"Meta", Parillo: i Lo Giudice non hanno indicato il luogo in cui si trovava Condello
REGGIO CALABRIA «Non sono riscontrabili elementi di alcun tipo secondo cui Nino e Luciano Lo Giudice abbiano indicato la località di Pellaro in prossimità della cattura di Pasquale Condello». È la te…

REGGIO CALABRIA «Non sono riscontrabili elementi di alcun tipo secondo cui Nino e Luciano Lo Giudice abbiano indicato la località di Pellaro in prossimità della cattura di Pasquale Condello». È la testimonianza del capitano del Ros Antonio Parillo – nel corso del processo “Meta” – a fare definitivamente chiarezza sul presunto contributo dei fratelli Lo Giudice nella cattura del superboss Pasquale Condello. Una vicenda che proprio una precedente deposizione in altro processo del capitano, destinatario per iniziativa del pm Beatrice Ronchi di una curiosa delega di indagine su rapporti fra il clan Condello e la cosca Lo Giudice – aveva contribuito ad ingarbugliare.
LE SOFFIATE DI MAISANO
Contratto, preciso, attento persino ai termini utilizzati, il capitano riferisce di essere stato investito della delega per riscontrare le dichiarazioni del brigadiere Francesco Maisano – in forze al Ros, ma addetto alla gestione delle auto – che in tre diverse occasioni aveva riferito le indicazioni su Pasquale Condello avute da Luciano Lo Giudice. «Maisano – riferisce Parillo – si interfacciava con Luciano Lo Giudice che autonomamente dava indicazioni a suo parere utili su Condello. Il brigadiere mi ha parlato di tre distinte circostanze relative a uno stabile in via Lia, un sopralluogo su Pellaro e il ruolo di Giovanni Barillà come favoreggiatore». Circostanze cui il capitano deve trovare riscontri, ma senza appurare quello che il pm Giuseppe Lombardo definisce «probabilmente l’aspetto più banale in caso di indagini di questo tipo»: quando è iniziato e quando si è concluso il rapporto del brigadiere con la fonte. «A Maisano non l’ho mai chiesto – dice quasi smarrito Parillo – nella delega non c’era». E neanche le carte potrebbero aiutare in tal senso. Le soffiate di Luciano non sono mai state formalizzate in relazioni di servizio o atti ufficiali dell’Arma e per questo impossibili –sostiene il capitano – da collocare con certezza nel tempo, fatta eccezione per la perquisizione in via Lia, realizzata il 5 giugno 2007. Una data cui è stato possibile risalire grazie agli ordini di servizio dei militari impegnati nell’operazione – il Ros, il nucleo radiomobile e quelli del comando provinciale – ma sulla quale non è stato possibile rinvenire né un verbale, né un’annotazione. È stato solo dalle testimonianze di Maisano, come degli uomini coinvolti nell’attività di quella notte che il capitano sarebbe riuscito a ricostruire che «l’informazione era arrivata da Luciano Lo Giudice, che in quello stabile aveva un appartamento e aveva visto più volte Andrea Carmelo Vazzana. Pensava fosse un favoreggiatore di Condello, ma non si aveva cognizione della presenza del latitante lì, si trattava solo di un’attività esplorativa». Un’attività conclusasi con un buco nell’acqua.
