E adesso un cambiamento vero e reale
L’implosione del Partito Democratico è lo specchio di una più diffusa crisi dello spirito democratico nel nostro Paese. Che dovesse colpire il Pd, era grosso modo inevitabile, essendo questo partito…

L’implosione del Partito Democratico è lo specchio di una più diffusa crisi dello spirito democratico nel nostro Paese. Che dovesse colpire il Pd, era grosso modo inevitabile, essendo questo partito, pur con tutti i suoi limiti, un ultimo residuo embrione di partito realmente rappresentativo. L’esplosione della guerra senza quartiere tra persone e fazioni consumatasi in modo cosi violento e mortificante durante l’elezione del presidente della Repubblica è la manifestazione delle contraddizioni dell’homo democraticus nel nostro paese e cioè di quel sistema di valori soggettivi che dovrebbero appartenere ad ogni singolo cittadino di una democrazia matura. È individuo pienamente democratico chi ha una percezione profonda degli interessi e valori più profondi dentro sé e fuori di sé ed è dunque capace di realizzare a pieno la propria creativa soggettività e il proprio talento nel vasto sistema delle relazioni sociali. Oggi, a una semplice osservazione, queste sane condizioni soggettive della democrazia si sono completamente sfrangiate privilegiando l’affermarsi di un individuo che ha interessi di breve scadenza e che non riesce più a riconoscersi nello spirito di comunità, quindi di comune appartenenza politica. È l’amalgama di piccoli e grandi interessi, che privi di una coscienza critica si combattono vicendevolmente, in qualche caso per il solo gusto di combattersi. Vedo, in questa situazione, soltanto uno scatto convulso di ansie e singole velleità che non hanno possibilità di sviluppare una sola positiva azione sociale e si risolvono in puro presenzialismo, a volte sterile.
Ecco, con le dovute proporzioni, questa crisi dell’homo democraticus, si è verificata nell’ambito di una specifica comunità, ossia il Partito democratico. Ho descritto qualche mese fa quello che era dinanzi agli occhi: individui e gruppi che non hanno compreso non solo la propria appartenenza a un progetto più grande e ad una comune missione storica, ma che neppure sono stati sfiorati dalla percezione della propria identità (di gruppo o del proprio ruolo individuale).
In un impazzimento generale che va avanti da mesi o forse qualcosa di più, in questo partito, correnti sbiadite e sensibilità appiattite, senza radici e senz’anima, sono diventate in troppi casi lo strumento di uomini e donne per garantire un proprio astratto desiderio individuale di presenza. E nulla di più. Si è dimenticato che la politica e ogni ruolo di rappresentanza ha come primo obiettivo sviluppare le condizioni di un miglioramento della società: fare, insomma, il bene delle persone che stanno fuori dal partito.
La crisi era dunque profonda. Quasi finale. Per questo i giorni che abbiamo davanti hanno natura assolutamente rifondativa. E trovo davvero miope chi sollecita, in Italia e a livello territoriale, congressi immediati. Senza un lavoro di riflessione politica, fare i congressi del partito è come se in una casa che crolla ci si preoccupasse di chi tiene le chiavi del portone d’ingresso. Occorre creare quel cemento aggregante, che possa consentire ad un partito, pur nella complicata crisi della democrazia rappresentativa, a tornare ad essere una comunità politica solidale, capace di giocare un ruolo nella vita istituzionale del Paese. Io credo che una realtà che non voglia trovare, come auspicabile, il proprio elemento unificante nella condizione di essere proprietà di un singolo o di singoli (come nel caso del Pdl) né su un’astratta quanto provvisoria e traballante identità di comunità di rottura (come nel caso del Movimento 5 stelle) debba lavorare sui seguenti quattro elementi: la formazione, il rinnovamento, l’organizzazione, l’identità programmatica e dei valori.
