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Le donne dei Bellocco

SAN FERDINANDO È una storia di donne quella raccontata dall’operazione “Tramonto”, l’indagine che ha chiuso il cerchio sui Bellocco di San Ferdinando. Donne come Maria Concetta Cacciola che ad un’esi…

Pubblicato il: 07/03/2013 – 9:40
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Le donne dei Bellocco

SAN FERDINANDO È una storia di donne quella raccontata dall’operazione “Tramonto”, l’indagine che ha chiuso il cerchio sui Bellocco di San Ferdinando. Donne come Maria Concetta Cacciola che ad un’esistenza asservita alle regole delle `ndrine ha detto di no, al costo della sua stessa vita. Donne come Aurora Spanò, che all’interno del clan Bellocco aveva un ruolo dirigenziale. Donne, specchio bifronte di una realtà – Rosarno, la Piana di Gioia – in cui non ci si può permettere il lusso di essere indifferenti, neutrali. O si è contro le `ndrine, contro i Bellocco – emblema di una famiglia che va oltre i vincoli del sangue e di anagrafe, ma più di questa vincola e schiaccia – o si spalleggia quel clan e il regime di oppressione e terrore dal suo dominio consegue.

IL CORAGGIO DI CETTA E ci aveva provato Maria Concetta a schierarsi contro la cosca. Lei, nipote del boss Gregorio Bellocco e moglie di uno degli uomini in vista del clan, Salvatore Figliuzzi, per dare un taglio netto con la famiglia di origine, nel maggio 2011 si era presentata spontaneamente agli inquirenti per mettere a disposizione l’immenso patrimonio di informazioni di cui era in possesso, fornendo – sottolinea il gip nell’ordinanza che ha mandato dietro le sbarre i Bellocco di San Ferdinando – «dichiarazioni intrinsecamente credibili, logiche e riscontrate dagli accertamenti compiuti».
Nomi, ruoli, circostanze che inchiodano anche Giulio Bellocco, la compagna, Aurora Spanò, i loro figli. «Si può dire che il paese sia di loro proprietà, in quanto sono a conoscenza del fatto che a San Ferdinando, per qualsiasi investimento, anche per affittare una casa, è necessario chiedere l’autorizzazione a loro», dice la testimone di giustizia agli inquirenti. Cetta non riferisce solo voci, ma fa una denuncia circostanziata sulle attività del clan, dedito all’usura e all’estorsione. Una morsa in cui sono finiti anche i fratelli Secolo, agganciati dai Bellocco con un prestito da 600mila euro e obbligati a restituirlo con un tasso d’interessi usurario del 29,14%. A titolo di parziale restituzione del debito – rivela la Cacciola – il clan aveva preteso ed ottenuto, con violenze e minacce, la cessione di almeno due appartamenti dei fratelli Secolo, incluso quello in cui viveva la sorella Rita Stafania, costretta a traslocare.
«La Spanò disse alla mia amica che doveva abbandonare la casa in cui abitava perché era di proprietà dei suoi fratelli, per cui dovevano prendersela loro (i Bellocco) a titolo di rimborso per il credito vantato», si legge nelle pagine e pagine di verbali riempite da Maria Concetta. «Quel giorno la mia amica mi raccontò che i Bellocco si erano appropriati anche di un altro appartamento all’interno dello stabile, sito sulla via Provinciale nei pressi del ristorante “il Picchio”, anche questo di proprietà dei suoi fratelli. Uno dei due appartamenti (quello che era abitato dalla mia amica) è attualmente sfitto, mentre l’altro è affittato e i Bellocco prendono i soldi dell’affitto, anche se non credo che li riscuotano direttamente».
Appartamenti – afferma la Cacciola – che il clan aveva preteso e ottenuto instaurando un regime di terrore: «Qualche mese fa, credo fosse inverno, si era verificato un altro fatto molto grave: erano stati sparati dei colpi di arma da fuoco contro le saracinesche di un negozio di abbigliamento di proprietà della sorella di Stefania Rita, ubicati al piano terra del medesimo stabile in cui si trovano gli appartamenti. La mia amica Stefania Rita mi ha detto che dopo tale fatto Totò e Domenico Bellocco, figli di Giulio, andarono da lei e le dissero che erano stati loro a sparare contro la saracinesca e che in tale circostanza la pistola si era inceppata, altrimenti avrebbero sparato tutto il caricatore».

BOMBA A OROLOGERIA NEL CUORE DEL CLAN Tutte circostanze confermate da riscontri che hanno dato corpo all’indagine che ha portato i Bellocco oggi dietro le sbarre, ma che permette anche di comprendere perché la testimonianza di Maria Concetta – così precisa e inattaccabile proprio perché spontanea – fosse così pericolosa.
Una bomba a orologeria per il clan che – una volta scoperta la determinazione della donna a collaborare – farà di tutto per farla recedere dall’intento. La minacciano, la ricattano, usano i figli come cavallo di Troia e la inducono a tornare a Rosarno, dove Cetta – così la chiamavano – non regge le pressioni e le vessazioni cui madre, padre e fratello la sottopongono di continuo. Angherie che per la Dda di Reggio Calabria – confortata dal gip che ha convalidato l’ordinanza di arresto nei confronti dei familiari, Anna Lazzaro, Michele e Giuseppe Cacciola – hanno spinto la donna al suicidio. Un gesto estremo, un disperato grido di libertà negata.

