Processo "barracuda", condannata la banda che eseguiva i furti
REGGIO CALABRIA Sono pene ridotte rispetto a quelle richieste in sede di requisitoria dal pm Paolo Sirleo, ma ugualmente pesantissime, quelle con cui il Tribunale di Reggio Calabria ha voluto punire…

REGGIO CALABRIA Sono pene ridotte rispetto a quelle richieste in sede di requisitoria dal pm Paolo Sirleo, ma ugualmente pesantissime, quelle con cui il Tribunale di Reggio Calabria ha voluto punire gli imputati del procedimento “Barracuda”, accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alle rapine agli anziani, rapina aggravata, lesioni aggravate e sequestro di persona.
La pena più alta va a Domenico Palmisano, condannato a 26 anni e 9 mesi di carcere, rispetto ai trenta chiesti dal pm. Medesima condanna richiesta in sede di requisitoria per i fratelli Carmelo e Fabio Calù, che se la cavano rispettivamente con 14 anni e 6 mesi di reclusione e 20 anni di reclusione, e per Antonio Caracciolo, condannato a 22 anni e 9 mesi. Pene pesanti, nonostante siano caduti molti dei capi di imputazione contestati, così come severe sono le condanne inflitte a Demetrio Monorchio, che in carcere dovrà passare 13 anni e 3 mesi a fronte dei ventisette invocati dal pm e Salvatore Bonura, condannato a 11 anni, dodici in meno di quanto chiesto dalla pubblica accusa.
Sono solo cinque invece gli anni di carcere inflitti a Mirko Falcomatà, per il quale il pm Sirleo aveva invocato una condanna a sedici anni di reclusione. Supera invece di sei mesi la richiesta la pena inflitta a Giovanni Bellantoni, cui il Tribunale ha comminato una pena di 11 anni e sei mesi di reclusione a fronte degli undici richiesti.
Per i giudici sono loro i responsabili della banda che a Reggio aveva scelto come vittime privilegiate gli anziani, che sorprendeva da soli in casa e non esitava a spogliare di qualsiasi cosa avessero di valore. Una banda organizzata, con ruoli definiti e una gestione pianificata dei proventi delle rapine – ha sostenuto la pubblica accusa e confermato la sentenza – tutte portate a termine con tecniche consolidate, secondo una prassi ormai divenuta metodo. Quattordici i colpi che la gang, guidata dai fratelli Camelo e Fabio Calù, avrebbe messo a segno senza alcuna remora né pietà, e che sono stati ricordati in aula nel corso del dibattimento dalla viva voce delle vittime. Parole che il pm aveva ricordato nel corso della durissima requisitoria, assieme alle intercettazioni – inequivocabili – che hanno inchiodato i componenti della banda, tutti responsabili di crimini efferati, portati a termine con spietata determinazione. E che – se non fossero intervenuti i carabinieri – avrebbero continuato a commettere. A rivelarlo è la stessa Carmela Lauro, arrestata assieme al resto della banda, che intercettata dagli inquirenti afferma: «Furono bastardi quelli (riferito ai militari dell’Arma), se non ci… col cazzo ci prendevano, tutta Reggio piangeva». (0010)