“Do ut des” alle battute finali
Si avvia verso la conclusione il processo “Do ut des”, che vede alla sbarra presunti capi e gregari del clan Lo Giudice. Mancano solo due testimonianze e il deposito delle trascrizioni di due periti…

Si avvia verso la conclusione il processo “Do ut des”, che vede alla sbarra presunti capi e gregari del clan Lo Giudice. Mancano solo due testimonianze e il deposito delle trascrizioni di due periti, quindi l’istruttoria verrà ufficialmente chiusa, per passare alla fase della discussione. Per il 25 febbraio è fissato l’inizio della lunghissima requisitoria del pm Beatrice Ronchi, che ha già annunciato che avrà bisogno di «quattro o cinque udienze» per tirare le fila del dibattimento. Un procedimento che più di ogni altro si è intrecciato con l’accidentato percorso di collaborazione dell’ex pentito Antonino Lo Giudice, le cui dichiarazioni hanno portato all’arresto di parenti vicini e lontani oggi alla sbarra, in seguito “scagionati” dallo stesso ex pentito con due memoriali fatti pervenire alla Procura reggina dopo il suo allontanamento dal sito protetto, con cui ha anche lanciato pesantissime accuse contro i magistrati che ne gestivano la collaborazione. Documenti acquisiti agli atti del dibattimento, insieme all’interrogatorio del 15 novembre scorso cui Lo Giudice è stato sottoposto in seguito alla cattura che ne ha interrotto la latitanza. Da allora, l’ex collaboratore si è chiuso nel silenzio, senza mai dichiarare quale delle versioni dai lui fornite sia da considerare fedele alla realtà. È dunque probabile che proprio sull’attendibilità dell’ex collaboratore si consumi nelle prossime settimane lo scontro fra pubblica accusa e difensori.
Nel frattempo, di fronte al Tribunale presieduto dal giudice Silvia Capone hanno sfilato oggi gli ultimi testimoni chiamati dalle difese nell’interesse dei propri assistiti. Il primo a sedersi sul banco dei testimoni è stato Domenico Condello, nipote del superboss Pasquale, chiamato a riferire sui numerosi contatti telefonici con l’ex titolare dell’omonimo cantiere navale, Antonio Spanò, da cui aveva acquistato un gommone che teneva in rimessaggio proprio al cantiere. Medesima motivazione utilizzata da Demetrio Condello per spiegare la presenza del proprio numero telefonico nei tabulati che il pm Ronchi ha chiesto e ottenuto che venissero acquisiti agli atti del processo, mentre è toccato al dottore Francesco Morbegno, curatore giudiziario del cantiere fino al 2011, sganciare quella che potrebbe essere una vera e propria bomba contro l’impianto accusatorio della Procura, secondo cui Spanò sarebbe solo un prestanome di Luciano Lo Giudice. «Dalle carte che ho esaminato subito dopo il sequestro non è emerso alcun tipo di legame con Luciano Lo Giudice – ha detto Morbegno, rispondendo alle domande dell’avvocato Antonio Marra –. L’unico documento presente era la scheda della barca, ma come quella ce n’erano tantissime». Un’affermazione che probabilmente sarà valorizzata dalla difesa, come pure la parabola economica discendente dell’attività di Spanò, conclusasi con un fallimento.
È invece con la testimonianza di Antonio Quartuccio – chiesta e ottenuta dal pm – che è stato riaperto il capitolo del procedimento relativo al presunto ruolo di Lo Giudice nella gestione della latitanza di Pasquale Condello. Nell’ipotesi accusatoria – basata su dichiarazioni che l’ex collaboratore ha in seguito smentito – Nino Lo Giudice per alcuni anni avrebbe offerto alloggio e protezione al superboss, ospitandolo – almeno per alcuni mesi – in una casa che Santo Cuzzola avrebbe affittato per lui. A mettergli a disposizione la casa sarebbe stato proprio Quartuccio, secondo il quale Cuzzola avrebbe utilizzato quell`abitazione per alcuni mesi. «Non so dire chi ci abitasse, i vicini non mi hanno mai riferito nulla di anomalo», ha detto il giovane professionista, che però non è stato in grado di fornire molti dettagli. «Ricordo – ha affermato – che dopo qualche tempo ho iniziato a cercare Cuzzola, ma era irreperibile sia al telefono, sia in negozio. Ho provato anche a cercarlo a casa, ma non sono riuscito a entrare». Rimane dunque ancora intatto il mistero su chi tra il ’99 e il 2000 abbia abitato quella casa. Un mistero che solo Nino Lo Giudice potrebbe sciogliere. Ma – almeno per adesso – sembra non abbia alcuna voglia di farlo. (0080)