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CERALACCA 2 | Il tariffario dei funzionari corrotti

REGGIO CALABRIA «Oggi possiamo parlare di ripristino della legalità in un settore che era stato infettato da corruzione, ambiguità e pervasività. Il valore simbolico di questa operazione è enorme per…

Pubblicato il: 21/01/2014 – 14:14
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CERALACCA 2 | Il tariffario dei funzionari corrotti

REGGIO CALABRIA «Oggi possiamo parlare di ripristino della legalità in un settore che era stato infettato da corruzione, ambiguità e pervasività. Il valore simbolico di questa operazione è enorme perché nonostante non siano emersi collegamenti con la criminalità organizzata, oggi possiamo dire di aver bonificato un settore della Pubblica amministrazione da quelle sacche di inefficienza e corruzione che spesso si rivelano humus fertile per la cosiddetta zona grigia». Non nasconde la soddisfazione il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza nel commentare l’esito dell’operazione Ceralacca 2, scaturita dall’inchiesta coordinata insieme al pm Matteo Centini, che ha permesso di sgominare quello che gli inquirenti definiscono «un pericoloso gruppo criminale/imprenditoriale in grado di pilotare sistematicamente l’andamento e l’aggiudicazione di numerosi appalti» tanto da dar vita a un sistema parallelo e illegale di gestione dei lavori pubblici. Un sistema già al centro di una precedente indagine, che nel marzo 2012 aveva portato all’arresto di Carmelo e Giuseppe Bagalà, imprenditori di Gioia Tauro considerati veri registi dell’operazione, insieme ad alcuni familiari, di cui oggi gli inquirenti hanno un quadro completo e preciso.
Dallo studio dell’enorme mole di documentazione sequestrata in quell’occasione magistrati e investigatori hanno dedotto infatti non solo il «ruolo ben delineato, strutturato e determinante per il buon andamento della stessa organizzazione» dei soggetti coinvolti nella prima tranche di indagine, ma soprattutto sono riusciti ad allargare le maglie della rete fino ad identificare e  incastrare gli imprenditori che insieme ai Bagalà avrebbero costituito quel cartello di imprese, divenuto grazie a pratiche illecite il reale gestore di numerosi appalti pubblici della Sorical e della Suap. «Siamo di fronte a un vero e proprio cartello criminale» commenta il procuratore capo della Dda Federico Cafiero de Raho.
Stando a quanto emerso dall’inchiesta, il meccanismo di cui il gruppo si avvaleva per far funzionare l’intero sistema era semplice: in occasione delle gare – almeno cinque quelle “drogate”, stando all’inchiesta – prima della seduta di aggiudicazione i Bagalà riuscivano ad avere accesso alle buste delle imprese concorrenti, quindi a modificare la propria offerta – o quella delle imprese del cartello – in modo che risultasse la migliore per la Pubblica amministrazione. Una pratica assolutamente illecita ma possibile grazie a funzionari o impiegati che sarebbero stati compiacenti come Pietro Salvatore Teti, Michele De Siena, Giulio Ricciuto e Giuseppe Riccio, della Sorical, debitamente minacciati o pagati per il “disturbo”, come risulterebbe dai manoscritti sequestrati nel corso delle perquisizioni. «Un vero e proprio tariffario della corruzione» per il comandante del nucleo della polizia tributaria della Guardia di finanza, Domenico Napolitano, che ha permesso di riscontrare «in maniera grave e concisa quelle che erano ipotesi investigative».
Allo stesso modo le liste delle società che facevano parte del gruppo rinvenute nel corso delle perquisizioni domiciliari e informatiche ha permesso di dare un nome e un volto agli altri imprenditori del gruppo, che – a turno – contribuivano a rendere credibile il sistema, presentando “idonee” offerte in cambio di subappalti oi venivano favoriti nell`aggiudicazione dei lavori, salvo l`obbligo di conferirne parte  in subappalto alle imprese del gruppo, secondo le precise indicazioni dei Bagalà. «Gli imprenditori predetti – scrive il gip – hanno dato dimostrazione di particolare spregiudicatezza decidendo (secondo una logica “imprenditoriale” deviata) di investire nel sistema corruttivo alimentato e gestito dai Bagalà sottrarsi alla sana ed onesta competizione con i propri concorrenti ed aggiudicarsi lucrose commesse pubbliche, così danneggiando gravemente il sistema economico imprenditoriale calabrese». Anche perché – si spiega nell’ordinanza di custodia cautelare – il sistema ideato dai Bagalà era capace di superare anche i controlli effettuati dalle stazioni appaltanti,  perché – almeno formalmente – le gare interessante non presentavano anomalie. «Abbiamo recuperato la credibilità delle istituzioni in una terra difficile come la Calabria», commenta il procuratore aggiunto Sferlazza, la cui soddisfazione è forse solo in parte offuscata dal mancato accoglimento della richiesta della custodia cautelare in carcere avanzata dalla Procura per gli uomini del “sistema Bagalà”. Per il gip, «il tempo trascorso e l`intervenuta perdita di efficacia delle primigenie misure cautelari per i maggiorenti di tale perverso meccanismo rende eccessivo, per gli odierni indagati che comunque rappresentano figure ai primi collaterali, l`accesso alla misura cautelare di maggior rigore, si reputa di accedere pertanto a quella sussidiaria degli arresti domiciliari, posto che la stessa nel caso di specie è funzionale ad interrompere quel velo di “impunità” nel quale possono continuare a muoversi i protagonisti dell`odierno filone di inchiesta, che fa loro credere di avere attraversato indenni la burrasca e di potere tranquillamente proseguire, con altre “pedine” ed in differenziati “contesti” (prosciugate definitivamente le risorse Sorical), le antiche abitudini».
E alle misure cautelari, si sono aggiunte pesanti misure reali: per ordine della Procura sono stati messi i sigilli a dodici società, inclusi  tutti gli elementi presenti nel patrimonio aziendale (i crediti, gli articoli risultanti dall’inventario, i beni strumentali, la denominazione aziendale, l’avviamento), i conti correnti, nonché tutte le autorizzazioni all’esercizio dell’attività commerciale concesse dalle Autorità competenti. Una misura chiesta dalla Procura e accolta dal giudice per le indagini preliminari, che ha però sottolineato un’ulteriore preoccupazione: «La presente indagine ha rivelato che molte delle società coinvolte, sebbene intestate a soggetti diversi, siano di fatto amministrate dagli odierni indagati. Pertanto appare serio il rischio che costoro possano disporre di altre imprese operanti in settori analoghi che non sono state ancora individuate, attraverso le quali potrebbero continuare a porre in essere le condotte per le quali in questa sede si domanda di sottoporti a misura cautelare». (0030)

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