Omicidio Puntorieri, recuperata la missiva principale
REGGIO CALABRIA C’è quello che l’avvocato Staiano definisce un “sospetto terrificante” a fare da filo conduttore al lungo e serrato confronto che ha visto impegnate le difese e l’accusa, oggi al proc…

REGGIO CALABRIA C’è quello che l’avvocato Staiano definisce un “sospetto terrificante” a fare da filo conduttore al lungo e serrato confronto che ha visto impegnate le difese e l’accusa, oggi al processo per l’omicidio Puntorieri, il quaratunenne scomparso nel settembre 2011 a Reggio Calabria, i cui presunti assassini saranno identificati mesi dopo dai carabinieri grazie ai filmati contenuti in una pen drive che una mano – tuttora anonima – ha fatto pervenire alla stazione del rione Modena assieme a una missiva che solo oggi è stata acquista agli atti del processo. I legali dell`imputato Domenico Ventura, immortalato da un’anonima telecamera mentre chiacchiera in compagnia della vittima, armeggiando con un fucile a canne mozze, e Natale Cuzzola e Domenico Condemi, uomini considerati vicini ai Borghetto-Zindato-Caridi e incriminati qualche tempo dopo di lui, vogliono sapere da dove sia arrivata quella busta e soprattutto chi – preso dal rimorso – a mesi dalla scomparsa di Puntorieri abbia deciso di aiutare gli inquirenti. Un dato che – stando a quanto il pm Stefano Musolino ha lasciato intendere la scorsa udienza – la Procura di Reggio già conosce, ma per adesso non intende rivelare. Considerazioni che non bastano a dissipare i sospetti degli avvocati, che non credono né al casuale ritrovamento del corpo di Puntorieri, né ai presunti scrupoli che avrebbero mosso l’anonimo mittente del pen drive, che per i legali – forse – potrebbe provenire dagli stessi ambienti investigativi in seguito chiamati ad esaminarla. È questo sospetto ad aver ispirato il serrato controesame cui le difese hanno sottoposto il maresciallo Levi, comandante della stazione di Modena, e il maresciallo Turco dei Ris di Roma che ha analizzato quei file. Incalzato dalle domande del pm Musolino, Levi ha ripercorso i mesi di indagini, partite con una denuncia di scomparsa, per poi convertirsi in una caccia ai killer dell’uomo. A settembre, ha ricordato il maresciallo, in una zona impervia del Reggino è stato infatti ritrovato materiale organico risultato compatibile con il genotipo di Puntorieri, ma la vera svolta è arrivata solo a febbraio – ha sottolineato l’ufficiale – quando al comando della Stazione Modena è arrivata una busta, senza né timbro né mittente. All’interno, una missiva firmata “l’amico di Marco” e una pen drive, contenente diversi file. E sono proprio questi i dettagli su cui di più si sono concentrate le domande degli avvocati, che non hanno esitato a evidenziare le ombre nella ricostruzione degli inquirenti: la busta era affrancata ma non timbrata, come mai questo non ha destato sospetti? Perché non è stata disposta un’analisi salivare? Per quale motivo né la busta, né la missiva sono state messe agli atti? E ancora, per quale motivo il maresciallo – per sua stessa ammissione, dotato solo di basilari conoscenze informatiche – ha visionato il contenuto della pennetta senza prima informare la Procura? Ma soprattutto, com’è possibile che nel giro di una mattinata il supporto sia stato ricevuto, aperto, esaminato foto per foto e video per video – incluso uno di oltre mezz’ora – quindi valutato per iscritto ancora prima di mezzogiorno, quando la relazione è stata depositata in Procura? Tutte domande cui Levi ha tentato di rispondere senza però riuscire a dissipare i sospetti dei legali, su istanza dei quali – solo questo pomeriggio – la missiva originale è stata recuperata al comando e messa agli atti del processo. Ancora più stringenti sono state le domande rivolte all’esperto dei Ris, chiamato a riferire sugli accertamenti tecnici effettuati sulla pennetta. Una prova – di fatto – inquinata dall’accesso degli investigatori, che utilizzandola hanno cancellato i dati sull’ultimo accesso che avrebbero potuto dire quando quei file sono stati messi sul supporto. File – foto e video – su cui rimangono dubbi pesanti. Per quanto riguarda i video, si tratta infatti di materiale proveniente da due videocamere diverse, una Jvc fissa, con cui è stato ripreso il filmato più lungo, della durata di circa mezz’ora, e una Fuji, apparentemente utilizzata a mano, che inquadra una vettura che si allontana e altre immagini in movimento. Un segno forse – suggeriscono le domande degli avvocati – che gli “amici di Marco” che quel giorno hanno ripreso i suoi ultimi momenti di vita sono più di uno. (0050)