Primo punto. Così come in democrazia, la scuola e l’educazione sono il primo strumento per formare cittadini capaci di vivere quella stessa comunità, così anche in un partito, non vi è dubbio che la formazione politica di militanti e di amministratori è un fattore decisivo anzitutto per produrre la capacità di stare e lavorare assieme sulla base di un comune sentire. Inoltre solo la formazione può garantire l’elaborazione interiore del senso di sacrificio e di responsabilità che accompagnano ogni carica pubblica nonché del particolare mix di competenze e qualità umane che deve determinare l’accesso alla stessa. Sarebbero questi importanti passi avanti poiché è facile verificare anche attraverso un’osservazione diretta che oggi tutti pensano di poter fare tutto e, soprattutto, misurano la qualità del progetto partitico territoriale con il livello di protagonismo individuale vivendo ogni occasione di candidatura a cariche pubbliche o di partito come una pura occupazione di caselle, senza creare un sano vincolo tra la propria capacità, il merito e il proprio talento e le responsabilità scaturenti dalla carica medesima. Infine la formazione è elemento decisivo per ricostruire un senso più generale di responsabilità e di etica pubblica, elementi, questi, non meno decisivi per ridefinire la politica nei termini di una missione alta e restituirle un senso di vera credibilità.
Secondo punto. Il rinnovamento. La crisi di questi giorni ci dice che il rinnovamento delle classi dirigenti diventa una spietata necessità. Non soggetta più ad alcuna forma di compromesso. Fatte salve le condizioni di formazione e di adeguatezza delle nuove classi dirigenti, il ricambio va sostenuto e prodotto da subito. Sia per quanto riguarda le cariche di partito che quelle di rappresentanza. Da un lato il ricambio è condizione determinante quando occorre rifondare un partito senza rimanere invischiati nelle contese teoriche e personali di decenni; dall’altra esso permette di risintonizzarsi con l’opinione pubblica, garantendo ad essa che il cambiamento è concretamente in atto. Il ritiro di un gruppo dirigente più anziano, o meglio il passaggio da un ruolo di protagonismo diretto ad un ruolo di puro servizio, indica anche la misura dell’amore che quello nutre, nel caso del Pd, per le sorti del maggiore partito progressista d’Italia. È necessario per tutti loro comprendere che, a torto o a ragione, la loro sola presenza nel dibattito pubblico diventa un fattore respingente rispetto all’elettorato d’opinione, danneggiando l’immagine di tutto il partito. Ecco, il Partito democratico non può rinunciare a nessun pezzo del proprio elettorato d’opinione, che risulta oggi, secondo sondaggi, essere il più volatile. La somma d’un astratto elettorato di appartenenza e di quello di natura personale (fiduciario o clientelare) oggi farebbe del partito una forza, purtroppo, largamente minoritaria.
Terzo punto. L’organizzazione. Pur dovendo il Pd confrontarsi con le sfide e i nuovi linguaggi della rete e della multimedialità, l’organizzazione fisica sui territori rimane una necessità per sviluppare a pieno la propria natura di partito sentito e avvertito da militanti e cittadini e per favorire lo sviluppo e la natura democratica del partito stesso. Dunque, pur essendo d’accordo su una forte riduzione del finanziamento pubblico (da compensare con metodi più affinati di autofinanziamento e di contribuzione volontaria), la riduzione a zero degli stessi e la conseguente impossibilità di dotarsi di una struttura organizzata è una concezione che non credo possa rispondere alle esigenze di un vero partito di sinistra.
Quarto e ultimo punto. I valori fondativi e l’azione programmatica. Si tratta del punto più complicato. Prima ancora di parlare di congresso il nostro partito ad ogni livello deve declinare il senso dei propri valori e del proprio agire, rinvenendo punti condivisi sulle forme di organizzazione del partito nuovo, sulla propria visione di politica e di sviluppo capitalistico e di mercato, sulla propria collocazione politica in Italia e in Europa, sulle politiche fiscali e del lavoro che declinano la nozione di giustizia sociale, sulla posizione in tema di diritti civili e sociali. Credo che queste linee di indirizzo condiviso (e anche altre, a dire il vero) siano irrinuncia
bili e non possono essere lasciate al dibattito interno tra piattaforme completamente diverse. Credo francamente, che uno dei motivi della sconfitta del Pd, assieme a tanti altri fattori, sia stato quello di essersi legato a primarie dove almeno i principali competitors rappresentavano due visioni di partito e società completamente distinte e quindi incapaci di riconoscersi a vicenda. Mi rendo conto che questa è una partita complicata e difficile, ma essa non è rinviabile. Non possiamo permetterci più un Pd rattoppato per le sole occasioni elettorali, incapace di costruire un popolo, un’autonomia piena e una missione di cambiamento vero e reale. E forse non se lo possono permettere né l’Italia, né l’Europa.
*Capogruppo Pd Catanzaro