I Serraino tra `ndrangheta di apparenza e `ndrangheta di sostanza
REGGIO CALABRIA «Non dobbiamo consentire che nell’animo di persone come Maurizio Cortese possa ingenerarsi il dubbio peggiore – come altri dicevano – che possa attanagliare la società in cui viviamo…

REGGIO CALABRIA «Non dobbiamo consentire che nell’animo di persone come Maurizio Cortese possa ingenerarsi il dubbio peggiore – come altri dicevano – che possa attanagliare la società in cui viviamo, cioè che vivere onestamente sia inutile». È con una citazione di Corrado Alvaro, che il sostituto procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, chiude le proprie repliche al termine del processo “Epilogo”. Un intervento durato poco più di un’ora ma necessario – afferma in apertura – per mettere in chiaro alcuni punti al termine delle arringhe difensive. Punti fondamentali che hanno a che fare con l’oggetto stesso del dibattimento: il ruolo e il peso delle giovani leve del clan Serraino.
I Serraino fra `ndrangheta di apparenza e `ndrangheta di sostanza
A differenza di quanto sostenuto da molte difese – sottolinea Lombardo – non si tratta di un gruppo di ragazzi cresciuto in un ambiente disagiato, ma «è la fotografia, l’evoluzione dinamica di un passaggio chiaro, quello in cui dopo gli arresti, dopo la morte del capo storico don Mico Serraino, il clan si dimostra in grado di rigenerarsi attraverso gli attuali imputati che affermano “i rappresentanti di area siamo noi”». È questo il cosiddetto “banco nuovo” del clan Serraino che – dimostrando una continuità criminale impressionante – ha continuato a sfornare nuovi eredi che si pongono in assoluta linea di continuità con la strada perseguita da nonni, zii, padri. Figure da inquadrare in un contesto criminale complesso, dove convivono una «`ndrangheta di apparenza e una `ndrangheta di sostanza», una `ndrangheta visibile e una invisibile – come dimostrato dalla sentenza del procedimento “Bellu lavuru” – che non solo differiscono in peso e ruolo ma anche in comportamenti. «La `ndrangheta fatta da elementi di vertice, a volte anche invisibili, quando ha bisogno di manifestare sul territorio la propria presenza – spiega il pm – si avvale di elementi criminali stabili di cui ha bisogno per realizzare i propri obiettivi». È in questo quadro che a vario titolo si inseriscono gli odierni imputati del processo “Epilogo”, che alla sbarra vede tanto semplici affiliati, come coloro che sono chiamati in un futuro criminale prossimo a svolgere un ruolo rilevante. È così per Alessandro Serraino, figlio ed erede di don Mico, il suo luogotenente Fabio Giardiniere, ma anche quel Maurizio Cortese che del “banco nuovo” è considerato il responsabile.
Visibili e invisibili
«Perché c`è tutta una serie di soggetti che prima di compiere una determinata azione cerca il consiglio o il contatto con Maurizio Cortese? La domanda a cui non è mai stato in grado di rispondere è proprio questa», dice il pm. Una figura paradigmatica quella del responsabile del “banco nuovo”, assimilabile per molti versi a «quei personaggi della `ndrangheta che hanno puntato a mantenere l’organizzazione invisibile» emersi in innumerevoli procedimenti e sentenze. «La mancanza di comportamenti manifestamente mafiosi non è sintomo di non appartenenza, ma al contrario di un ruolo qualificato all’interno dell’organizzazione». Una prova ulteriore – aggiunge Lombardo – del suo ruolo di «referente per gli elementi di base e di questi ultimi con i vertici dell’organizzazione». Un ruolo importante dimostrato in maniera incontrovertibile per Lombardo, dalla preoccupazione di «evitare di mostrare all’esterno quello che si stava diventando». Un quadro emerso – ha ricordato il pm – non solo da migliaia di intercettazioni, ma che ha beneficiato dell’apporto di diversi pentiti, come Vittorio Fregona o Consolato Villani. «Nonostante sia necessario un approccio sempre critico ai collaboratori, è falso dire che Consolato Villani sia uno squalificato collaboratore di giustizia». Al contrario, ha sostenuto il pm, proprio perché quelle riferite da Villani sono informazioni in larga parte apprese dal cugino, l’ex pentito Nino Lo Giudice, «quello che riferisce è frutto si una conoscenza su cui ha riflettuto, che ha avuto modo di metabolizzare». Inoltre, ha sottolineato il sostituto, «come raramente accade in questo dibattimento dalle parole dei collaboratori sono emerse frequentazioni specifiche, addirittura conflitti, fatti e situazioni specifiche».
Strategia della confusione pericolosa e calunniatoria
Difende il suo procedimento il pm Lombardo, come nel corso del dibattimento lo ha difeso da chi anche nel corso della lunghissima istruttoria «ha tentato di spostare l’attenzione su un tema diverso da quello probandi». Un riferimento per nulla velato alla linea difensiva decisa dagli avvocati di Maurizio Cortese, iniziata con le continue e reiterate richieste di spostamento del processo a Catanzaro perché venisse giudicato dagli stessi magistrati che stanno indagando sull’attentato alla Procura di Reggio Calabria – di cui i Serraino sono stati inizialmente sospettati – proseguita con un’istanza di integrazione istruttoria che approfondisse il presunto depistaggio a danno del clan Serraino e conclusasi con l’annuncio di una richiesta di remissione del processo ad altra sede, presentata e bocciata dalla Cassazione. Un dato che «non rimane assolutamente privo di significato» per Lombardo ma che «sottintende una strategia difensiva che ha un unico scopo: mettere in testa al decidente che possono portare a una ricostruzione che non è stata effettuata». Un tentativo fallito per il pm Lombardo, ma non solo. «Si tratta di un tentativo non solo pericoloso, ma con una forte componente calunniatoria. Chi rappresenta lo Stato, non ha timore di portare le indagini fino in fondo. Allora si tratta di un tentativo falso e calunnioso perché questo Ufficio non avallerà mai ricostruzioni false o parziali. E gli imputati lo sanno».
