REGGIO CALABRIA «Sono un organo dello Stato»: è al termine di lunghi mesi di silenzio che Giovanni Zumbo, principale imputato nel processo “Piccolo carro”, già condannato come professionista al soldo dei clan nel procedimento “Archi-Astrea”, ha preso la parola per rivendicare la sua appartenenza al lato ombra dello Stato. Con voce tremante, ha chiesto e ottenuto di fare dichiarazioni spontanee ieri nel corso dell`udienza riservata alle arringhe difensive, per spiegare la sua versione dei fatti. Stando a quanto ha affermato di fronte al tribunale, da sempre sarebbe stato in contatto con i Servizi e proprio in questa veste avrebbe fornito le informazioni sull`arsenale fatto ritrovato nella frazione Bosco di Rosarno nel periodo in cui era amministratore giudiziario dei beni della cosca Molè. Una circostanza confermata nel corso dell`istruttoria anche da Corrado D`Antoni, ufficiale dell`Aisi, secondo il quale però il rapporto fra Zumbo e i Servizi si sarebbe limitato a quel momento storico e l`informazione su quelle armi sarebbe stata l`unica indicazione utile fornita. Un`affermazione che Zumbo ha contestato, sostenendo che quando quella Fiat Marea – tanto carica di armi da sembrare un arsenale – è stata ritrovata, su sua indicazione, sulla strada che il presidente Napolitano avrebbe dovuto percorrere il giorno della sua visita in città, il rapporto con i Servizi fosse già tornato a intensificarsi. Addirittura per Zumbo, i Servizi sarebbero tornati a “corteggiarlo” già dopo l`attentato alla Procura generale, avvenuto il 3 gennaio 2010.
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