Le verità del "Nano" sul fratello Luciano e su Condello
REGGIO CALABRIA «Vengo presidente, non c`è problema, certo che vengo». Pare non ci saranno problemi il prossimo venerdì ad avere in aula al processo “Meta” il collaboratore Antonino Lo Giudice. Super…

REGGIO CALABRIA «Vengo presidente, non c`è problema, certo che vengo». Pare non ci saranno problemi il prossimo venerdì ad avere in aula al processo “Meta” il collaboratore Antonino Lo Giudice. Superata o dimenticata la lombosciatalgia che ha fatto saltare per due venerdì di fila le udienze programmate e dopo una prima giornata in videoconferenza, Lo Giudice sembra essersi rassegnato alla necessità di tornare a Reggio per rispondere alle domande di accusa e difese.
Una deposizione iniziata oggi e che già dalle prime battute si annuncia controversa. Tono dimesso, quasi rassegnato, frasi spesso ingarbugliate, Nino Lo Giudice – che inizialmente non sente o non risponde al sonoro «Buongiorno» che gli rivolge il pm Giuseppe Lombardo – in aula racconta la sua verità.
Una verità che per certi versi si distacca non solo da quanto raccontato da altri collaboratori, primo fra tutti il cugino e asserito luogotenente Consolato Villani, ma anche da quella che lui stesso ha raccontato in altri procedimenti. A partire dal peso che sembra voler assegnare o meglio non assegnare alla sua cosca di provenienza. Quella medesima cosca che in altri procedimenti dettava legge a Santa Caterina e nell`immediata periferia nord di Reggio, ma dalla testimonianza odierna di Lo Giudice esce molto ridimensionata. «Nel `77 – afferma oggi il pentito ricostruendo la sua carriera criminale – Canale Francesco U Gnuri mi convoca a casa sua a piazza Castello e mi dà la carica di camorrista. Da allora anche io divento succube di Francesco Canale, a mettere bombe, a sparare persone, a fare danneggiamenti. Da quel momento in poi inizio a portare avanti il nome dei Lo Giudice. La famiglia Lo Giudice nasce quando mi viene dato questo grado, anche se mio padre già era stato affiliato, ma era solo un succube della famiglia De Stefano. Io eseguivo ordini che provenivano da Canale, Ficara, i Quattrone, Totò Neri, i Geria di Santa Caterina».
Quando gli equilibri cambiano e sul quartiere di Santa Caterina si estende a suon di omicidi la baronia delle allora quattro famiglie di Archi – Fontana, Condello, De Stefano e Tegano – anche Lo Giudice si piega al nuovo direttorio. Sarà solo nell`89, con l`omicidio del fratello Salvatore – che il pentito attribuisce a una macchinazione dei Tegano – che si verificherà un avvicinamento esclusivo ai Condello. La seconda guerra di ndrangheta è già alle porte e le famiglie di Archi sono spaccate in due. Ma i Lo Giudice – afferma Nino – sono solo «un`altra famiglia che si aggiunge al gruppo dei Condello». Non controllano un territorio, afferma il pentito che pure ha spesso sottolineato in procedimenti e verbali il ruolo importante della cosca Lo Giudice e non lo controlleranno neanche dopo. «All`indomani della guerra di ndrangheta i Lo Giudice – sottolinea – non hanno avuto voce in capitolo nel riassetto della città, Condello si era preso la responsabilità per noi. Io ero in carcere quindi rimane tutto sospeso fino all`incontro fra me e Pasquale Condello».
Un incontro che avverrà «a Villa S. Giovanni, sotto il ponte dell`autostrada» e farà da preludio – stando a quanto racconta il pentito – a una proposta importante da parte del superboss Condello: non solo gestire parte della sua latitanza, ma anche – «negli anni» dirà Lo Giudice – diventare il suo portavoce alle riunioni delle `ndrine in città e il collettore di tutte le estorsioni. Lo stesso ruolo, specificherà il collaboratore, che per i Condello avevano in precedenza svolto gli Stelitano e che «per i De Stefano, svolgeva Nava e per i Tegano, Paolo Schimizzi».
Una proposta cui dopo qualche tempo Lo Giudice su consiglio di fratelli e familiari come Giuseppe Villani – e non del cugino Consolato, come quest`ultimo ha in precedenza affermato – dirà di no. Eppure Condello non solo è «unico», dice il collaboratore, ma fa parte delle grandi famiglie di ndrangheta a Reggio. «Ci sono famiglie dominanti come i De Stefano, i Tegano e i Condello per i soldi, per le amicizie, per le persone che hanno vicino. Queste famiglie hanno amici potenti». Ma quando il dottore Lombardo cerca di approfondire quali siano questi amici potenti, le frasi di Lo Giudice tornano a essere smozzicate. «Basta una parola, dottore, non so se ha capito». No, Lombardo non vuole capire e dal collaboratore pretende risposte chiare. Lo Giudice abbozza: «Pasquale Condello voleva che votassimo una volta Flesca (fedelissimo dell`ex sindaco e oggi governatore Giuseppe Scopelliti, già alla sbarra in uno stralcio del processo Meta) e una volta Sarra (attuale sottosegretario in Regione, già pizzicato in rapporti cordiali con Giulio Lampada, ndr), mandava Domenico Gingomma a chiedere i voti. Un`altra Michelangelo Tripodi, ma questo era Murina a chiederlo. Condello era insieme ai de Stefano una di quelle famiglie che possono tutto e voleva che lo rappresentassi anche in quel mondo della massoneria».
Possono anche – dice Lo Giudice – aggiustare i processi, come fecero nell`81 quando il padre Giuseppe era in attesa di scarcerazione. «L`unico che poteva fare qualcosa perché aveva contatti con i magistrati era Frascati. Ma non è che potevo andare io da Frascati. Allora mio padre mi mandò da Giovanni Tegano, che a sua volta mi ha mandato da Frascati. Questo favore l`abbiamo pagato con uno scooter», ricorda Lo Giudice.
Eppure quando si è trattato di togliere dai guai il fratello Luciano – la cui detenzione secondo precedenti testimonianze del pentito avrebbe in seguito scatenato la follia bombarola del 2010 – «non ho mai avuto bisogno di chiedere ai de Stefano aiuto per sanare la posizione di mio fratello, perché le sue amicizie istituzionali andavano oltre quelle dei De Stefano. Io ho accompagnato mia cognata a incontrarli, ma mio fratello è ancora detenuto».
E sarebbero state proprio queste amicizie istituzionali a fare gola al superboss Pasquale Condello. «Condello voleva beneficiare dell`amicizia con i giudici che Luciano aveva. Si tratta di una speculazione mia. Mio fratello Luciano aveva rapporti con esponenti delle forze dell`ordine e magistrati, con gli apparati istituzionali e Condello mirava a questi contatti», afferma Lo Giudice che si lascia sfuggire: «Questo ragionamento ho iniziato a farlo dopo aver iniziato a collaborare». Una precisazione che getta ombre su una testimonianza che già dalle prime battute promette nuovi interessanti sviluppi. E non solo per il procedimento Meta.