DO UT DES | «Non ho mai frequentato Luciano Lo Giudice»
REGGIO CALABRIA È sereno il sostituto procuratore generale Francesco Mollace quando arriva il suo turno di testimoniare in quella stessa aula in cui – più e più volte – prima come pm, oggi come pg, h…

REGGIO CALABRIA È sereno il sostituto procuratore generale Francesco Mollace quando arriva il suo turno di testimoniare in quella stessa aula in cui – più e più volte – prima come pm, oggi come pg, ha sostenuto l’accusa nei più diversi dibattimenti. Ma prima che si possa sedere, da Cuneo, dove è recluso al 41 bis, Luciano Lo Giudice chiede la parola per quelle che definisce «due precisazioni». In videoconferenza, nel corso del processo “Do ut des”, Luciano chiarisce: «Per quanto riguarda la mia dichiarazione di giorno 9 luglio 2013, è stata interpretata male. Io intendevo dire che se qualcuno avesse voluto farmi male mi sarei rivolto allo Stato, alla legge, all’antimafia. Per quanto riguarda poi l’incontro a Fiumicino, non rientravo da nessun giro in Italia per comprare armi». Una dichiarazione flash, che probabilmente Luciano Lo Giudice si sente in dovere di fare, che non ruba più di qualche minuto al dibattimento. Dopo, l’esame del magistrato Francesco Mollace può iniziare. «Ho conosciuto Luciano Lo Giudice in occasione di una mia visita presso il cantiere nautico di Antonino Spanò. Dopo che questa vicenda ha avuto pubblicità, ho cercato di fare mente locale per ricostruire la data del nostro incontro. Ho datato questa conoscenza visiva-fisica alla tarda primavera del 2004. Se il mio ricordo – tenendo conto delle mie attività professionali e la morte di mio suocero – non è errato, durante una di queste visite al cantiere nautico ho visto Luciano Lo Giudice. Ovviamente sapevo dell’esistenza di un Lo Giudice Luciano, me ne ero occupato. Sapevo che aveva o gestiva una barca ed è stata questa l’occasione in cui l’ho conosciuto. Verosimilmente, quando l’ho visto per la prima volta, il signor Lo Giudice aveva un’imbarcazione. L’occasione è stata la mia presenza presso il cantiere nautico e sempre lì l’ho visto altre volte». Un rapporto iniziato in maniera assolutamente casuale e allo stesso modo proseguito. Non c’è mai stata alcuna frequentazione o amicizia con Lo Giudice, scandisce il sostituto procuratore. Che specifica: «Io ho pochi amici a Reggio Calabria e sono poche le persone che frequento. Luciano Lo Giudice l’ho incontrato occasionalmente al cantiere e basta». Non si tratta dunque di un rapporto ma di singoli episodi che – afferma Mollace – ora sono stati riportati alla memoria «ma per me, prima che tutta questa vicenda assumesse pubblicità, erano assolutamente irrilevanti». Ed è andando indietro con la memoria che il procuratore ricostruisce: «La prima volta, il signor Spanò o qualcuno della nautica mi disse che Luciano Lo Giudice voleva avvicinarsi a salutarmi. La vicenda del fratello Maurizio si era conclusa relativamente da poco. Me ne ero occupato io, per poi essere affiancato dal collega Palamara. Quando mi dissero che Luciano Lo Giudice voleva salutarmi pensavo che ci fosse un qualche risentimento verso di me o verso il collaboratore, perché ero stato io a convincere Maurizio a collaborare, invece Lo Giudice Luciano si è presentato e mi subito mi ha detto che era rimasto legato al fratello e che aveva condiviso la sua scelta di cambiare vita. Questo fu il ponte per la domanda successiva, quando mi disse che la madre da tempo non aveva sue notizie e come potesse fare per mettersi in contatto con lui». Un incontro breve – rammenta Mollace – fatto di pochi scambi, ma che erano bastati a dissolvere «il primo momento di perplessità» che quella richiesta di contatto aveva provocato. Anche il secondo incontro, continua a ricostruire il sostituto procuratore, si è svolto al cantiere. Si è trattato – afferma Mollace, che proprio in quel periodo stava istruendo decine di processi con le dichiarazioni di Maurizio, di cui spesso veniva contestata la credibilità perché testimone de relato dei fatti narrati – «di una conversazione con tratti di ironia che in un primo momento mi è stato difficile interpretare». In quell’occasione, racconta il procuratore, «Luciano mi disse: “Se mi pento e me ne vado, posso chiamare lei per collaborare?”