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L`8 marzo delle "sindache" e delle donne antimafia

Donne che hanno combattuto e che combattono la `ndrangheta con la ribellione allo strapotere delle loro “famiglie”. Donne sindaco che quotidianamente sono in campo con le loro azioni amministrative…

Pubblicato il: 07/03/2013 – 19:38
L`8 marzo delle "sindache" e delle donne antimafia

Donne che hanno combattuto e che combattono la `ndrangheta con la ribellione allo strapotere delle loro “famiglie”. Donne sindaco che quotidianamente sono in campo con le loro azioni amministrative improntate alla legalità. Sono questi due degli aspetti che caratterizzano la festa dell`Otto marzo in Calabria. Ma chi sono le donne coraggio che hanno deciso all`interno delle loro famiglie di dire basta alla `ndrangheta? Il primo pensiero corre a Lea Garofalo, uccisa e sciolta nell`acido per essersi ribellata alla logica dei clan di cui faceva parte il convivente; Maria Grazia Cacciola, indotta al suicidio dopo che aveva deciso di diventare testimone di giustizia e raccontare gli affari illeciti di alcuni suoi familiari; Giuseppina Pesce, figlia del boss dell`omonima cosca di Rosarno (Reggio Calabria), sfuggita per un miracolo alla vendetta del clan, che ha avviato una collaborazione con chi lotta l`antistato mafioso impegnandosi così concretamente a costruire un futuro migliore per i propri figli.
Ed è il procuratore della Dda di Reggio Calabria, Ottavio Sferlazza, ad evidenziare il ruolo di Maria Concetta Cacciola e di Giuseppina Pesce che «hanno saputo prendere le distanze – afferma – da un certo modello culturale di moglie e madre e, attraverso il ripudio della logica della obbedienza acritica e della sottomissione al capo-famiglia, hanno riscattato la propria dignità di donna, decidendo che si può e si deve assicurare ai figli un futuro diverso rispetto alle stesse scelte criminali dei padri. A questo modello di donna vorrei dedicare la festa di domani».
Anche nelle istituzioni il sussulto contro la criminalità organizzata si tinge di rosa. Da tempo i sindaci di Rosarno, Elisabetta Tripodi, di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta, e di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, combattono contro attentati, intimidazioni e minacce, divenendo di fatto il simbolo della primavera calabrese contro la `ndrangheta. In occasione dell`Otto marzo il «mio primo pensiero – ha detto Elisabetta Tripodi – va alle due donne uccise a Perugia. Vanno considerate anche tutte le donne che in Calabria stanno affermando una nuova consapevolezza in favore della legalità. Donne che hanno deciso di fare delle scelte ben precise che sta portando ad una nuova primavera».
Dal canto suo, Maria Carmela Lanzetta ricorda come il «fatto che ci sia una reazione di molte donne, in tutti gli ambienti, dimostra che questa Calabria non è stata compresa dalla politica, ma ha una voglia forte di reagire e di crescere».
Di bilancio «amaro» parla, invece, Carolina Girasole secondo la quale in Calabria «è complicato fare il proprio dovere. Con il passare degli anni – afferma – mi sono ritrovata a subire intimidazioni continue e ad essere isolata. Infine, sono stata vittima della macchina del fango».

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