ALL INSIDE /3 | Fenomenologia del clan Ascone
ROSARNO Stando alle sentenze, non sono, o meglio non sono ancora, un clan. Ma per gli inquirenti – che da anni ne seguono l’evoluzione criminale – gli Ascone di Rosarno, sono una delle famiglie satel…

ROSARNO Stando alle sentenze, non sono, o meglio non sono ancora, un clan. Ma per gli inquirenti – che da anni ne seguono l’evoluzione criminale – gli Ascone di Rosarno, sono una delle famiglie satellite dei Bellocco, storica consorteria che da decenni detta legge nella Piana, e con i Pesce divide – in regime di più o meno stabile pacifica convivenza – affari e territorio. Se confermata in sede processuale, l’operazione “All inside 3”, che oggi ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 23 presunti affiliati al clan Ascone, sette dei quali già in carcere, sarà la prima a sancire anche giuridicamente l’esistenza di una famiglia mafiosa, divenuta clan al fuoco della faida che l’ha opposta alla cosca Pesce.
Un conflitto dalle radici antiche, riconducibili al duplice omicidio di due elementi ritenuti vicini al gruppo Bellocco-Ascone, i fratelli Maurizio e Domenico Cannizzaro, freddati nel febbraio 1999 da assassini ancora senza un volto. Un delitto che gli inquirenti ritengono l’inizio della lunghissima e sanguinosa faida culminata nell’omicidio di Domenico Sabatino, uomo dei Pesce, e Vincenzo Ascone, uomo di fiducia di Giuseppe Bellocco, rimasto senza protezione quando il capoclan è finito dietro le sbarre.
Sul conflitto che ha insanguinato la Piana, le indagini devono ancora fare luce, anche se – fanno capire gli inquirenti – accertamenti sono tuttora in corso e presto si potrebbe giungere a contestazioni precise. «Ci sono i presupposti – ha sottolineato il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Michele Prestipino Giarritta – perché quest`attività possa continuare e ottenere altri riscontri». Ma è stato proprio nel corso dell’inchiesta sulla lunga scia di sangue che ha sporcato la Piana, che gli investigatori sono riusciti a delineare la struttura organizzativa e il modus operandi degli Ascone, così come la loro intima connessione con i Bellocco. A loro carico ci sono accuse che vanno dall’associazione mafiosa, all’intestazione fittizia di beni, passando per la detenzione e porto abusivo di armi, anche da guerra, e di droga, tutte aggravate dall’articolo sette.
«Si tratta di un’indagine importante – ha detto il procuratore capo Federico Cafiero De Raho – perché ha dimostrato come la `ndrangheta continui a muoversi sulla base di regole, forme e giuramenti che legano i singoli partecipi al gruppo criminale», ma senza rinunciare a una «prepotente infiltrazione» nel tessuto economico rosarnese, tradottosi soprattutto nell’accaparramento del settore dei trasporti. Un settore strategico – spiega Prestipino – e che ormai i clan gestiscono praticamente «in regime di monopolio».
«Il settore dell`autotrasporto è importante perché movimenta l`economia e i beni verso il porto di Gioia Tauro» commenta l’aggiunto, sottolineando come le risultanze dell’operazione che ha portato ai 23 arresti di oggi, siano un’ulteriore conferma del filone investigativo sulle cosche della Piana che ha già portato non solo ad arresti importanti, ma ad ancor più significative conferme arrivate in sede processuale. «Si tratta di una manovra investigativa di amplissimo raggio e che vede impegnata la Dda di Reggio Calabria, il Comando provinciale dei carabinieri e non solo, nell`azione di contrasto alla criminalità mafiosa, e si colloca come seguito di due attività svolte sia contro la cosca Pesce che Bellocco».
È questo il quadro in cui viene delineato il perimetro criminale della famiglia Ascone, che per i magistrati è un’organizzazione rigidamente strutturata, in cui ogni componente della famiglia – incluse le donne – ha un ruolo e un compito preciso. E probabilmente è questo il punto che fa registrare la novità più significativa, commenta il maggiore Michele Miulli, comandante del Nucleo investigativo dell`Arma, sottolineando: «Le donne in questo caso non sono semplicemente custodi delle regole della `ndrangheta, non si limitano a portare messaggi dentro e fuori dal carcere, ma si sono fatte promotrici di determinate iniziative criminali». È il caso di Carmela Fiumara e Francesca Marfea, rispettivamente mogli del capocosca e del reggente. Ed è proprio la Marfea – riferisce Miulli – a dimostrare più di tutti non solo di conoscere e credere nelle regole che la `ndrangheta impone, ma soprattutto di essere determinata a esigerne il rispetto. «Se non ho il figlio difindutu, fazzu a prima pentita di Rosarno (se mio figlio non viene difeso, mi converto nella prima pentita di Rosarno,)»: così la donna, moglie di Salvatore Ascone, considerato il reggente della cosca, ma da lei ritenuto troppo debole per organizzare una reazione immediata, si rivolge al nipote Vincenzo, all’epoca detenuto, per pretendere vendetta per l`omicidio del figlio Domenico Ascone, ucciso a Rosarno il 14 agosto 2007.
«La famiglia Ascone – specifica il procuratore aggiunto Michele Prestipino – viene considerata una delle famiglie minori, ma non lo sono affatto dal punto di vista criminale. Questo lavoro ci ha permesso di ricostruire struttura, ruoli di vertice e di comando, organizzazione, partecipi. Ma sono stati anche state ricostruite le dinamiche che hanno portato a situazioni di conflittualità e di contrasto al gruppo Pesce». (0040)