Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 11:33
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

Processo Archi-Astrea, parla Walter Filianoti

REGGIO CALABRIA «Non è facile darsi delle spiegazioni, con quello che è successo nella mia famiglia non è mai facile ricollegare qualcosa a qualcuno». È con la ritrosia di chi ha dovuto imparare ad a…

Pubblicato il: 13/12/2012 – 17:56
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Processo Archi-Astrea, parla Walter Filianoti

REGGIO CALABRIA «Non è facile darsi delle spiegazioni, con quello che è successo nella mia famiglia non è mai facile ricollegare qualcosa a qualcuno». È con la ritrosia di chi ha dovuto imparare ad accettare che un lutto personale divenisse oggetto di diatriba nelle aule giudiziarie e un rebus – per adesso – insoluto nelle stanze delle Procure che Walter Filianoti, figlio del broker Giovanni, freddato a pochi passi da casa da una mano ancora sconosciuta il 1 febbraio del  2008 – un anno particolare per Reggio città – ha risposto oggi alle domande del pm Giuseppe Lombardo e delle difese al processo Archi-Astrea. Chiamato come teste a discarico dall`avvocato Gatto, legale di Antonio Lavilla, a Filianoti è stato chiesto di riferire sui rapporti che legavano tanto lui come il padre alla “ditta di fiducia” dei fratelli Lavilla, Antonio e Maurizio, entrambi imputati al processo Archi Astrea. Circostanze su cui Filianoti  era già stato sentito in Procura, il 20 maggio 2011, nell`ambito delle indagini sull`omicidio del padre, broker dell`Ina Assitalia e nome dell`imprenditoria che in città conta e punta sul mattone. Un omicidio che per i magistrati è un caso ancora tutto da chiudere.
«Rapporti lavorativi, con i Lavilla c`erano solo rapporti lavorativi», sottolinea a più riprese il testimone, quasi intimorito dal fuoco di fila delle domande del legale, «rapporti di conoscenza prolungati nel tempo, ma solo ed esclusivamente lavorativi». O al massimo di vicinato nella stagione estiva, risalenti al tempo in cui Giovanni Filianoti  e Giuseppe Lavilla, il padre dei  fratelli oggi imputati, avevano casa nel medesimo villaggio turistico, ammette il testimone quando l`avvocato Gatto gli mostra due foto tratte dall`album di famiglia dei suoi assistiti. A legare i Filianoti e i Lavilla, afferma infine il giovane, ci sarebbe anche un lontanissimo rapporto di parentela,  mai concretizzatosi in una reale frequentazione, fatta eccezione per le occasioni dettate da motivi di lavoro.
Agente generale dell`Ina Assitalia, Filianoti – anche tramite la Gi.mi, società costituità con Michelangelo Tibaldi – aveva iniziato a investire nel mattone e nelle ristrutturazioni. E quella dei Lavilla era la “ditta di fiducia” sempre chiamata a effettuare i lavori. Rapporto che Walter eredita alla morte del padre, ma che – stando alle circostanze che riferisce – va ben oltre i confini della professione. Curiosamente informati dei dettagli di affari con cui nulla ha che fare, i  Lavilla, soprattutto Antonio, nel racconto del testimone si manifestano con frasi sibilline e allusive proprio nei momenti topici della vita imprenditoriale del giovane, chiamato a gestire l`impero e i conti aperti che il padre ha lasciato dietro di sé.
Come quel terreno di Pentimele, che insieme a Tibaldi, Filianoti padre aveva opzionato da Domenico Leone, per 600mila euro. «Inizialmente io e Tibaldi volevamo comprare il terreno, ma poi mi sono reso conto che non sarei mai stato in grado di gestire da solo un investimento così grosso. Per perfezionare l`acquisto ci sarebbero voluti 1,7 -1, 8 milioni. Io e Michelangelo (Tibaldi, ndr) abbiamo anche cercato dei soci. Volevamo liberarcene ma Leone non aveva intenzione. Poi per caso ho fatto vedere il contratto al mio legale che si è accorto di alcuni vizi… Nel contratto di compravendita si esplicitava l`immediata edificabilità di quel terreno, ma non era così, mancava un parere…, forse della Ferrovia». Sarebbe stato dunque grazie a un`astuzia legale che il giovane Filianoti sarebbe riuscito a tirarsi fuori da un pantano in cui «io davo i soldi per persi». Ma al contrario sono stati restituiti in tempi brevi – due, tre mesi – maggiorati da interessi, mentre Leone avrebbe dovuto anche accollarsi le spese legali. «Sono rimasto stupito della rapidità con cui si è conclusa la vicenda, anche se il mio avvocato mi ha detto che è normale».
