Atam, il bilancio «è un documento artificioso»
REGGIO CALABRIA «In sostanza, il documento di bilancio ha radicalmente perso la sua natura di rappresentazione fedele della situazione patrimoniale e finanziaria, per trasformarsi in un artificioso d…

REGGIO CALABRIA «In sostanza, il documento di bilancio ha radicalmente perso la sua natura di rappresentazione fedele della situazione patrimoniale e finanziaria, per trasformarsi in un artificioso documento, funzionale a celare le perdite e consentire il costante, fittizio, adeguamento dei dati contabili, al fine di perpetuare una gestione sociale, al di fuori di ogni canone e regola economica e giuridica, implementando – occultamente – le perdite, sino a determinare l’attuale esplosiva situazione di decozione fallimentare». In sintesi, carta straccia. Sono meno dirette ma altrettanto pesanti le parole che i pm Stefano Musolino e Teodoro Catananti usano per descrivere quello che – almeno in teoria – dovrebbe essere il documento principe della contabilità di un’azienda, pubblica o privata che sia, ma che nel caso dell’Atam si è rivelato essere nulla più di un foglio di carta, riempito a piacere. Un documento fasullo, come fasulle sono le cifre appostate, solo ed esclusivamente per coprire quella che gli uomini della Guardia di Finanza hanno definito nella loro informativa «la situazione di irrimediabile insolvenza della Spa». È questa il tragico quadro che ha spinto la Procura reggina che oggi indaga sull’Atam, a presentare istanza di fallimento per la società di trasporto pubblico della città di Reggio , vittima – nell’ipotesi dei pm – dello stesso metodo che ha portato il Comune sull’orlo del dissesto finanziario. Un’ipotesi che sembra affondare solide radici nella parte dell’informativa della Guardia di Finanza, allegata all’istanza presentata dai pm per chiedere il crack della società, dalla quale emergerebbero «clamorose violazioni delle regole vigenti in materia di predisposizione dei bilanci che hanno condotto alla predisposizione di atti sostanzialmente falsi, abilmente e artatamente predisposti, al fine di occultare contabilmente perdite consistenti ( debiti iscritti a bilancio per un ammontare complessivo pari a 26.067.487 euro) che avrebbero imposto immediati interventi».
«Problemi di liquidità? È colpa della Regione»
Quello che si è palesato di fronte ai militari, quando su delega della Procura hanno analizzato i conti della società di trasporto pubblico di Reggio Calabria, è uno scenario devastante in cui gli strutturali problemi di bilancio erano stati per anni occultati – tanto nelle dichiarazioni ufficiali, come nei documenti contabili – con propositi di risanamento di prammatica e pedestri alterazioni dei bilanci. Nel 2012, la situazione di Atam era già grave. Lo sapevano i lavoratori, costretti più volte a scendere in piazza per reclamare gli stipendi arretrati, lo sapevano i rappresentanti istituzionali, a vario titolo impegnati nei tavoli di trattativa, lo sapeva la città, che paziente sopportava i continui scioperi dei mezzi. Neanche gli artifici contabili messi in atto erano infatti riusciti a nascondere la «persistente e grave crisi di liquidità, verrebbe da dire- si legge nella richiesta della Procura – lo strutturale squilibrio finanziario». Ma – ufficialmente – l’azienda per bocca dell’allora amministratore unico Vincenzo Filardo, imputava il problema alla «persistente illiquidità sofferta dall’azienda per mancati accrediti da parte dell’Ente regionale, relativi ad anni precedenti già indicati a chiusura dei bilanci ed al crescere del fabbisogno finanziario determinatosi con la lievitazione di quei costidi gestione che non rientrano nel dominio aziendale (assicurazioni, carburanti, ecc.)». In sintesi – metteva nero su bianco Filardo, quando da Demi Arena aveva “ereditato” la carica di amministratore – la Regione non paga e poi c’è la crisi, i prezzi salgono, i costi aumentano e noi dobbiamo garantire un servizio. Risultato, «l’accumularsi di una notevole esposizione debitoria frutto del conseguente, mancato adempimento, da parte dell’azienda, delle obbligazioni pecuniarie (principalmente di carattere fiscale e previdenziale ma non solo) sorte nell’esercizio dell’attività di impresa». Una situazione grave cristallizzata nei debiti da capogiro candidamente iscritti a bilancio, per un valore di 26.067.487 euro, che aveva spinto lo stesso Filardo a chiedere – pubblicamente e con urgenza- un’operazione di ricapitalizzazione della società e la riscossione dei crediti nei confronti della Regione, al contempo principale committente e principale debitore della società pubblica. Nero su bianco nei conti della società, c’erano circa 29 milioni di euro da riscuotere da diversi soggetti, di cui circa 22 – si affermava – dovevano arrivare da Palazzo Campanella.