«La Procura vuole una verità storica, non processuale»
Nessun riferimento agli attentati che hanno colpito la Procura generale, di cui i Serraino sono stati inizialmente sospettati, ha inquinato l’inchiesta sul “banco nuovo”, partita dalle dichiarazioni di Fregona quasi un anno prima che quell’ordigno sventrasse il portone del più importante ufficio giudiziario della città nel 2010. Ed è netto Lombardo quando dice: «L’indagine che noi affrontiamo in sede processuale non ha subìto nessuna forzatura perché questo pm non l’ha permesso. E non ci sono carriere che tengano. La tentazione di farlo potrebbe insinuarsi in chi opera in determinati contesti ed è stata stroncata». In nome dell’articolo 11 che regola la competenza degli uffici su inchieste e procedimenti è stato trasmesso a Catanzaro quanto dovuto, mentre la Procura di Reggio Calabria ha trattenuto le indagini di propria competenza, seguendo un metodo cristallino, ha spiegato Lombardo. E proprio a conferma della correttezza e della trasparenza dell’operato dell’Ufficio, che il pm non si è opposto all’acquisizione dell’intero fascicolo di Catanzaro. «Tutto quello che è stato raccolto è oggi a disposizione del giudice. L’interessa di questa Procura e di questo pm è infatti la ricerca di una verità storica, non solo processuale», costruita senza forzature e nel rispetto degli “imputati persone”.
Avviso agli avvocati: non mettete in pericolo i magistrati
Ma uguale rispetto – esige Lombardo – «si deve a chi opera in questo contesto. Allora discutiamone in questa sede, ma non facciamo credere agli imputati che il pm possa aver giocato con alcune vicende per fini di carriera. Il presidente, dall’alto della sua lunga esperienza, sa che toccando certi argomenti non si fa carriera e proprio perché siamo persone perbene tutti, abbiamo messo a disposizione la notevole raccolta di materiale probatorio che è emersa nel corso di questa lunga istruttoria. Quello che è avvenuto fuori – prima, durante e dopo – in ambiti differenti rispetto a questo non ci deve interessare». E soprattutto – dice ancora Lombardo – non si può tentare di condizionare la decisione ingenerando un dubbio
basato su un asserito vuoto acquisitivo che «non c’è assolutamente».
Condannate le nuove leve dei Serraino
E allo stesso modo risulta «pericoloso e fuorviante», per il pm, «far passare l’idea che siamo di fronte a un gruppo di ragazzi che non ha nulla a che fare con la cosca Serraino», storico clan di quella `ndrangheta «che ha fatto migliaia di vittime nel mondo». Un clan che nel “banco nuovo” ha la sua promessa e la sua scommessa sul futuro. «Salvo fisiologiche eccezioni, ogni appartenente alla `ndrangheta parte dal basso per giungere a livelli apicali e ai livelli invisibili agli occhi dei distratti. Ma per questi ragazzi è meglio aspettare che quel percorso di crescita criminale si completi o per come ci insegna la Costituzione – prima ancora del codice penale e del codice di procedura – dobbiamo agire con tempestività e competenza?». I componenti del “banco nuovo” – conclude Lombardo – sono ragazzi che si muovono in un contesto di tipo mafioso e come tali devono essere giudicati. «Non siamo di fronte a ragazzi che si muovono in un quadro diverso dalla cosca di appartenenza, ma chiamati a sostituire chi aveva costruito l’organizzazione di tipo mafioso per renderla più forte di prima. Io spero che questo processo – auspica Lombardo – possa impedirlo».
L’ultima autoarringa di Maurizio Cortese
Parole pesantissime che oggi accompagneranno la presidente Grasso, con Foti e Fiorentini a latere, nelle lunghe ore di camera di consiglio. Parole alle quali Maurizio Cortese, costantemente intervenuto con dichiarazioni spontanee nel corso del processo, ha voluto aggiungere le proprie. Dopo aver fatto pervenire al Tribunale un nuovo memoriale, quello che è considerato dagli inquirenti il capo del “banco nuovo” ha chiesto e ottenuto di prendere la parola per ribadire non solo la propria innocenza, ma anche la scelta della sua linea difensiva, in totale autonomia dai propri avvocati. «Ho molta stima del dottore Lombardo e sono rimasto male per la replica. Se avessi pensato che è stato scorretto nei miei confronti non mi sarei sottoposto a esame, non gli avrei mandato lettere, ma non mi hanno consigliato gli avvocati. Ho letto gli atti del processo e ci sono tante cose che non mi possono tornare», chiarisce Cortese nella sua ennesima, ultima, autoarringa difensiva. (0050)