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«Farò la stessa fine di Lea Garofalo»

Teme di fare la stessa fine di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro uccisa a Milano. Ha tanta paura Tiziana Giuda, moglie di Vincenzo Marino, ex boss di Crotone, condannato p…

Pubblicato il: 06/02/2013 – 12:32
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«Farò la stessa fine di Lea Garofalo»

Teme di fare la stessa fine di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro uccisa a Milano. Ha tanta paura Tiziana Giuda, moglie di Vincenzo Marino, ex boss di Crotone, condannato per mafia e collaboratore di giustizia dal 2007. È stato lui a riferire più volte che anche sua moglie è a conoscenza dei segreti della `ndrangheta. Ma «dallo scorso 21 dicembre, la mia famiglia non e? piu? sotto protezione», racconta la donna in un`intervista pubblicata oggi dal Fatto quotidiano. «Mio marito e? in carcere ma io sono la? fuori, sola e con tre figli. Ho paura» ribadisce la donna che precisa come la revoca della protezione sia «colpa di un malinteso». Tiziana lo spiega così: un paio d`anni fa sua figlia Rosa, che soffre di un problema ai reni, era andata a una festa di compleanno. All`epoca il marito era agli arresti domiciliari, mentre lei si trovava in ospedale per un edema polmonare. La figlia chiamò a casa affinché qualcuno andasse a prenderla dal momento che non si era sentita bene. «Dopo qualche anno si instaura un buon rapporto con l`uomo che si occupa della scorta di pentiti e familiari – spiega Tiziana –. Con il nostro, Maurizio, eravamo diventati, direi, amici». L`ex boss chiese il permesso per andare a prendere la figlia, ma mentre andava venne fermato dai carabinieri. Non aveva i documenti. Il responsabile della scorta, Maurizio, spiegò che si trattava di un collaboratore di giustizia ma Marino venne denunciato. La versione di Tiziana è stata confermata sia dall`avvocato del pentito, Claudia Conidi, che da un ex agente della scorta che a Beatrice Borromeo del Fatto – chiedendo di restare anonimo – aggiunge: «Questa vicenda è scandalosa. Fino a quando non succedera? niente rimarranno tutti zitti, ma appena le torceranno un capello scoppiera? un casino». Però Vincenzo Marino, per la legge, aveva evaso gli ar-resti domiciliari e doveva tornare in carcere. Tiziana da allora è rimasta sola e non nega di avere paura: «Ho fatto ricorso al Tar ma è stato rigettato. Non ho neanche piu? l`assegno da 1.500 euro che ti passa lo Stato quando sei nel programma di protezione: abbiamo pure perso la casa. Ora faccio le pulizie per 20 euro al giorno, ma non mi basta».
Quando Marino era il boss, ovviamente la sua vita era molto diversa: «Ogni settimana pas- savano affiliati a lasciarmi buste piene di soldi: circa 20mila euro al mese. Stavo bene». E anche Marino era «molto rispettato: in carcere comandava lui. Non gli facevamo mancare niente».
Ma all`improvviso le cose cambiano: i Marino subiscono attentati e minacce, gli “amici” di Vincenzo iniziano a collaborare con la giustizia. Eppure è un altro episodio quello che fa cambiare idea all`ex boss. «Quando e? nato il mio secondo figlio – racconta Tiziana –, il capoboss Rino Bonaventura l`ha battezzato, dicendo: “Questo e? un picciotto mio”». Ma Tiziana ha una reazione durissima: «Meglio se muore per un`influenza: non voglio che diventi `ndranghetista». Eppure, quando Marino finalmente decide di collaborare, nel 2007, la moglie e? arrabbiata: «Queste cose ti rovinano la vita. Perdi la famiglia, gli amici diventano nemici, non ti parla piu? nessuno. Mio marito e? in carcere a Napoli: se andassi a trovarlo, o se visitassi i miei genitori in Calabria, mi farebbero fuori con un tranello, proprio come e? successo a Lea». Il primo anno, con 18mila euro in meno al mese, una nuova identita? e il timore di aver tradito la vecchia vita, «fu durissimo», ammette la moglie del pentito che aggiunge: «Poi ho capito che era l`unico modo per salvare i miei figli».
Il racconto di Tiziana, 37 anni, («ma venti vissuti con un mafioso»), diventa sempre più agghiacciante: «Fui io a consegnare, su richiesta di Vincenzo, una pistola a un suo amico. Il giorno dopo seppi che l`aveva usata per ammazzare un ragazzo: stetti malissimo».
Sa cosa significa svelare i segreti della `ndrangheta, e ora ha paura soprattutto per i suoi figli e chiede aiuto allo Stato: «Finche? mio marito e? collaboratore, finche? lo ritenete attendibile, non potete lasciarci soli: dovete tutelare la mia famiglia, i miei figli. Non vogliamo fare la fine di Lea».

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