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Caso Cisterna, il confronto tra il magistrato e il poliziotto

Chi stamattina avesse incrociato il dirigente della Mobile di Torino, Luigi Silipo, nel piazzale del Cedir, mai avrebbe potuto pensare di trovarsi di fronte a un soggetto formalmente “parte lesa” i…

Pubblicato il: 15/07/2013 – 17:31
Caso Cisterna, il confronto tra il magistrato e il poliziotto

Chi stamattina avesse incrociato il dirigente della Mobile di Torino, Luigi Silipo, nel piazzale del Cedir, mai avrebbe potuto pensare di trovarsi di fronte a un soggetto formalmente “parte lesa” in un procedimento. Viso tirato, occhiali da sole scuri e bocca cucita, per ore il funzionario della polizia non ha fatto altro che consumare suole e sigarette, sigarette e suole per ingannare le ore e probabilmente i pensieri in attesa di sapere se il gup Cinzia Barillà avrebbe disposto il confronto con il magistato, Roberto Pennisi. L’uomo con cui Silipo per anni ha lavorato gomito a gomito a Reggio Calabria. L’uomo cui avrebbe confessato di essere stato costretto ad alterare un’informativa a carico dell’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna, facendo sparire un’intercettazione che lo avrebbe immediatamente scagionato dalle accuse – poi smentite – dell’ex collaboratore Nino Lo Giudice, costate al magistrato un procedimento archiviato su richiesta della stessa Procura che l’aveva istruito, ma soprattutto due anni di gogna e la carriera.

LA DENUNCIA INASCOLTATA DI PENNISI Una circostanza denunciata da Pennisi in una durissima relazione con cui dava conto di quella conversazione  iniziata all’aeroporto di Roma e proseguita sulla sua autovettura, alla presenza dell’autista e di un uomo della scorta, durante la quale Silipo, con le lacrime agli occhi, avrebbe ammesso le pressioni ricevute. Parole che – pur a conoscenza della Procura – nessuno ha  fino ad oggi voluto prendere in considerazione, ma sono divenute fondamentali nel processo per calunnia istruito contro l’ex numero due della Dna dai magistrati reggini, dopo l’archiviazione dell’esposto con cui Cisterna denunciava quelle alterazioni. Ed è proprio in questo procedimento che le due versioni sono state messe a confronto.

LA VERSIONE DI SILIPO A Luigi Silipo sono state necessarie quasi tre ore per tentare di convincere il gup Barillà di non aver mai subito condizionamenti di sorta nella redazione di quell’informativa. Addirittura, nel rispondere alle domande del pm Matteo Centini e degli avvocati, avrebbe anche tentato di spostare  quella conversazione fuori dall’autovettura di Pennisi, dunque in assenza di testimoni. Una deposizione tesa e nervosa – riferisce chi vi ha assistito – che ha lasciato il funzionario con il volto tirato a camminare –  solo e nervoso – per il piazzale del Cedir e non deve aver convinto fino in fondo neanche il gup Barillà, che dopo aver ascoltato Pennisi, ha disposto un confronto.

E QUELLA DI PENNISI L’alto magistrato della Dna ha infatti  confermato punto per punto quella dettagliata nota trasmessa anche alla Procura di Reggio Calabria all’indomani della conversazione con Silipo, ma che nessuno ha mai voluto prendere in considerazione. In preda alla commozione, la voce rotta dall’amarezza, Pennisi ha dovuto respirare a fondo prima di riuscire a raccontare, senza interruzioni, come anche gli uomini della scorta fossero rimasti scioccati dalle pressioni ammesse fra le lacrime da Silipo, che a Pennisi – e in presenza di altri – avrebbe confessato di essere stato obbligato a costruire quell’informativa contro Cisterna.
Ed è anche per questo che il giudice si è riservato di decidere sull’escussione dei due uomini della scorta che quel giorno, quando Silipo ha infine lasciato la vettura del magistrato, avrebbero esclamato: «Dottore, ma cosa hanno fatto ad Alberto Cisterna?».

LE VERE RAGIONI DEL CONFLITTO Ma per il gup, ascoltare l’alto magistrato della Dna ha significato anche avere ulteriori dettagli su una vicenda che pur circoscritta da un reato di calunnia, affonda le sue radici nelle pagine più buie della storia della Procura reggina. Quelle pagine che lo stesso Cisterna, nel corso del suo interrogatorio, aveva sintetizzato con una frase resa famosa da Pasolini “Io so. Ma non ho le prove” e che Pennisi ha chiarito in modo cristallino quando il giudice gli ha chiesto senza filtro alcuno: <>. E Pennisi, che di Cisterna è amico ed è stato collega, che con lui ha lavorato negli anni memorabili del primo pool antimafia che a Reggio ha tracciato la strada della lotta alla `ndrangheta, disseminandola di centinaia di ergastoli, non ha avuto esitazioni: <>.

METODI A CONFRONTO È un inquirente di lungo corso Roberto Pennisi, catanese di nascita, è cresciuto a Reggio all’ombra di quel primo, esile pool, che nonostante le forze ridotte ha inflitto colpi fondamentali alle ndrine. Ed è quindi con tutto il peso di un uomo che ha scritto di suo pugno parte della storia della lotta alla ndrangheta a Reggio, che il magistrato della Dna può affermare: <>.  Un`argomentazione che necessariamente tira in ballo quell’indagine che degli anni di Pignatone è stata il fiore all’occhiello, ma suscitava e tuttora suscita perplessità fra inquirenti e investigatori: l’operazione Crimine. Un’indagine su cui lo stesso Silpo, avrebbe riferito – intervenendo sul punto – Cisterna, avrebbe mostrato un certo grado di scetticismo, definendola <>. Un’operazione, lascia intendere la deposizione di Pennisi, totalmente differente dai metodi e dagli obiettivi che il primo pool antimafia aveva forgiato e lasciato in eredità. Allo stesso modo, è forse anche per questo che l’indagine a carico di Cisterna non sarebbe un mero procedimento per calunnia, ma probabilmente solo una battaglia inserita in una più grande guerra condotta a un’intera generazione di magistrati e al loro metodo di lavoro. Ragionamenti raffinati, ma pesantissimi, che probabilmente accompagneranno il gup Barillà anche il prossimo 30 settembre, quando sarà lei a giudicare il procedimento abbreviato – ma con udienza pubblica – chiesto dall’ex numero due della Dna Alberto Cisterna. (0080)

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