimi passi di un’inchiesta che non finisce certo con la cattura della primula rossa. Nell’ultimo appartamento occupato in quattro anni di latitanza, i carabinieri hanno trovato – parla ancora Ferace – «materiale di interesse investigativo che è già al vaglio dei magistrati della Dda di Catanzaro».
Servirà a ricostruire la rete delle protezioni, che gli inquirenti immaginano molto estesa e potrebbe abbracciare anche qualche insospettabile, e le attività gestite dal reggente del clan nei mesi della sua fuga. Lanzino continuava a guidare la sua cosca. Fatto reso ancor più necessario dalla cattura di alcuni dei suoi luogotenenti, come Francesco Patitucci, che condivideva la regia degli affari mafiosi.
Con le manette strette ai polsi di “Ettaruzzu” e di Umberto Di Puppo, suo braccio destro, la ’ndrina dei Lanzino è stata decapitata. Ed è soltanto uno dei due risultati raggiunti. L’altro lo illustra il procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Lombardo: «Non ci sono più latitanti in provincia di Cosenza». Un successo da sottolineare con enfasi (anche il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha voluto complimentarsi per il risultato raggiunto), che apre una nuova fase, definita «delicatissima». Alla cattura dei capi, segue la successione: bisognerà tenere gli occhi aperti. Perché la vacatio del potere mafioso può essere accompagnata da scontri feroci. È per questo che Lombardo chiama tutti all’impegno: «I cittadini e la politica non possono fare finta di niente». Inevitabile il richiamo alla recente indagine sulla cooperativa sociale impiegata dal Comune di Rende e gestita, secondo l’antimafia catanzarese, dalla cosca Lanzino. Il discorso del procuratore è generale, ma i riferimenti sono chiarissimi: «Questi signori svolgevano attività politica. Vale la pena accettare voti inquinati o di sospetta provenienza? No, perché i conti prima o poi si devono fare».
È una parentesi, stimolata dalle domande dei cronisti, nel “day after” di un giorno atteso da quattro anni. E che, secondo Lombardo, vale più di quanto non dicano le statistiche criminali: «Lanzino è indicato tra i cento latitanti più pericolosi, ma credo che la sua storia criminale lo collochi di diritto tra i primi trenta. È presente nei racconti della ’ndrangheta cosentina dalla fine degli anni 90 fino al primo decennio del 2000. Militava nel clan Sena-Pino, ma è stato coinvolto nell’omicidio di Sena e ha contribuito a ridisegnare la geografia della criminalità in quasi tutta la provincia di Cosenza: la sua associazione ha propaggini a Rende (storica zona di influenza di Lanzino, fin dagli anni 90, ndr), Paterno Calabro e Tarsia e addentellati anche sul Tirreno cosentino». Il boss beccato in mansarda è un tassello fondamentale nel mosaico delle cosche del Nord della Calabria.
Quattro anni di latitanza non si costruiscono senza adesioni diffuse a un progetto criminale e senza una ferrea organizzazione. Lanzino badava alla sostanza. Unico lusso: un orologio Emerson da qualche migliaio di euro. Unico contatto con il mondo esterno, nell’appartamento preso in affitto a 300 euro al mese (il cui proprietario, secondo fonti investigative, è in una posizione «molto delicata»), un binocolo. Per controllare eventuali pericoli o, chissà, sbirciare da lontano un familiare.
I RUOLI DEGLI ARRESTATI
Tutti e tre gli uomini arrestati nel blitz dei carabinieri sono reclusi nel carcere di Cosenza. Oltre al latitante Ettore Lanzino, sono finiti in manette Umberto Di Puppo, considerato dagli inquirenti il luogotenente del boss (di lui i pentiti della mala cosentina parlano dai primi anni del 2000), e Renato Mazzulla, il vivandiere, arrestato ieri mentre portava due buste della spesa al capoclan. Mazzulla ha cercato di allontanarsi, avendo notato strani movimenti attorno alla mansarda del capo, ma è stato fermato da uno degli uomini dell`Arma appena si è messo al volante della sua automobile.