ORGOGLIO MAFIOSO Ma c’è anche chi la libertà dal regime di Bellocco non l’ha mai voluta, al contrario si realizza e appaga nel sistema di dominio che quel nome e quel sangue comporta. Non è una Bellocco di nascita Aurora Spanò, ma a un Bellocco si è legata e in nome del casato – quasi fosse un titolo nobiliare – pretende servile sottomissione. Questo impone alle compagne di cella, Maria Naccari e Saveria Calarco, dalle quali si aspetta che le rifacciano il letto o puliscano il bagno della cella, o ancora che le servano la colazione. Pretese che la Spanò giustifica in nome del lignaggio mafioso cui con orgoglio rivendica di appartenere. «Non permetterti di parlarmi in questo modo…non sai chi sono io!», sarebbe stato l’abituale modo di rivolgersi alla Naccari e alla Calarco con lei detenute, e che le due hanno messo a verbale nelle loro denunce.
Ma è soprattutto dalla viva voce della Spanò che inquirenti e investigatori avranno la possibilità di comprendere la vastità del granitico orgoglio criminale della donna, che con buona pace di solidarietà di genere o di condizione, anche dietro le sbarre non esita a imporre il medesimo regime di terrore e vessazione che la sua famiglia impone sul territorio di San Ferdinando.
Nelle intercettazioni riportate in ordinanza, è una quasi divertita Aurora Spanò a raccontare al figlio Berto il regime dittatoriale imposto dietro le sbarre. «Una in cella stavo per mangiarmela!… Le dissi, prendi la spazzola e fai silenzio…inc…, lei disse ma non è la mia…inc…prendi la spazzola e fai silenzio!… Minchia…se non l’ha presa, manco i cani!…inc…avoglia a chiamare l’Assistente (ndr inteso grado Polizia Penitenziaria), voglia a chiamare l’Assistente, altro che Assistente…inc…».
È fiera la Spano del clima di terrore che il solo nome incute. Ai figli che la vanno a trovare, riporta i commenti delle altre detenute: «E fanno: “La femmina della Calabria, mamma mia!” Le femmine, le femmine: “Lo abbiamo capito subito che tu sei la ‘ndra…” …inc… conoscono a noi! Perciò, poi una ha fatto il colloquio …inc… e mi ha visto qua dentro. Io non lo conoscevo e gli ha detto: “Sai chi è quella? Portatela buona  che quella…” e per ogni cosa mi dice: “Vieni qua che mio cognato mi ha detto che…”. Si spaventano».

«IO SONO BELLOCCO» È soddisfatta la donna, del “rispetto” imposto in nome di quella famiglia quel cognome, Bellocco – che formalmente non le appartiene perché mai sposata dal compagno Giulio – ma che per lei è un sigillo quasi intoccabile. Proprio per questo le sue angherie si concentreranno soprattutto su Grazia Crucitti, un’altra compagna di cella, rea di aver messo in discussione non solo la sua autorità, ma la sua appartenenza al clan. Quel “signorina” con cui la Crucitti la apostrofa, per la Spanò è un incredibile affronto che con rabbia e determinazione decide di lavare. E non da sola. «Ha detto quella di Rosarno: “Chi sei tu, una Spanò?! (ndr labiale)”. “Io sono Bellocco (ndr labiale)… anche se non sono sposata!!!», racconta ai figli Berto e Vincenza, riferendo lo scambio di battute con la Crucitti. E in nome di qu ella che considera un’incancellabile offesa, da loro pretende solidarietà e aiuto nell’attuare i propri propositi di vendetta. Inequivocabili sono in proposito i colloqui registrati dagli inquirenti:
AURORA: «Era…l’ho cacciata in 24 ore, gli dissi: “Se non la cacciate qui chi sa cosa combino”…e l’hanno tolta subito».
CARMELO: «Va bene… ma chi è questa?»
AURORA: «…ma ti pensavi che volevi papariare (ndr termine dialettale che intende fare la bella vita, riferendosi alla detenuta con cui ha litigato) tu?…io ti mangio il cuore!»
VINCENZA: «Tu non sai…di Rosarno è?»
AURORA: «Di Rosarno…amico di tuo padre (ndr con il dito indice indica il figlio Carmelo) è lui…come si chiama?! …lei è una di Castellace che si è presa uno…uno babbo di sopra al campo…vive…si chiama Nino ed è amico di tuo padre ed è venuto pure a casa».
E come promesso alla madre, Berto si mette al lavoro per individuare il marito della Crucitti e mettere in atto i propositi di vendetta. Coinvolge il fratello Carmelo e insieme arrivano alla conclusione che si tratti di Antonio Caminiti. Mentre la Spanò batte con soddisfazione i pugni sul tavolo – annotano gli inquirenti – Carmelo pronuncia una frase che poco lascia spazio alle interpretazioni: «…inc…lo vado a prendere personalmente!».
Qualche tempo dopo Antonio Caminiti rimane vittima di una violentissima aggressione nei pressi della sua abitazione, ad opera di due individui giunti a bordo di una moto. Prima lo colpiscono con i caschi, poi lo finiscono con calci e pugni. Interrogato dagli inquirenti dopo il pestaggio, Caminiti non sa o non vuole rivelare l’identità dei suoi aggressori. Ma – segnala il gip – «non vi sono dubbi sulla riconducibilità dell’azione ad Aurora Spanò, quale mandante, ed almeno al figlio Carmelo  Bellocco quale organizzatore della spedizione punitiva, se non proprio autore materiale della stessa». Un’aggressione necessaria per dare concretezza a quell’affermazione della Spanò – «Io sono Bellocco» – sinonimo di un’identità che travalica quella personale e diventa tutt’uno con quella del clan. Un’identità di cui la Spanò e i familiari non sono altro che manganello e megafono.

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