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Quando Pollari rischiò di “scivolare” in riva allo Stretto

Dieci anni di reclusione per l`ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e nove anni per il suo ex numero due, Marco Mancini: è questa la sentenza con cui la IV sezione della Corte d`appello del tribun…

Pubblicato il: 12/02/2013 – 16:37
Quando Pollari rischiò di “scivolare” in riva allo Stretto

Dieci anni di reclusione per l`ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e nove anni per il suo ex numero due, Marco Mancini: è questa la sentenza con cui la IV sezione della Corte d`appello del tribunale di Milano ha giudicato i due ufficiali dei servizi responsabili del sequestro dell`ex imam di Milano Abu Omar, avvenuto nel capoluogo lombardo il 17 febbraio del 2003.
Una condanna che ha lasciato «sconcertato» l’ex capo del Sismi, il quale si è lasciato andare a uno sfogo: «Come si faccia con serenità a condannare un innocente, che tutti sanno essere tale, è pazzesco. Che razza di esercizio è condannare un innocente? – ha aggiunto – Io non solo sono estraneo a queste cose ma le ho impedite. Quindi non solo sono innocente, ma sono di più e il segreto di Stato prova la mia innocenza, non la mia colpevolezza». Afferma di non voler fare paragoni Pollari, eppure sbotta : «Ricordo che anche Tortora fu condannato a dieci anni».
L’ex capo delle barbe finte italiane, oggi raggiunto da una condanna a dieci anni, anche in riva allo Stretto ha rischiato in passato di finire nei guai. E di certo non per la cattedra di Diritto Tributario che da anni detiene all’Università Mediterranea. Il suo nome è infatti emerso nell’ambito delle operazioni coordinate anche dalla Dda di Reggio Calabria e non sempre accostato a soggetti molto raccomandabili che imperversavano nel Reggino.
«Mo ho lasciato Nics», diceva ad esempio il 21 gennaio 2010 Franco Morelli, l’ex consigliere regionale arrestato e condannato a 8 anni di reclusione dal tribunale di Milano per i fin troppo amichevoli con il clan Lampada. E quel “Nics” – svelerà  l`avvocato Vincenzo Minasi, anche lui finito in manette nella medesima operazione – è proprio Nicolò Pollari, cui Morelli si sarebbe rivolto per verificare l’esistenza di indagini in corso su di sé e sugli “amici” del clan Lampada. «Morelli, mi disse che aveva delle buone entrature nei servizi segreti e mi fece il nome di Nicola Pollari. Ora che ho consultato i miei appunti posso dire che l`incontro, se c`è stato ovviamente, con Pollari o qualcun altro dei servizi segreti è da collocare tra il 9 dicembre 2009 e il 21 gennaio 2010. Tenga conto che quando io ho dato i documenti da me falsificati a Giulio Lampada e quest`ultimo li ha portati a Morelli il 18 gennaio, non posso escludere che Morelli li abbia mostrati a qualcuno dei servizi o comunque allo stesso Pollari dal 18 gennaio al 21 gennaio», ha riferito Minasi al procuratore Ilda Boccassini nel corso di un interrogatorio.
Circostanze che hanno ai tempi spinto il gip Giuseppe Gennari, ad affermare nell’ordinanza dell’epoca: «Il riferimento ad ambienti dei servizi – riferimento ancora più preciso a proposito del “Nic..” al quale Morelli si rivolgerà più avanti per mostrare alcuni documenti esibiti da Lampada – è preoccupante. La circostanza va evidentemente approfondita, anche perché Minasi parla di circostanze apprese da terzi».
Ancor più noto in riva a Reggio è il suo ex numero due, condannato anche lui ma a otto anni per lo scandalo Abu Omar. È stato lui infatti a firmare le tre informative che nel 2005 hanno portato alla scoperta dell’ordigno collocato nei bagni del Comune di Reggio Calabria che regalerà scorta e notorietà di vittima all’allora sindaco Scopelliti in piena crisi politica. Le circostanziate – e mai chiarite – informative dell’epoca avrebbero – nell’ordine – permesso di far rinvenire i panetti di tritolo, informato che l`ordigno, pur senza innesco, sarebbe esploso la mattina successiva e segnalato che Scopelliti fosse in pericolo di vita.
Una vicenda che non  ha avuto in seguito alcuno sviluppo investigativo, ma è riuscita a tirare fuori l’allora primo cittadino di Reggio dal pantano politico in cui era precipitato per il rapido crollo di consensi.
Più recente è invece la vicenda che vede il nome di Mancini intrecciarsi con quello di Giovanni Zumbo, ex commercialista e spione dei servizi, pizzicato a soffiare notizie riservate ai clan, per il quale la Dda ha di recente richiesto 17 anni di reclusione.
Interrogato subito dopo l’arresto dall`allora Procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, Zumbo ha affermato non solo di essere dei servizi, ma anche di aver «incontrato l`ex funzionario Mancini che scese a Reggio Calabria, ma dell`argomento preferirei non parlare». Una circostanza confermata nel corso dell’istruttoria del processo “Piccolo Carro” anche da Corrado D’Antoni, ex responsabile Sismi a Reggio, secondo il quale il rapporto fra i Servizi e Zumbo avrebbe goduto dell’avallo di Mancini, con il quale Zumbo si sarebbe effettivamente anche incontrato un`unica volta a Reggio Calabria. Rapporti che invece, stando a quanto affermato dal maresciallo della Guardia di Finanza Alessio Adorno sarebbero andati ben oltre: «Zumbo ha avuto più di un incontro con lui qui a Reggio, ma anche a Roma. Più di una volta è andato nella capitale per incontrarlo». Contatti che avrebbero riguardato anche quell’attentato al Comune del 2005 di cui tanto Mancini come il suo ex capo Pollari a Reggio Calabria sembravano essere a conoscenza con largo anticipo: «Il funzionario di Roma, il diretto superiore di D`Antoni – ha detto Adorno – ne era a conoscenza e avrebbe informato Zumbo».

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