«La ritrattazione del Nano non è credibile»
«La ritrattazione di Nino Lo Giudice non è libera ma indotta, è nata dalla paura specifica per l’incolumità della propria famiglia». Sono parole pesanti quelle con cui il pm Ronchi decide di affront…

«La ritrattazione di Nino Lo Giudice non è libera ma indotta, è nata dalla paura specifica per l’incolumità della propria famiglia». Sono parole pesanti quelle con cui il pm Ronchi decide di affrontare nel corso della sua lunghissima requisitoria il contributo dei collaboratori di giustizia – sintetizzato in quindici punti, dall’operatività della cosca ai rapporti di Luciano con uomini delle istituzioni, che saranno sviscerati nel corso delle prossime udienze – nel procedimento contro la cosca Lo Giudice. Nonostante le audizioni dei pentiti – primi fra tutti Consolato Villani e Nino Lo Giudice, nell’impostazione della Procura, esponenti di vertice del clan oggi alla sbarra – abbiano occupato larga parte dell’istruttoria dibattimentale, è solo alla quinta udienza che il pm Beatrice Ronchi decide di affrontare l’argomento. Ma prima di entrare nel merito di un tema reso delicato dal controverso percorso collaborativo di quello che prima del 3 giugno scorso era stato il principale teste d’accusa, l’ex collaboratore Nino Lo Giudice, il pm premette «le indagini non valorizzate nel 2008 e divenute dirompenti dal 2010 in poi, non hanno fatto che confermare le dichiarazioni convincenti e logiche dei collaboratori», che si sarebbero rivelati preziosi tanto per decifrare quel “linguaggio criptato” registrato nel corso delle intercettazioni fra i membri del clan, come per «mettere in luce il ruolo di personaggi come Saverio Spadaro Tracuzzi». In ogni caso, sottolinea il pm, «le dichiarazioni di Consolato Villani e Nino Lo Giudice hanno ricevuto fin dal primo momento attestazioni di attendibilità dai giudici che le hanno esaminate, ma in ogni caso nulla di quanto da loro detto è sconvolgente a fronte del materiale probatorio prodotto. Sono altre – vuole evidenziare – le dichiarazioni che a questo pm sembrano non convincenti».
Tutti elementi che però non emancipano la Ronchi dalla necessità di affrontare il nodo Lo Giudice, l’ex collaboratore che nel giugno scorso si è allontanato dalla località protetta dove era detenuto agli arresti domiciliari, facendo perdere le proprie tracce. Una fuga durata circa sei mesi e interrotta solo dall’operazione coordinata dallo Sco di Roma e dalla Squadra Mobile reggina, che il 15 novembre scorso gli hanno nuovamente stretto le manette ai polsi, ma durante la quale il Nano non era rimasto in silenzio. Qualche giorno dopo la sua sparizione e alla fine di agosto, il Nano ha deciso di rompere il silenzio dietro cui si era trincerato con due scottanti memoriali attraverso cui il collaboratore aveva ritrattato tutto quanto in precedenza dichiarato e accusato quella in quei documenti definiva una «cricca di magistrati» – l’ex procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, oggi con lui a Roma, Michele Prestipino, e la sostituto, Beatrice Ronchi – di averne drogato la collaborazione, inducendolo ad «accusare innocenti» e rivelare fatti, circostanze e particolari di cui non era a conoscenza.
«Su questi argomenti ci sono altre autorità giudiziarie competenti ad indagare» afferma decisa il pm Ronchi, che di fronte al tribunale chiarisce «prima del 3 giugno, Nino Lo Giudice si è reso disponibile per numerose udienze a rispondere alle domande delle parti, rendendo proprio in questo dibattimento le deposizioni più complete, che hanno riscontrato perfettamente quanto era stato dichiarato nei 180 giorni, dunque quando parlo di positiva di collaborazione di Lo Giudice mi riferisco a quanto detto prima del 3 giugno». Ma nonostante altri pm e altre procure siano al momento investiti dalle indagini sulla fase successiva, quella relativa alla fuga di Lo Giudice e alle sue ritrattazioni, la Ronchi decide comunque di spendere qualche parola, «ma non mi soffermerò molto – specifica – perché si tratta solo di una goffa, ridicola ritrattazione dei contenuti, in parte eterodiretta».
Affermazioni pesanti che il sostituto della Procura di Bologna – ormai applicata a Reggio solo per la conclusione del processo Lo Giudice – fa sulla base della sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria «che non poteva tenere conto delle prime discovery investigative seguite all’arresto di Lo Giudice,ma ha demolito il memoriale, affermando che le ritrattazioni sono state superate dal materiale probatorio», ma anche su quanto dichiarato dal figlio del Nano, Giuseppe Lo Giudice, che – chiamato a testimoniare in udienza – ha confermato lo stato di terrore in cui viveva il padre nelle settimane precedenti alla sua decisione di sparire. «Non voglio soffermarmi in questa sede sull’argomento perché ci sono indagini in corso – afferma la Ronchi – ma voglio solo dire che si tratta di una causa molto seria perché Nino Lo Giudice è un padrino di `ndrangheta che non ha avuto alcuna paura di rendere dichiarazioni anche sul boss Pasquale Condello». Stando a quanto dichiarato nell’interrogatorio cui è stato sottoposto dopo la sua cattura – ricorda il pm – Lo Giudice avrebbe iniziato a vivere uno stato di terrore dopo il colloquio investigativo cui sarebbe stato sottoposto da Gianfranco Donadio, il sostituto della Dna che da lui avrebbe voluto sapere particolari e dettagli su Giovanni Aiello, l’ex poliziotto che per gli inquirenti di varie procure potrebbe essere un killer di Stato coinvolto in numerosi delitti, dalla fallita strage dell’Addaura all’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo a Scilla. «È da allora – dice il pm, ripercorrendo un passo del memoriale dell’ex collaboratore- che Lo Giudice vive nel terrore». Cosa abbia davvero impaurito Lo Giudice è un mistero destinato a rimanere tale fino a quando «non deciderà di riprendere la collaborazione, la strada della verità». Tuttavia, un’ulteriore chiave di lettura sul controverso percorso di collaborazione del pentito il pm sembra volerla dare, con un lungo accenno «all’indagine della Procura di Roma su un disegno criminoso volto a delegittimare Lo Giudice» che stando fino a quanto fin qui emerso sarebbe passato attraverso quello che la Ronchi definisce «ex ex ex collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco» e il suo avvocato Claudia Conidi. «Dal maggio del 2011 è stata messa in atto un’operazione di progressivo smantellamento dell’attendibilità del pentito Lo Giudice», accusato – sintetizza il pm – da Di Dieco di aver mentito e essere stato parte integrante di un complotto mirato a screditare l’allora ex numero due della Dna, Alberto Cisterna. Una questione su cui la Ronchi, dopo aver elencato gli atti relativi a quell’inchiesta che sono entrati nel dibattimento, non si dilunga di più, ma che vuole chiudere con una domanda inquietante: «Che interesse potevano avere la Conidi e Di Dieco a screditare Nino Lo Giudice?». Una domanda cui altri pm e altre procure dovranno rispondere. (0080)