La «cellula criminale» attorno a "Micu u pacciu"
REGGIO CALABRIA Una «cellula criminale»: così gli inquirenti avevano definito la granitica rete di fiancheggiatori che per anni – se non decenni – ha protetto Domenico Condello, “Micu u pacciu”, cond…

REGGIO CALABRIA Una «cellula criminale»: così gli inquirenti avevano definito la granitica rete di fiancheggiatori che per anni – se non decenni – ha protetto Domenico Condello, “Micu u pacciu”, condannato da latitante all’ergastolo per l’omicidio del boss Don Paolo De Stefano e per oltre 22 anni sfuggito agli investigatori. La primula nera della `ndrangheta reggina, cugino del boss Pasquale Condello, conosciuto come il “Supremo”, è stato arrestato l’11 ottobre scorso. Una cattura arrivata al termine di una strategia che ha progressivamente eroso la rete che lo ha protetto, facendo scattare le manette per familiari e fiancheggiatori, oggi alla sbarra nel procedimento “Reggio nord-Lancio” che li vede imputati. Donne e uomini legati a Condello da rapporti di parentela diretta o collaterale che attorno a lui hanno creato per anni una granitica cortina di fumo. Una strategia – si leggeva nel provvedimento di fermo – utile anche perché «l’attività di copertura riferibile alla cellula criminale formata dai favoreggiatori non si è limitata ad una semplice attività di assistenza nei confronti del ricercato ma è divenuta il migliore strumento nella disponibilità di Condello per mantenere la compattezza originaria del sodalizio».
È toccato al capitano dei carabinieri Antonio Parrillo spiegare al Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Olga Tarsia come gli investigatori siano progressivamente riusciti a individuare la trama fitta di rapporti, favori, ma anche estreme cautele, periodiche bonifiche e perfino sabotaggi di telecamere, che ha permesso a “Micu u Pacciu” di sfuggire per anni agli inquirenti. Un’indagine che avrà una prima svolta – spiega il capitano – quando Bruno Tegano, cognato di Condello, verrà individuato come uomo di vertice della struttura che gestisce la latitanza del boss. È seguendo Tegano che l`11 gennaio 2010, individuano al civico n.3 della via Nazionale Bolano di Catona un covo ancora “caldo”, all’interno del quale vengono rinvenuti indumenti e reperti che permettono di tracciare il profilo genetico del latitante, medicine – si scoprirà poi – prescritte alla suocera del ricercato, così come alcuni pizzini, che il Ris di Messina riuscirà ad attribuire a “Micu u pacciu”, grazie al confronto grafologico con due manoscritti scoperti nel corso di una precedente perquisizione. Manoscritti trovati in una casa nelle disponibilità di Giuseppa Cotroneo, suocera dell`ergastolano Pasquale Condello junior, ma anche dell`ex assessore all`Urbanistica del Comune di Reggio Calabria Luigi Tuccio. Messaggi dal contenuto inequivocabile. «Cara commare Pina io me ne sto andando. Mi diceva l`amico qui che ogni tanto per un paio di giorni posso venire, e io l`ho ringraziato. Lascio qui tutto quello che mi avete mandato perché se torno mi può servire.Vi ringrazio di tutto. Se avete bisogno mi fate sapere. Vi abbraccio e se Dio vuole ci rivedremo». Così “Compare M” scriveva alla suocera dell’ex assessore Tuccio, che – secondo quanto emerso – ai messaggi che il boss le mandava doveva tenere davvero molto, se è vero che gli investigatori, nel corso della perquisizione, troveranno – accuratamente conservato – anche il pizzino con cui Condello si congratulava per la laurea della figlia. Una storia imbarazzante per il politico, che dopo qualche settimana di dichiarazioni infuocate e qualche «non ero a conoscenza delle parentele della mia compagna» – sceglierà di dimettersi. Ma la Cotroneo – è il pentito Iannò a rivelarlo – avrebbe fornito supporto logistico ad altri latitanti del cartello Imerti-Condello, adoperandosi anche a nascondere armi ed auto. Tutte circostanze su cui il capitano Parrillo non può riferire, ma che toccherà al collaboratore – in tal veste chiamato dal pm Rocco Cosentino, che assieme al sostituto Giuseppe Lombardo ha firmato l’inchiesta, e adesso dovrà sostenere il dibattimento – riferire. Insieme con lui, potrebbe essere chiamato a testimoniare anche il pentito Roberto Moio, che – ha oggi ricordato l’ufficiale – ha indicato senza esitazione Bruno Tegano come l’uomo più vicino all’ex primula nera della `ndrangheta, confermando l’ipotesi investigativa degli inquirenti che in lui avevano identificato il «soggetto cerniera». Un vero e proprio perno su cui – si legge nel provvedimento di fermo – si reggeva un meccanismo perfetto e ben oliato che ha protetto “Micu u pacciu” e mantenuto inalterata la sua autorità, perché «da una parte, si riducono al minimo i rischi per l’associazione di tipo mafioso con la creazione di un cuscinetto in grado di assorbire i contraccolpi che derivano dall`incessante attività di ricerca del latitante da parte dell’autorità giudiziaria», ma dall’altra permette al clan di continuare «a beneficiare del ruolo attivo del suo capo attraverso l`immediata disponibilità del soggetto cerniera, che è l’unico destinato a ricevere le disposizioni di questi ed a veicolare gli ordini impartiti verso gli altri componenti della cosca di riferimento: si creano, in altre parole, le premesse di un sistema di protezione in cui il rischio ricade sul solo soggetto che svolge il ruolo sin qui delineato». (0050)