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Il potere fondato sulla droga

RENDE Sempre più idolo, sempre più affabulatore seducente e sacra icona dell’antimafia verso cui è difficile parlar male, pena incorrere nel politicamente scorretto. Roberto Saviano resta figura capa…

Pubblicato il: 14/05/2013 – 19:03
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Il potere fondato sulla droga

RENDE Sempre più idolo, sempre più affabulatore seducente e sacra icona dell’antimafia verso cui è difficile parlar male, pena incorrere nel politicamente scorretto. Roberto Saviano resta figura capace di attrarre centinaia di studenti dell’Unical per assistere alla sua presentazione di Zero Zero Zero, libro sulla cocaina dentro cui c’è parecchia Calabria e molta ‘ndrangheta. L’aula magna gremita, altre aule predisposte per lo streaming dell’incontro. Una calamita di notorietà che faceva andare su di giri i giannizzeri di scorta, scortesi al punto giusto visto il mestiere che fanno. Nuccio Ordine ha fatto da ottimo cerimoniere, organizzatore dell’evento, tenendo il timone della serata ben saldo, fino a costringere Saviano a restare finché l’ultimo studente presente si fosse visto firmare con dedica il volume edito da Feltrinelli appena acquistato. Praticamente un sequestro di persona, vista la quantità di gente che alla fine della serata si era masochisticamente messa in fila. Quando Ordine e Saviano entrano in sala, finalmente le note dell’Inno alla gioia si spengono, dopo aver tormentato i presenti per una buona ora di fila. La scelta della colonna sonora dell’evento tuttavia non è casuale, perché come spiega Nuccio Ordine  i motivi di gioia sarebbero diversi, primo tra  tutti il fatto che  è la prima volta che Saviano viene in Calabria e che presenta il suo libro presso una università. E dopo un veloce intervento di Raffaele Perrelli, la parola passa rapidamente a tre studenti, tutti vinti da una emozione incontenibile. Chiedono dell’omertà,  di come si possa uscire dall’inferno, di quanto la liberalizzazione delle droghe – per come proposto dallo stesso Saviano –  possa essere utile per vincere la guerra contro le mafie.
Saviano comincia a parlare e un silenzio quasi devoto cala nell’aula magna. Spiega che la criminalità si nutre di miti, che vanno decostruiti, smontati, resi inefficaci. Spiega che dalle intercettazioni si capisce che molti codici usati sono scena, atteggiamenti simulazione di comportamenti che poi vengono replicati nelle strade dai ragazzi. «Il mito è l’ufficio stampa delle organizzazioni», dice lapidario lo scrittore, attraverso di esso si costruisce una egemonia culturale. Che si fonda pure sull’essere pronti a pagare attraverso anni di carcere, dimostrando esattamente con questo il proprio potere. Tra le mafie la ‘ndrangheta – dice Saviano – è quella maggiormente attenta alla discrezione, a reprimere l’apparenza e racconta di quando era necessario trovare l’erede del Tiradritto e fu scartato un possibile candidato perché troppo appariscente nei comportamenti. Per Saviano la ‘ndrangheta resta la coniugazione efficacissima di arcaicità e modernità, con i riti e la Madonna di Polsi da una parte e dall’altra la quantità enorme di denaro investita tramite i canali più sofisticati. Sulla liberalizzazione della droga, Saviano è tranciante, pur senza soffermasti troppo sul tema, dicendo solo che in quel modo si prosciugherebbe il mare di denaro. Intanto resta l’efficace descrizione per passaggi che della ‘ndrangheta fa Saviano, quando dice che «il denaro si trasforma in coca, la coca in betoniera, quest’ultima in cemento e palazzi, i palazzi in consensi e voti e infine tutto in supermercati, che significano anche clientela» Una catena di potere che apparentemente non spiega la Calabria raccontata da Saviano, fatta di bunker dove i boss passano l’esistenza e di vite miserabili pur se ricchissime. Vite «educate alla disumanità – spiega lo scrittore – e all’inferno». Contro tutto ciò forse la cosa necessaria, pur se difficile è resistere, perché citando l’amato Giordano Bruno, Saviano rammenta che «non solo chi vince va lodato, ma anche chi non vive da codardo».  E resistere contro l’inferno vuol dire respingere l’idea di essere tutti uguali, ma anzi continuare testardamente a pensare a una vita differente. Quanto alla sua di vita, «io volevo la notorietà che ho trovato, perché era necessaria per  raccontare e spiegare quell’inferno a più persone possibile, questo è il mio demone», conclude davanti agli studenti. Quella notorietà lo porterà alla dolce fatica di firmare centinaia di copie del suo ultimo libro fino a tarda sera. (0080)

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