Pasticci contabili e manovre tardive
Ma la spiegazione fornita dal management dell’azienda pubblica non ha convinto i militari della Finanza, che ha deciso di andare fino in fondo e verificare se le difficoltà sofferte dall’azienda fossero dovute esclusivamente a un problema di cash flow(flusso di cassa) derivante dal mancato incasso dei crediti vantati nei confronti della Regione, o a un ben più grave problema strutturale. E le sorprese non si sono fatte attendere. «L’esame icto oculi del bilancio – sintetizzano i pm nell’istanza di fallimento – evidenziava scostamenti sensibili nella valutazione di alcune specifiche voci previste all’interno delle diverse classi di cui si compone lo stato patrimoniale». In un anno, dal 2011 al 2012, tutta una serie di voci sembrano infatti come per magia, gonfiarsi o sgonfiarsi a dismisura. Nella classe Immobilizzazioni materiali, ad esempio, se la voce “terreni e fabbricati” è passata dai quasi 5 milioni del 2011 ai poco più di 3,2 del 2012 e la misteriosa voce “altri beni” ha fatto registrare nel medesimo anno una contrazione di quasi due milioni, passando da 17, 8 a 15,6 milioni, mentre in direzione decisamente opposta vanno altre voci presenti nel bilancio dell’Atam. In dodici mesi, il valore di impianti e macchinari passa infatti dai circa 393 mila euro del 2011 ai 2, 3 milioni del 2012, mentre i «crediti verso altri» passano da circa 16,4 milioni di euro a 22 milioni, con un raddoppio dei «crediti esigibili oltre l’esercizio successivo», che passano da circa 4,3 a 8,3 milioni.
Tutte manovre che per gli investigatori prima e gli inquirenti poi hanno un significato chiaro: «L’intero documento di bilancio lasciava supporre l’intenzione di regolarizzare alcune situazioni che nel tempo non avevano trovato corretta rappresentazione e valorizzazione in bilancio. I forti scostamenti registrati nella valutazione di alcune voci parevano infatti volti a sanare, quasi in un moto di resipiscienza, errate impostazioni contabili». Le variazioni nella classe Immobilizzazioni materiali sono – ad esempio, spiegano gli inquirenti – da ascrivere al tentativo di ricollocare nel giusto ambito le autostazioni, «dimenticando» però di aggiornare anche il livello di obsolescenza che il corretto appostamento a bilancio comporta.
Crediti prescritti, autobus indistruttibili e fatture eterne
E medesimo andazzo facevano registrare le voci del conto economico che – si legge nella richiesta dei pm – «sebbene di natura straordinaria, mal si conciliavano con il regolare andamento della gestione che dovrebbe contraddistinguere una società a partecipazione pubblica». La voce «altri proventi straordinari» balzava infatti in un solo anno da poco più di 34 mila euro a 4.428.580 euro, ai quali hanno fatto da contraltare gli altri oneri straordinari passati da poco più di 512 mila a 5.849. 131 euro. Cifre che agli occhi dei non addetti ai lavori potrebbero avere poco o nessun significato ma hanno destato più di una perplessità negli uomini della Finanza, che continuando a scavare hanno anche l’Atam aveva iscritto tra i suoi crediti una fattura emessa nei confronti del Comune di Reggio Calabria nel 2009, per servizi prestati dieci anni prima, così come un credito per imposte anticipate del valore di 700mila euro tondi – che si ripete immutato di bilancio in bil
ancio dal 2010 in poi – da parte di un’azienda che ammette di non aver pagato gli oneri contributivi a causa della nota «illiquidità». Anche in questo caso, per i magistrati, l’intento era solo quello di «ripulire il bilancio da una precedente iscrizione relativa all’acquisto di autobus con relativa contribuzione regionale avvenuto nel lontano 1995». Un’operazione che si è tradotta nel mantenimento tra le immobilizzazioni del valore si acquisto degli autobus, con tanto di Iva, che ha generato un annacquamento del bilancio, derivante però da un attivo inesistente.
