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Lo sciopero delle toghe non ferma il processo Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Fa registrare percentuali bulgare l’astensione dei penalisti a Reggio Calabria. A causa dello stato di agitazione proclamato dalla locale Camera penale, la ripresa delle udienze dopo…

Pubblicato il: 17/09/2013 – 17:06
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Lo sciopero delle toghe non ferma il processo Lo Giudice

REGGIO CALABRIA Fa registrare percentuali bulgare l’astensione dei penalisti a Reggio Calabria. A causa dello stato di agitazione proclamato dalla locale Camera penale, la ripresa delle udienze dopo la sospensione feriale sembra slittare quanto meno di una settimana. Unica eccezione – almeno fino ad ora – il procedimento contro la cosca Lo Giudice che, anche se in sordina, oggi sembra aver ricominciato il cammino verso la conclusione dell’attività istruttoria prevista per dicembre. Bocciata l’istanza di stralciare per una settimana la posizione del suo assistito Saverio Spadaro Tracuzzi, l’avvocato Autriolo – l’unico a rinunciare allo sciopero – per decisione del Tribunale è stato nominato difensore d’ufficio di tutti gli imputati. Una decisione che ha fatto rientrare l’adesione alla mobilitazione di alcuni dei legali, che hanno infine presenziato all’udienza. Complice l’assenza del testimone Valerio Giardina, l’ex comandante del Ros di Reggio Calabria – multato dal tribunale con un’ammenda di 300 euro – tutta l’attività si è concentrata sull’esame di Paolo Gatto, amico di lunga data di Luciano Lo Giudice, considerato uno dei suoi prestanome. Un’accusa per la quale in passato ha patteggiato una pena a due anni di reclusione, ma che oggi in aula ha tentato di smentire, affermando di aver ricevuto solo un aiuto da Luciano per l’acquisto e la ristrutturazione di una villa a Pellaro. Da lui Gatto avrebbe ricevuto solo un prestito «ma i soldi della casa io glieli ho restituiti tutti in contanti». Diversamente sarebbe andata per i soldi destinati alla ristrutturazione: in parte ammortizzati con la locazione gratuita dell’immobile stesso, scelto da Luciano come propria abitazione, in parte restituiti «ma poi l’avete arrestato», dice alzando le spalle Gatto, che giustifica la generosità di quella che viene considerata la mente imprenditoriale del clan Lo Giudice, in nome dei fraterni rapporti d’amicizia. Rapporti ulteriormente rinsaldati nel corso degli anni di frequentazione – racconta Gatto – dalla parentela acquisita: due sue sorelle avrebbero infatti sposato due dei tanti fratelli Lo Giudice. Ma, sottolinea Gatto, «Luciano aveva più rapporti con me che con i suoi». Lui stesso – afferma – dell’infinita schiera dei fratelli Lo Giudice avrebbe frequentato solo Luciano. Per questo sarebbe stato preso in contropiede dalla richiesta rivoltagli da Nino Lo Giudice, che dopo l’arresto del fratello, avrebbe chiesto a Gatto di procurargli un incontro con Spanò, titolare dell’omonimo cantiere navale, nonché suo cugino acquisito. Un incontro che si sarebbe realizzato di lì a poco nei pressi  del negozio di Gatto, ma di cui l’uomo afferma di non essersi mai interessato. Da allora, con il Nano, Lo Giudice non avrebbe avuto più alcun contatto. «Io lavoro e mi faccio bastare quello, non ho bisogno di coltivare nessuno» ha detto.
Vicende raccontate in fretta ed esaurite in breve fra esame e controesame. Difficilmente sarà così la prossima settimana, quando sul banco dei testimoni ci saranno fra gli altri, il colonnello Valerio Giardina e soprattutto i magistrati Francesco Neri e Alberto Cisterna. Rimandata al trenta per concomitanti impegni d’udienza, l’audizione del procuratore Francesco Mollace.
Ai tre  magistrati viene a vario titolo attribuito un rapporto – in realtà mai provato – di conoscenza e frequentazione con il fratello del collaboratore, Luciano Lo Giudice, costato a tutti anni di gogna mediatica e ad Alberto Cisterna l’apertura di un fascicolo – poi archiviato su richiesta della stessa Procura che l’aveva istruito – e la carriera. Una vicenda che per anni si è consumata più sui media che nelle sedi dovute, alimentata da curiose sviste, altrettanto strane fughe di notizie e clamorose ritrattazioni.
A tirare in ballo i tre magistrati era stato infatti il collaboratore Nino Lo Giudice, che in un memoriale redatto al termine dei 180 giorni, durante i quali la legge prevede che prenda forma il cosiddetto verbale illustrativo – la bibbia di un futuro collaboratore – ha improvvisamente ricordato che il fratello Luciano avrebbe avuto rapporti ambigui con Mollace e Neri, ma soprattutto con Alberto Cisterna. Accuse dalle quali nessuno dei tre è mai stato messo in condizioni di difendersi di fronte a un giudice terzo, ma che sono state a più riprese ripetute fino a quando Nino Lo Giudice non ha deciso di darsi alla macchia, lasciandosi dietro le spalle un memoriale con cui smentisce quanto dichiarato in precedenza. Una verità – quella del memoriale – acquisita come mero “fatto storico” al processo Lo Giudice, ma che con le deposizioni di Cisterna, Mollace e Neri potrebbe riempirsi di contenuti. (0080)

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