. Io dissi a Lo Giudice che non mi occupavo più di indagini di mafia. Avevo completato il mio periodo di otto anni alla Dda, senonché per divergenze interne all’ufficio mi erano state ritirate tutte le deleghe. Inoltre, dopo l’arresto di Orazio De Stefano avevo smesso di occuparmi di ricerca dei latitanti». Sarebbe stato dunque in quell’occasione che Luciano, dopo aver manifestato sfiducia e paura nei confronti delle strutture investigative locali, si sarebbe detto disponibile a dare qualche informazione sui grandi latitanti ancora ricercati nel Reggino. «Io – racconta Mollace – ne parlai con il dottore Boemi, soprattutto perché lui, quale coordinatore della Dda, era stato con me l’ideatore della suddivisione per fasce delle indagini per la cattura dei latitanti. Io mi sono sempre occupato della città, Gratteri della Jonica e Cisterna con Pennisi, e in una certa misura anche Verzera, della Tirrenica. Ho informato Boemi che aveva come me conosciuto Nino Lo Giudice in ambito processuale. Lui era presidente della Corte d’assise e io ero pm nel processo che lo vedeva imputato insieme ad altri per la presunta faida fra i Lo Giudice e i Rosmini, rivelatasi poi una tragedia. Boemi mi ha detto: “Fatti i fatti tuoi, c’è già una guerra all’interno dell’ufficio, parlane al massimo con Alberto”. Dopo l’estate c’è stato questo incontro con Boemi, quindi ho incontrato Cisterna e gli ho riferito quanto successo. Questi sono gli unici episodi che io possa ricordare. Quando ho parlato con Cisterna non ci fu nessun suggerimento su cosa fare con Lo Giudice, io gli ho solo riferito quello che è successo, ma non so quello che è accaduto dopo». È questo il nodo centrale dell’intera vicenda su cui più si concentrano le domande di difese e pubblica accusa. Sarà infatti dopo aver ricevuto questa informazione che Cisterna, all’epoca numero due della Dna, metterà Luciano Lo Giudice in rapporto con il colonnello Michele Ferlito, in forza a quelle strutture del Sismi in quegli anni applicate alle indagini sulla grande criminalità organizzata. «Io parlo qui da teste e da magistrato e impegno il mio onore, al di là delle dichiarazioni che possono essere riscontrate – tuona Mollace –. Non sono mai venuto a conoscenza di informazioni riservate». E proprio su questo punto, alla specifica domanda del procuratore capo Federico Cafiero de Raho, il pg risponde: «Non c’è stato mai nessun riferimento specifico a Condello quando Luciano ha manifestato la sua disponibilità a collaborare, ma ha parlato solo di latitanti. All’epoca i grandi latitanti in zona erano Condello e Tegano. Ragionando con Cisterna, sulla base delle mie indagini, ho pensato avesse da dire qualcosa su Condello». Queste sono state le uniche conversazioni avute nel tempo con Luciano Lo Giudice, con il quale non c’era – ripete Mollace più volte – né amicizia né frequentazione. E soprattutto da parte dell’odierno imputato non ci sono mai state richieste illecite. Se avessi ricevuto richieste illecite, le avrei denunciate. Nel 2004 io e gli altri colleghi dell’ufficio avevamo credibilità non solo a Reggio Calabria, ma in tutta Italia. Che tipo di richiesta illecita Luciano avrebbe potuto rivolgere, a fronte di quello che l’ufficio aveva fatto in quegli anni?!», domanda all’aula il pg, rispondendo alle domande delle difese. Allo stesso modo, mai al suo indirizzo sarebbero state “recapitate” richieste illecite che Luciano Lo Giudice gli avrebbe fatto