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OPERAZIONE ABBRACCIO | Una corruzione da 120mila euro

REGGIO CALABRIA La libertà costava 40mila euro a testa. Una cifra che moltiplicata per tre fa 120mila euro: tanto avrebbe ricevuto il giudice Giancarlo Giusti per far uscire di prigione Rocco e Domen…

Pubblicato il: 14/02/2014 – 13:29
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OPERAZIONE ABBRACCIO | Una corruzione da 120mila euro

REGGIO CALABRIA La libertà costava 40mila euro a testa. Una cifra che moltiplicata per tre fa 120mila euro: tanto avrebbe ricevuto il giudice Giancarlo Giusti per far uscire di prigione Rocco e Domenico Bellocco e Rocco Gaetano Gallo. L`ex gip del Tribunale di Palmi oggi è stato raggiunto da un`ordinanza di custodia cautelare nell`ambito dell`operazione “Abbraccio”, condotta dalla Dda di Catanzaro. L`accusa è di corruzione in atti giudiziari e concorso esterno in associazione mafiosa. Giusti era già ai domiciliari per una condanna a 4 anni di carcere nell`ambito dell`inchiesta milanese contro i clan Valle-Lampada ed era stato sospeso dal Csm.
I fatti risalgono al 27 agosto del 2009. Giusti all`epoca è un componente del collegio del Tribunale del riesame di Reggio Calabria. Secondo il gip di Catanzaro, Domenico Commodaro, si sarebbe fatto corrompere per annullare le ordinanze di carcerazione contro gli esponenti della cosca di Rosarno. Il piano sarebbe stato ideato direttamente da Rocco Bellocco. È lui a incaricare il genero, Vincenzo Albanese, di curare i rapporti necessari per arrivare a Giusti. Avvicinare un giudice non è facile. C`è bisogno di un anello di congiunzione. Il clan lo individua subito: l`uomo che fa per loro è Mimmo Punturiero, amico e socio in affari del magistrato. Poi entra in azione uno dei figli di Bellocco, che ha l`incarico di consegnare a Puntoriero una prima tranche del denaro che sarebbe servito a rendere più “clemente” il giudice Giusti. A rendere meno tortuosa la strada che portava a casa.   
Siamo al 7 settembre del 2009. Sono passati 11 giorni dal provvedimento che annulla la carcerazione dei membri del clan. Giusti ha l`abitudine di tenere una sorta di “diario informatico”, dove annota riflessioni sulla sua vita e sul suo lavoro. Scrive: «Mi sento infastidito e deluso dalle amicizie. Mi sembra che non riuscirò mai a recuperare la dignità della professione. Mi usano come merce, e mi rovinano il nome. Chiudo con tutti». Anche la paura lo tradisce. Nel corso di una conversazione telefonica del 9 dicembre 2011, il magistrato riferisce alla sorella Gabriella di aver ricevuto l`atto con il quale il Csm gli comunica di aver avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti, anche in riferimento a un`indagine condotta dalla Procura di Catanzaro, competente sulle questioni che riguardano i giudici reggini. Giusti è disperato, teme di essere arrestato, medita il suicidio: «È finita per me, guarda che vengono di notte e mi prendono. È finita per me Gabriella, è finita».
Il punto è che la contestazione del Csm non contiene alcun riferimento specifico. Ma Giusti capisce che si tratta dei fatti avvenuti nell`agosto del 2009. «A breve… a breve verranno a prelevarmi, a breve verranno a prelevarmi». Il magistrato sa che questo nuovo procedimento penale non ha a che fare con l`indagine condotta dalla Procura di Milano. Sa che quello di Catanzaro trae origine da una vicenda che risale a una «maledetta estate» in cui aveva «scambiato il turno» di servizio con un altro giudice. «Oggettivamente io, io c`ho paura, ormai non so più che cosa aspettarmi dalla vita, io non… mi sembra di non fare niente che… eh… eh… che faccio chissà che cosa, io… io c`ho paura».
Giusti è a pezzi. Condivide ansie e dolori con la sorella: «Adesso scrivo… scrivo… scrivo un paio di cose, sistemo le mie cose, perché non so se ce la faccio, ti… ti lascio indicato dove sono i miei investimenti le mie cose poi…»; «ma no è finita per me è finita»; «c`è mio figlio che mi aspetta a casa, mio figlio dovrà crescere senza di me»; «sì, sì, basta, è finita per me». E in effetti molti mesi dopo, il giorno successivo alla condanna (emessa il 27 settembre 2012) a 4 anni di reclusione nell`ambito del processo milanese, Giusti tenta il suicidio nel carcere di Opera, dove era detenuto.
Ma il personaggio chiave nel rapporto tra Giusti e i Bellocco è Punturiero, a cui fanno costantemente riferimento i membri del clan nei colloqui in carcere con i familiari. «A parte il fatto che, seppur sporadicamente, i colloquianti facevano espressamente il nome di Giusti, questi – scrive il gip – aveva un rapporto conclamato con Mimmo Punturiero per il tramite del quale, non curante dei suoi pregiudizi penali, faceva speculazioni immobiliari. Si tratta di una circostanza importante perché il pagamento del prezzo della corruzione si confondeva col patrimonio di Punturiero, che amministrava danaro di Giusti, e rende impossibile il rinvenimento di traccia documentale dell`avvenuto pagamento». Ma a incastrare Giusti sarebbe stato soprattutto il suo comportamento, «dapprima, al momento dell`autoassegnazione dei riesami» di Rocco e Domenico Bellocco, Rocco Gallo e Maria Teresa D`Agostino (non scarcerata) e poi «all`atto del deposito dei provvedimenti di scarcerazione, allorquando insisteva per l`immediata pubblicazione delle decisioni, malgrado la non imminente scadenza del termine di legge». (0040)

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