Ma ancor più stupito, anzi “basito” sarebbe rimasto Filianoti quando Lavilla, che nulla aveva a che fare con l`affare, a vicenda conclusa si sarebbe presentato dicendo che «la transazione si era conclusa positivamente anche grazie ad alcuni amici cui sarebbe stato necessario fare un pensiero». Una richiesta che il giovane  avrebbe respinto, semplicemente sostenendo di «non dover ringraziare nessuno se non il mio legale. Io sono sempre stato chiaro e ritengo di essere nel giusto». All`epoca, sottolinea il testimone, si è limitato a tagliare corto. Senza informarsi su chi fossero quegli amici, senza pensare alle possibili implicazioni. Dribbla le domande del pm Giuseppe Lombardo, Walter Filianoti. No, non ha avuto paura nonostante sapesse che Antonio Lavilla è il genero del superboss Giovanni Tegano. No, non ha mai pensato alle possibili conseguenze. No, non ha mai sentito sul suo collo quello che il sostituto procuratore definisce «il respiro della `ndrangheta».
Anche quando nel marzo 2011 viene lasciata una bottiglia piena di liquido infiammabile. E qualche tempo dopo uno dei Lavilla si sarebbe presentato «facendo qualche battuta, qualche mezza frase. Mi ha detto “cos`hai fatto, cosa hai detto ai giornali – riferisce il testimone – perchè non mi hai chiamato per andare a parlare, a vedere… ”». Anche in questo caso è dietro ai «non so, non ricordo, non ho pensato con chi potesse parlare», che il giovane Filianoti si trincera per evitare le domande del pm. E no, si schernisce, «non mi ha mai creato problemi la loro parentela con i Tegano o il fatto che il padre fosse già stato condannato. Fino a quella battuta non ho mai avuto problemi, ma in quell`occasione sono rimasto un po` turbato dal modo di fare».
Un turbamento che evidentemente ha implicato la necessità di adottare certe precauzioni. Come quando all`esoso preventivo dei Lavilla per la ristrutturazione di un appartamento a Pentimele, Filianoti preferisce quello di altre ditte, decisamente più a buon mercato. «Quando ho chiesto i preventivi ad altre ditte e ho ricevuto offerte molto più basse, ne ho parlato con i Lavilla, chiedendo loro il motivo di questa maggiorazione, ma non me l`hanno spiegato. Erano presenti sia Giuseppe, sia Antonio ma ricordo che uno dei due aveva fatto pressione per vedere quelli delle altre ditte. Non ricordo se glieli ho fatti vedere senza intestazione o non glieli ho fatti vedere affatto», ricorda Filianoti, che sul motivo di tale gesto torna ad essere evasivo, trincerandosi dietro un «era giusto così, per la privacy» che non lascia spazi ad ulteriori approfondimenti.
Così come inspiegata e – allo stato inspiegabile – è quella sibillina battuta che Antonio Lavilla,  scarcerato da poco ma che si affretta ad andare a cercare Filianoti al garage di via Pellicano, pronuncia in presenza del giovane «male non fare, paura non avere». Ancora una volta una circostanza che turba il giovane erede dell`impero e degli affari del broker reggino, ma sulla quale non sa dare indicazioni. «Forse è uscito pazzo, forse è riferita alla sua vicenda processuale», risponde evasivo il testimone che fa di tutto per prendere le distanze da Lavilla, ma non arriva mai a puntare il dito contro di lui.
Il perchè di tale ritrosia sta forse in quella domanda che l`avvocato Gatto ha posto, ma che il Tribunale su opposizione del pubblico ministero non ha ammesso: «Ritiene che Lavilla, Antonio, Maurizio e Giuseppe siano responsabili della morte di suo padre?». Ma sulla questione le indagini sono in corso. E la risposta – per adesso – è omissis.

Argomenti
Categorie collegate

x

x