pervenire per interposta persona. Il riferimento è a quelle conversazioni intercettate in carcere fra Luciano e il suo avvocato dell’epoca, Giovanni Pellicanò, durante le quali si ascolta quello che all’epoca era solo un imprenditore chiacchierato, finito dentro per intestazione fittizia dei beni non aggravata dalle modalità mafiose, chiedere ripetutamente al legale di contattare i magistrati Mollace e Cisterna. Una questione su cui – nelle ore precedenti – anche Cisterna è stato chiamato a dare dettagliate s piegazioni, fornendo alla Corte una chiave di interpretazione fino ad oggi non emersa in dibattimento ma che lo stesso Lo Giudice aveva manifestato in più lettere. Proprio a causa della collaborazione con il Sismi e del suo rifiuto di fornire analoghe spiegazioni alla Questura, Lo Giudice si sentiva un perseguitato, vittima di una ritorsione. Tutti particolari che solo quando l’intera vicenda acquisirà pubblicità, sottolinea Mollace, il pg apprenderà. Per quanto riguarda invece quanto successo in quei mesi del 2011 durante i quali Lo Giudice avrebbe chiesto a Pellicanò di contattarlo, Mollace non può che dichiarare: «Prima di una certa data, per me l’avvocato Pellicanò era un professionista che si occupava di diritto amministrativo, padre di una compagna di scuola di mio figlio, poi traferitosi a Roma. Prima che certe conversazioni fossero diffusamente pubblicate sulla stampa, per me l’avvocato Pellicanò era questo. Di Giovanni Pellicanò non avevo mai sentito parlare. Probabilmente, l’avrò incontrato mille volte al Cedir ma non lo associo a una faccia. Le dirò di più. Qualche tempo fa, fui delegato a trattare alcuni fascicoli in ordinaria. Scrutinandoli mi resi conto che c’era un fascicolo per favoreggiamento intestato all’avvocato Pellicanò e chiesi al procuratore generale la possibilità di astenermi e per quel procedimento fu delegato il collega Rizzo». Un punto su cui il confronto con Cafiero De Raho a tratti si accende, finché al procuratore che gli chiede come mai nelle intercettazioni si senta Lo Giudice chiedere a Pellicanò di «dare un bacio a Don Ciccio», Mollace risponde: «Come posso conciliare io quello che dice l’avvocato Pellicanò con quella che è stata la mia esperienza con Luciano Lo Giudice? Procuratore, risulta da intercettazioni telefoniche disposte almeno dal 2007 che il signor Luciano Lo Giudice con me non ha mai parlato, e io per tutti sono il dottore Mollace». Il pg, che dalla sua ha una lunga esperienza in Dda, che più volte in udienza è chiamato a ricordare, non ci sta a che si offuschi la sua toga e più volte, sottolinea, l’ha difesa «con esposti, denunce e querele legate a questa vicenda». Nega di aver avuto qualsiasi contatto con Lo Giudice e, su precisa domanda del pm Beatrice Ronchi, nega di aver mai parlato con Luciano al telefono. «Io non ho mai frequentato Luciano Lo Giudice. Mi sarei posto delle remore se avessi avuto un rapporto di frequentazione con lui. Tanto meno ho ricordi della voce di Luciano Lo Giudice al telefono. Per quanto riguarda l’utenza, ho già segnalato in uno scritto che il signor Spanò aveva creato al cantiere una sorta di lavagna, con un quadro dove c’erano appese le chiavi delle barche, accanto a cui c’era un foglio con i numeri di cellulare di tutti i proprietari delle barche. Ho letto che agli atti del dibattimento c’è un bigliettino con il mio numero di telefono, ma io non gliel’ho mai dato. Due giornali hanno dato notizia che tramite gli elaborati di Genchi è stato affermato che io avrei avuto contatti con Luciano, ma non ho ricordo di questo. Se ci fossero dei tabulati, ne prenderei atto e proverei a ricordare se mai ci sono stati contatti, se per caso qualcuno ha utilizzato la sua utenza per contattarmi o altro. Ma allo stato ci sono solo le elaborazioni di un privato e di telefonate io non ho memoria alcuna». (0050)