IL ROS GIA` SAPEVA
Ancor meno sarebbero state utili le altre due indicazioni fornite da Luciano e riferite dal brigadiere Maisano. Quando Giovanni Barillà viene indicato come possibile favoreggiatore della latitanza del superboss, da tempo è nel mirino degli investigatori. «L’intendimento del Ros di indagare su Giovanni Barillà – chiarisce Parillo – risale quanto meno al marzo 2005». E ancor prima, anche la polizia avrebbe per lungo tempo monitorato il futuro genero del superboss, tanto che agli atti di un procedimento del 2004 risulta una richiesta di intercettazione a carico di Barillà che viene respinta perché «il soggetto risulta già attenzionato da altra forza di polizia». «Informalmente – spiega infatti il capitano – ho scoperto che dopo “Vertice”, la polizia di Stato si è occupata della cattura di Condello e Barillà era già monitorato all’epoca. Poi, nel 2004-2005, è subentrato di nuovo il Ros». Ma come il Ros era già perfettamente a conoscenza del potenziale ruolo di fiancheggiatore di Barillà, allo stesso modo, quando «nella primavera-estate del 2007» da Maisano arriva la soffiata su Pellaro – stando alla ricostruzione del capitano in base ai ricordi del Antonio Cosentino, che aveva al tempo accompagnato il brigadiere per un sopralluogo – da tempo gli uomini all’epoca al comando di Valerio Giardina, da tempo monitoravano Pellaro. È lo stesso Parillo a riferire, infatti, che agli atti risulta una relazione di servizio del 29 novembre del 2006 che da conto dell’avvistamento della moglie di Condello, Maria Morabito, dopo quello che in gergo viene definito “allontanamento volontario”. Quando la donna viene «riagganciata» – afferma il capitano – «madre e figlia avevano in mano un sacchetto della spazzatura, all’interno del quale è stato rinvenuto uno scontrino della Sma di Pellaro». All’epoca, ricostruisce l’ufficiale, il Ros ha tentato anche di acquisire le videoregistrazioni di quel negozio, che – svela, rispondendo alle domande del pm Lombardo – sta «a non più di trecento metri dalla casa di Giovanni Chilà», uno dei favoreggiatori della latitanza del superboss e «a meno di 1,5-2 chilometri» dall’appartamento di via Filici in cui è stato scovato Condello. E Chilà, come i Vazzana erano soggetti che da tempo stavano nel mirino. A indirizzare le forze di polizia sui parenti più o meno stretti della primula nera della ndrangheta reggina, sarebbero stati anche i Servizi di intelligence, che a fine 2004 avevano trasmesso al Ros una nota con cui informavano che Andrea e Francesco Vazzana erano gli elementi di collegamento destinati a curare gli interessi criminali del noto parente, mentre Andrea Carmelo Vazzana ne era il luogotenente e l’unico con cui fosse direttamente in contatto. Un’informazione che – presumibilmente – sarebbe stata passata anche alla polizia, all’epoca ancora titolare delle indagini sul superboss.
ATTI IN PROCURA PER LE ELEZIONI A SAN PROCOPIO
Ma chiarita la vicenda che nelle scorse settimane aveva fatto saltare i nervi al pm Lombardo, che in aula aveva vivamente protestato per essere stato costretto ad apprendere «dagli organi di stampa – e questo è grave – che è stata depositata in altro procedimento attività integrativa di indagine riguardante la cattura di Pasquale Condello e che tuttora non è in mia disponibilità», sono altre le circostanze che fanno saltare il sostituto dalla sedia. Carmelo Surace, parroco di San Procopio, chiamato in aula come teste a discarico dell’ex sindaco Rocco Palermo – finito in manette per i rapporti oltremodo cordiali con il boss Cosimo Alvaro, cui faceva anche da autista – ha serenamente raccontato come in occasione della campagna elettorale del 2007, l’allora aspirante primo cittadino avrebbe costruito la sua elezione. «Si era giunti a un compromesso con l’amministrazione precedente. Il sindaco sarebbe stato Rocco Palermo, mentre il vicesindaco sarebbe stato il figlio dell’ex primo cittadino. In cambio, l’ex sindaco ha accettato di non presentare una propria lista». A garantire la legittimità dell’elezione, che in caso di presentazione di un’unica lista nei Comuni con una popolazione inferiore ai 5mila abitanti è legata al raggiungimento di un quasi inarrivabile quorum pari al 51% dei votanti, ci ha pensato una “lista civetta” appositamente costituita dallo stesso Palermo. Una circostanza raccontata con assoluta serenità – e in dettaglio – dal parroco che ha liquidato la questione come «normale prassi». Anche l’attuale sindaco del piccolo Comune aspromontano, l’assessore provinciale alla Cultura e alla legalità, Edoardo Lamberti Castronuovo – sottolinea il parroco – ha fatto così. Affermazioni meritevoli di maggiore approfondimento per il pm Lombardo, che al termine della deposizione ha chiesto l’immediata trasmissione degli atti in Procura. «Qui – ha tuonato il pm – siamo in presenza di una procedura che si vuole fare passare per normale, ma normale non è. Chiedo immediatamente la trasmissione degli atti perché il cittadino ha il diritto di sapere quando, come e perché viene fatta una lista solo per aggirare una normativa dell
o Stato italiano». (0050)