«Scopelliti tradito dalla Fallara, assolvetelo»
REGGIO CALABRIA Toccherà ai giudici valutare nel segreto della camera di consiglio le argomentazioni utilizzate dall’avvocato Aldo Labate per chiedere «l’assoluzione con formula ampia perché il fatto…

REGGIO CALABRIA Toccherà ai giudici valutare nel segreto della camera di consiglio le argomentazioni utilizzate dall’avvocato Aldo Labate per chiedere «l’assoluzione con formula ampia perché il fatto non costituisce reato e il fatto non sussiste» del governatore Giuseppe Scopelliti, imputato per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio nel cosiddetto caso Fallara. Quel che è certo però è che ha tentato di dribblare le circostanziate e pesantissime accuse del pm Sara Ombra. Al netto delle argomentazioni tecniche e dell’enorme mole di giurisprudenza citata, la principale argomentazione a difesa di Scopelliti si iscrive nel solco tracciato nell’ormai noto «firmavo carte che non leggevo», dietro cui l’ex sindaco della città calabrese si è trincerato fin dal giorno del suo primo interrogatorio. In sintesi, sostiene l’avvocato Labate nella sua lunga e appassionata arringa, l’unica vera colpevole delle alterazioni del bilancio comunale, come delle sontuose autoliquidazioni con cui nel tempo si è remunerata sarebbe stata Orsola Fallara, l’allora potentissima dirigente del settore Bilancio suicidatasi misteriosamente quando lo scandalo è esploso. «Era lei ad avere le competenze tecniche fra i due, dunque era in capo a lei la responsabilità degli atti che presentava», tuona l’avvocato Labate per escludere la presenza di dolo intenzionale nella condotta dell’allora sindaco, che alla potentissima dirigente ha affidato e lautamente retribuito per anni la difesa dell’Ente di fronte alla Commissione tributaria. Incarichi per i quali, nella prospettazione accusatoria, la Fallara non poteva essere retribuita, ma che per anni ha più o meno vittoriosamente portato a termine. Una tesi che l’avvocato Labate ha tentato di smontare sia sostenendo la legittimità di quelle assegnazioni, sia sottolineando a più riprese l’assoluta assenza di dolo dell’allora sindaco. Al contrario, sostiene il legale «nell’affidare alla Fallara l’incarico di rappresentare l’Ente di fronte alla Commissione tributaria, Scopelliti era mosso dall’intento di contenere le spese e non favorire la dirigente cui era legato da un rapporto di amicizia». Lungi dall’essere in concorso con lei – sostiene il legale – il sindaco sarebbe stato ingannato, indotto in errore dalla dirigente, «mossa nella sua condotta illecita meramente da una volontà di appropriazione personale». Non a caso, sostiene Labate, «le somme sottratte dalla Fallara non sono state ritrovate nei conti di Scopelliti, ma solo in quelli dell’architetto Labate, il compagno della dirigente che da un giorno all’altro si è ritrovato 800mila euro di più senza sapere perché. Le prove indicano che i soldi sono finiti fuori dai conti degli imputati». In realtà, quella non è che una parte delle somme che nel tempo la dirigente del settore Finanza e Tributi, mentre il denaro sottratto sembra essere solo passato dai conti correnti della Fallara noti alla Procura. Ma questo è un mistero che – allo stato – nulla ha a che fare con questo procedimento e cui Labate si guarda bene dal fare accenno. Il suo obiettivo è emancipare la condotta di Scopelliti da quella della dirigente che per anni l’ha accompagnato. Ed è allo scopo che più volte il legale sottolinea che non si può certo sostenere che i due fossero in concorso solo perché erano amici. Una definizione forse riduttiva del rapporto quasi ombelicale che ha legato – almeno finché lo scandalo del buco al Comune di Reggio non è esploso – l’ex sindaco e la potentissima burocrate, che dall’inizio della carriera alla sua morte è stata legata a doppio filo alle avventure politiche e amministrative