«Farò la stessa fine di Lea Garofalo»
Teme di fare la stessa fine di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro uccisa a Milano. Ha tanta paura Tiziana Giuda, moglie di Vincenzo Marino, ex boss di Crotone, condannato p…

Teme di fare la stessa fine di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro uccisa a Milano. Ha tanta paura Tiziana Giuda, moglie di Vincenzo Marino, ex boss di Crotone, condannato per mafia e collaboratore di giustizia dal 2007. È stato lui a riferire più volte che anche sua moglie è a conoscenza dei segreti della `ndrangheta. Ma «dallo scorso 21 dicembre, la mia famiglia non e? piu? sotto protezione», racconta la donna in un`intervista pubblicata oggi dal Fatto quotidiano. «Mio marito e? in carcere ma io sono la? fuori, sola e con tre figli. Ho paura» ribadisce la donna che precisa come la revoca della protezione sia «colpa di un malinteso». Tiziana lo spiega così: un paio d`anni fa sua figlia Rosa, che soffre di un problema ai reni, era andata a una festa di compleanno. All`epoca il marito era agli arresti domiciliari, mentre lei si trovava in ospedale per un edema polmonare. La figlia chiamò a casa affinché qualcuno andasse a prenderla dal momento che non si era sentita bene. «Dopo qualche anno si instaura un buon rapporto con l`uomo che si occupa della scorta di pentiti e familiari – spiega Tiziana –. Con il nostro, Maurizio, eravamo diventati, direi, amici». L`ex boss chiese il permesso per andare a prendere la figlia, ma mentre andava venne fermato dai carabinieri. Non aveva i documenti. Il responsabile della scorta, Maurizio, spiegò che si trattava di un collaboratore di giustizia ma Marino venne denunciato. La versione di Tiziana è stata confermata sia dall`avvocato del pentito, Claudia Conidi, che da un ex agente della scorta che a Beatrice Borromeo del Fatto – chiedendo di restare anonimo – aggiunge: «Questa vicenda è scandalosa. Fino a quando non succedera? niente rimarranno tutti zitti, ma appena le torceranno un capello scoppiera? un casino». Però Vincenzo Marino, per la legge, aveva evaso gli ar-resti domiciliari e doveva tornare in carcere. Tiziana da allora è rimasta sola e non nega di avere paura: «Ho fatto ricorso al Tar ma è stato rigettato. Non ho neanche piu? l`assegno da 1.500 euro che ti passa lo Stato quando sei nel programma di protezione: abbiamo pure perso la casa. Ora faccio le pulizie per 20 euro al giorno, ma non mi basta».
Quando Marino era il boss, ovviamente la sua vita era molto diversa: «Ogni settimana pas- savano affiliati a lasciarmi buste piene di soldi: circa 20mila euro al mese. Stavo bene». E anche Marino era «molto rispettato: in carcere comandava lui. Non gli facevamo mancare niente».
Ma all`improvviso le cose cambiano: i Marino subiscono attentati e minacce, gli “amici” di Vincenzo iniziano a collaborare con la giustizia. Eppure è un altro episodio quello che fa cambiare idea all`ex boss. «Quando e? nato il mio secondo figlio – racconta Tiziana –, il capoboss Rino Bonaventura l`ha battezzato, dicendo: “Questo e? un picciotto mio”». Ma Tiziana ha una reazione durissima: «Meglio se muore per un`influenza: non voglio che diventi `ndranghetista». Eppure, quando Marino finalmente decide di collaborare, nel 2007, la moglie e? arrabbiata: «Queste cose ti rovinano la vita. Perdi la famiglia, gli amici diventano nemici, non ti parla piu? nessuno. Mio marito e? in carcere a Napoli: se andassi a trovarlo, o se visitassi i miei genitori in Calabria, mi farebbero fuori con un tranello, proprio come e? successo a Lea». Il primo anno, con 18mila euro in meno al mese, una nuova identita? e il timore di aver tradito la vecchia vita, «fu durissimo», ammette la moglie del pentito che aggiunge: «Poi ho capito che era l`unico modo per salvare i miei figli».
Il racconto di Tiziana, 37 anni, («ma venti vissuti con un mafioso»), diventa sempre più agghiacciante: «Fui io a consegnare, su richiesta di Vincenzo, una pistola a un suo amico. Il giorno dopo seppi che l`aveva usata per ammazzare un ragazzo: stetti malissimo».
Sa cosa significa svelare i segreti della `ndrangheta, e ora ha paura soprattutto per i suoi figli e chiede aiuto allo Stato: «Finche? mio marito e? collaboratore, finche? lo ritenete attendibile, non potete lasciarci soli: dovete tutelare la mia famiglia, i miei figli. Non vogliamo fare la fine di Lea».