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Il sistema cocaina

Con grande clamore mediatico è apparso da poche settimane in libreria il secondo  libro di Roberto Saviano “Zero, zero, zero”, questa volta dedicato al dominio della cocaina sul mondo occidentale. Di…

Pubblicato il: 10/07/2013 – 15:53
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Il sistema cocaina

Con grande clamore mediatico è apparso da poche settimane in libreria il secondo  libro di Roberto Saviano “Zero, zero, zero”, questa volta dedicato al dominio della cocaina sul mondo occidentale. Dietro la cocaina vi sono i suoi produttori, i trafficanti, gli artefici, della sua rapida, travolgente conquista dei cinque continenti, della vita sociale di grandi città metropolitane, dell’economia, della finanza internazionale. Non a caso il sistema cocaina viene definito “la più grande azienda del mondo” con un fatturato di oltre trecento miliardi di dollari all’anno. Come di consueto, il libro è preceduto da un lungo lavoro di ricerca e offre il racconto vivo, in diretta quasi, dello sconvolgimento operato dall’urto del narcotraffico all’interno delle stesse organizzazioni criminali, della violenza estrema con le quali si combattono per assicurarsi maggiori quote di mercato.
Quello che più conta, a mio avviso, al di là di tali aspetti, è la – ulteriore – dimostrazione della insostenibilità del regime proibizionistico che di tale disastro è stato la causa principale, tanto da rendere indifferibile il tema della legalizzazione del consumo delle droghe nel mondo. Saviano ne parla, non tanto nel libro, quanto in sede di presentazione e di commento, che, come è facile immaginare, ha trovato ampio risalto sui mezzi di comunicazione. Bene ha fatto l’autore a ricordare le parole di Antonio Maria Costa, responsabile dell’UNODOC di Vienna a proposito del ruolo fondamentale dei proventi della droga nel circuito bancario e finanziario internazionale in occasione della crisi del 2008. Ne avevo parlato anch’io sulle colonne di questo periodico nell’articolo “Effetto boomerang” del 1° settembre del 2011, nel quale avevo riportato per esteso ampi brani delle allora misconosciute dichiarazioni rese da Costa. Quella fu una tappa fondamentale del percorso di presa di coscienza dei funesti effetti del proibizionismo, e da allora furono numerosi gli interventi che si susseguirono nella medesima direzione. Restano le fermissime opposizioni da parte di coloro che identificano il contrasto al consumo di droga con la strategia proibizionista, che quei consumi non solo non ha per nulla depresso, ma ha, in più, determinato l’ascesa criminale, economica e finanziaria delle mafie, in particolare la ‘ndrangheta, e gravissimi effetti sulla vita di intere nazioni. Basterebbe fare, per tutti, il caso del Messico e dei suoi cinquantamila morti ammazzati negli ultimi anni per effetto della guerra tra i cartelli che si contendono il dominio sul ricchissimo mercato della cocaina. Se da qualche anno i consumi sono leggermente calati non è certo effetto dei successi investigativi ma unicamente della depressione economica che ha riguardato, e non poteva essere diversamente, anche questo costoso consumo voluttuario. Da settembre 2011 sono tornato sul tema con vari altri articoli (almeno una dozzina), per sottolineare i vari aspetti del sistema cocaina, dalla inattendibilità dei dati ufficiali sui “successi” nel contrasto al traffico, alla diffusione delle opinioni che mettono apertamente in discussione in maniera articolata la logica proibizionista sinora dominante. A tali contributi si aggiunge oggi quello di Saviano e grande è l’impatto che questo potrà produrre sulla pubblica opinione, dal momento che dalle parti della politica non giungono segnali, e nessuna delle formazioni politiche, neppure la più innovativa tra esse, ha dedicato un solo rigo a tale problema. Insomma, un quadro in movimento, ma senza prospettive concrete, almeno a breve termine. Si comprende così la conclusione alla quale giunge lo scrittore napoletano, secondo il quale “la Calabria è la nuova Bolivia dell’Europa”. Ben detto. Mi sia consentito a questo punto una citazione personale. Nel lontano 30 agosto del 1989 venne pubblicata su “Il Messaggero”, una intervista da me rilasciata a Gianfranco Manfredi. Erano passati pochi giorni dall’omicidio di Lodovico Ligato, che fece all’epoca scalpore, forse più ancora di quello determinato dall’omicidio di Francesco Fortugno.  Parlai in quell’occasione della pericolosità della ‘ndrangheta, dei suoi rapporti con la politica tra violenza e corruzione, della sua crescente diffusione sul territorio nazionale, e dissi che  il nuovo corso della ‘ndrangheta sembrava seguire il  “modello boliviano”. La cosa più singolare fu che, a qualche giorno di distanza dalla pubblicazione di quell’articolo, l’ambasciatore boliviano in Italia scrisse al giornale una lettera a me diretta, nella quale con tono ovviamente… diplomatico, ma non per questo meno determinato, si lamentava dell’accostamento tra il suo paese e la regione Calabria, dal momento – diceva – che in Bolivia non vi era la mafia, mentre in Calabria… Mi invitava infine a visitarla, la Bolivia, per rendermi conto personalmente di quel modello di democrazia, ma, avendo io ben viva memoria di una indagine condotta qualche anno prima sul traffico di cocaina di personaggi della ’ndrangheta di Bova e Roccaforte del Greco, che si recavano a Santa Cruz de la Sierra per acquistare cocaina, e non concordando con l’entusiastica, se pur doverosa, difesa del suo paese, declinai – diplomaticamente, s’intende – l’invito. Oggi, forse, darei ragione all’ambasciatore.

* Magistrato

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