di Scopelliti, ma che in ogni caso per Labate mai sarebbe tracimato sul piano professionale. Al contrario, dice Labate, ricordando le deposizioni di alcuni dei testimoni, più volte la Fallara sarebbe stata pubblicamente redarguita o sconfessata dall’allora primo cittadino. Allo stesso modo, nella prospettazione della difesa, la dirigente non avrebbe esitato a ingannare con diversi artifici Scopelliti con l’unico e personalissimo fine di arricchirsi. «Cos’è questa se non un’induzione in errore? – chiede il legale, rivolgendosi all’aula –. Si può tradire un amico che si conosce da vent’anni? Questa vicenda dimostra che la risposta è sì». Inoltre, suggerisce – quasi maliziosamente – il legale, gli stessi mandati di pagamento sono stati firmati anche dal «povero Raffa», prima di avviare le necessarie verifiche di legittimità, ma mai è stato indagato o imputato. E ancora – evidenzia Labate, citando diversi testimoni, molti dei quali transitati dallo staff del sindaco a un ruolo in Regione – quei documenti arrivavano sulla scrivania di Scopelliti «a blocchi di 40-50, in triplice copia», dunque in quantità tali da impedire un controllo accurato. Del resto, tanto in questo caso, come – soprattutto, sottolinea il legale – in quello del bilancio «la firma del sindaco sugli atti è solo una questione di rappresentanza verso l’esterno». Per questo, afferma l’avvocato, l’allora sindaco non era tenuto ad accorgersi dell’enorme mole di debiti che covava sotto i fasti del “modello Reggio”, tornando a sottolineare la separazione fra competenze amministrative e politiche. «Per amministrare – afferma Labate – sono necessarie competenze tecniche che la politica spesso o quasi mai ha». Tanto meno è certo che ne conoscesse l’esistenza. A detta del legale – che allo scopo ha tentato di demolire l’attendibilità dei testi d’accusa, come Demetrio Naccari Carlizzi e Seby Romeo, storici avversari politici del governatore, o l’attuale presidente di Confindustria, Andrea Cuzzocrea – non c’era alcun elemento per sostenere che il Comune fosse in difficoltà prima del 2010. Pur ammettendo che «tutte le amministrazioni ereditano dalle precedenti buchi e problemi», per Labate «tutti i testi qualificati hanno confermato che i problemi di cassa non risalivano agli inizi del mandato ma agli anni successivi». Ma – sostiene ancora l’avvocato – pur ammettendo la conoscenza dei fatti, questa non può di per sé può bastare a giustificare il dolo, «perché non è data la prova della conoscenza, in quanto non rientra nei compiti e nelle funzioni del sindaco. Un conto è la conoscenza – conclude – un conto è la conoscibilità». Un gioco di parole arguto ma che non nasconde la sostanza: l’immagine di Scopelliti che emerge dall’arringa difensiva, necessaria per tentare di contrastare una richiesta di condanna a cinque anni di reclusione nonché all’interdizione dai pubblici uffici, è quella di un amministratore catapultato fra le stanze di Palazzo San Giorgio, dove per anni ha abitato senza poter fare nulla di decisivo – perché tutto è nelle mani dei dirigenti – né sapere bene cosa gli stessi dirigenti stessero architettando alle sue spalle. Un ritratto poco edificante e anche radicalmente diverso dalla tuttora decantata squadra di amministratori che ha partorito il “modello Reggio”. Un modello costoso per la città che è oggi è chiamata a pagarne i debiti, ma anche per lo stesso Scopelliti, che l’avvocato del Comune ha chiamato ai danni per 80 milioni. Una facoltà, ricorda in chiusura Labate, che non compete né all’avvocato, né al Tribunale, ma al massimo alla Corte dei conti. Un’ultima staffilata che, assieme agli altri elementi emersi, adesso toccherà al Collegio presieduto da Olga Tarzia valutare.
Il processo è stato aggiornato al prossimo 27 marzo quando si terrà l`arringa difensiva dell`avvocato Nico D`Ascola, l`altro difensore di Scopelliti. (0050)