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"Alta tensione", pesantissime le richieste di condanna

REGGIO CALABRIA Grida strozzate, bestemmie masticate a mezza bocca, qualche lacrima: è così che i parenti degli imputati del procedimento Alta Tensione hanno accolto le pesantissime richieste di pena…

Pubblicato il: 12/03/2014 – 21:40
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"Alta tensione", pesantissime le richieste di condanna

REGGIO CALABRIA Grida strozzate, bestemmie masticate a mezza bocca, qualche lacrima: è così che i parenti degli imputati del procedimento Alta Tensione hanno accolto le pesantissime richieste di pena, formulate dal pm Stefano Musolino al termine della sua requisitoria. Al sostituto procuratore della Dda reggina sono serviti due giorni per tracciare – in dettaglio – il quadro emerso dall’indagine che ha raccontato come i clan Caridi-Borghetto-Zindato avrebbero imposto e mantenuto il proprio dominio sui rioni di Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra, anche difendendolo dalle pretesi di altri clan come i Rosmini e i Serraino che su quei territori accampavano diritti. Un quadro devastante, emerso – secondo l`accusa – in maniera cristallina da intercettazioni dal significato inequivocabile. Un quadro desolante, dove il degrado morale dell’oppressione mafiosa si trasforma in degrado sociale, visibile, palpabile, nelle facciate mai finite dei palazzi come nelle parole e soprattutto nei silenzi della gente comune, nello squallore e nella promiscuità dei luoghi, sottomessi alla ferocia di più cosche che nel tempo si sono contese e divise un unico territorio, come nell’omertà quasi compiacente delle vittime dei clan.
Un quadro che per il pm Musolino porta la firma degli odierni imputati che per questo devono scontare pene pesantissime. È di 25 anni di reclusione più 15mila euro di multa la pena chiesta per Santo Giovanni Caridi, figura di vertice dell’omonimo clan, mentre per il pm sono da condannare a 24 anni Bruno Caridi e Giuseppe (Pino) Modafferi, per i quali sono stati chiesti anche rispettivamente 15 mila e 21 mila euro di multa. E’ invece di 21 anni e 6 mesi di reclusione in continuazione con le condanne in precedenza rimediate, la pena invocata per Eugenio Borghetto, mentre per Vincenzo Quartuccio, Diego Rosmini e Domenico Serraino il pm Musolino ha chiesto al collegio una condanna a 20 anni di reclusione. Per pubblica accusa sono tutti da condannare a 18 anni Natale Paolo Alampi, Paolo Latella, Domenico Malavenda, Osvaldo Salvatore Massara, Giampiero Melito e Matteo Perla, mentre è di 16 anni di carcere la pena chiesta per Tommaso Paris, calcolata in continuazione con precedenti condanne, come per Demetrio Giuseppe Cento, uno dei colletti bianchi che si sarebbero messi al servizio dei clan.
Il pm ha inoltre chiesto al Tribunale, presieduto da Natina Pratticò, di condannare a 15 anni e sei mesi di carcere Tullio Borghetto, mentre è di “solo” 15 anni la richiesta di pena avanzata per Natale Iannì, Fabio Pennestrì, Sebastiano Sapone, Giovanni e Giuseppe Zindato.
Decisamente più lievi le richieste di condanna invocate per le posizioni minori. È infatti di un anno e sei mesi la pena richiesta per Carmelo Gattuso, Pasquale Giuseppe Latella, Carmela Nava, Biagio Consolato Parisi e Giuseppe Parisi, di un anno quella avanzata Giuseppe Riggio, e di sei mesi per Antonia Contestabile, Concetta Modafferi e Massimo Orazio Sconti. Infine, è stato lo stesso sostituto procuratore a chiedere l’assoluzione perché il fatto non sussiste per Nicolina Zumbo.
È questo il quadro delle richieste di pena avanzate dal pm Musolino nel corso di una requisitoria che più volte lo ha visto fare appello al collegio, chiedendo ai giudici il coraggio di mandare un messaggio alla città, non solo condannando a pene esemplari gli odierni imputati, ma anche valutando le responsabilità di chi si è presentato in aula e ha mentito. “La lotta alla `ndrangeta – dice il sostituto in un passaggio della sua requisitoria – si fa anche dando segnali sociali. Le persone non possono venire qui e dare risposte che cadono nell’ironia o totalmente confliggenti con la realtà che emerge dai fatti. Qui davanti hanno sfilato persone che hanno mentito e lo hanno fatto con arroganza”.
Vittime consapevoli di un sistema – spiega il pm –  che li ha resi carnefici di se stessi, del proprio lavoro, del proprio territorio. Un sistema che schiaccia i quartieri, condannandoli al degrado, schiaccia i cittadini, gli imprenditori, i lavoratori riducendoli al silenzio e all’omertà. Un atteggiamento costante e comune a quasi tutte le “vittime” dell’arroganza mafiosa –  che soprattutto nell’edilizia imponeva la propria legge – tanto fuori come dentro le aule di giustizia, dove l’audizione degli imprenditori si è risolta spesso in un rosario di non so, non ricordo, non lo conosco, scardinati spesso solo a forza di contestazioni. Un sistema “assorbente” lo definisce il sostituto procuratore, “in grado di inghiottire anche persone per bene come una volta sicuramente è stato il signor Cento”, ingegnere per formazione, in seguito affermatosi come esperto di progetti sociali, ma soprattutto divenuto per i Caridi-Borghetto-Zindato, secondo la ricostruzione della Procura, l’uomo necessario per accaparrarsi i soldi messi a disposizione dal Comune per le politiche sociali. Una trasformazione consapevole quella di Cento, ispirata – secondo il pm – dalle possibilità di guadagno che l’accordo con i clan sembrava garantire, e simile a quella dei tanti che si “sono lasciati tentare per fame di denaro che quel sistema poteva assicurare”. Un sistema che oggi il pm Musolino ha chiesto al collegio di scardinare. (0020)

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