Il presidente dei revisori denuncia «crediti regionali inesistenti»
Ma a mettere definitivamente una croce sopra la gestione – quanto meno disordinata – dei bilanci dell’Atam è stato il presidente del Collegio dei revisori Francesco Perrelli, che ai militari della Gdf ha parlato chiaramente di una situazione «sconfortante». Da un lato infatti, ha spiegato il capo dei revisori, «il debito relativo agli omessi versamenti delle ritenute fiscali e previdenziali continua ad accrescersi in ragione degli interessi maturati nel corso delle procedure di riscossione coattiva, dall’altro l’esistenza stessa dei crediti su cui si sostiene il bilancio non solo viene messa in discussione ma negata tout court». A fronte dei 22 milioni di crediti che l’Atam iscrive a bilancio, la Regione ne ha riconosciuti solo 8. Un abisso che per la società di trasporto pubblico reggina significa fallimento. Questi crediti – spiegano i magistrati – per anni sono stati iscritti a bilancio «in assoluto dispregio delle regole contabili e civilistiche che impongono l’iscrizione dei crediti al valore presumibile di realizzazione L’indebita iscrizione ha comportato negli anni una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società che, a sua volta, ha consentito un indebitamento ben maggiore rispetto a quello sostenibile». Una disamina che induce gli inquirenti a una valutazione durissima «il segnalato squilibrio finanziato emerso in termini di mancanza di liquidità non è la causa ma il sintomo di una irregolarità gestionale ben più grave e che nel tempo ha tempo ha finito per riflettersi anche sulla sostenibilità della gestione aziendale». Del resto, fra i crediti inesistenti non ci sono solo quelli che Atam millantava di dover ricevere dalla Regione. Nell’impostazione della Procura, nel prossimo bilancio dovranno essere attualizzati i valori di quelle autostazioni negli anni fatte passare per fabbricati, piuttosto che – come sarebbe stato corretto – per impianti, sottoposti a maggiore ammortamento, dunque a più rapido deprezzamento. Allo stesso modo, dovrà sparire la fattura emessa dall’Atam nel 2009 nei confronti del Comune per un servizio reso dieci anni prima perché quei crediti non sono più esigibili e allo stesso modo dovrà essere rivisto il trattamento contabile riservato all’operazione di acquisto degli “indistruttibili” autobus nel ’95, per i quali nel 2012 non risultava concluso il piano di ammortamento.
Per Atam nessun salvataggio è possibile
Ma questo non è che l’inizio dei problemi della società. «Un intervento del socio volto alla ripatrimonializzazione si rende quanto mai essenziale per le sorti dell’azienda. La possibilità che il Comune di Reggio Calabria intervenga in tal senso appare una soluzione di non facile realizzo». Lo stesso Comune è sull’orlo del crack, quindi – spiegano i magistrati – «anche qualora si dimostrasse intenzionato ad intervenire in soccorso della propria partecipata, risulterebbe decisamente limitato». Non può trasferire alla società degli asset patrimoniali perché «a meno che gli immobili trasferiti non siano produttivi di ingenti flussi di cassa (ma in tal caso non si ritiene che il Comune sia in condizione di privarsene)», la soluzione non sanerebbe «lo stato di patologica illiquidità» dell’azienda e, in ogni caso, il patrimonio acquisito finirebbe nelle mani dei creditori. Non è «verosimile ipotizzare» – aggiungono i pm – che Palazzo San Gorgio intervenga «immettendo nel patrimonio della società risorse finanziarie di cui non dispone», tanto meno che i principali creditori – Inps e Agenzia delle Entrate- accordino la remissione del debito perché relativo ad obbligazioni indisponibili perché connesse a obblighi di legge.
«Tali riflessioni –concludono i pm – fondate non su astratte valutazioni estimative dei dati di bilancio e sulle affermazioni rese in atti dal presidente del Collegio sindacale, inducono a ritenere di difficilissima ideazione e ancor più realizzazione, un piano industriale che possa da un lato, invertire l’andamento gestionale non proprio esaltante degli ultimi anni, dall’altro generare il surplus necessario a onorare i debiti pregressi. Debiti che ammontano a 26.067.487 milioni a fronte di crediti iscritti per 29.190.057 di cui, tuttavia, ben 19 milioni privi di qualsiasi titolo giustificativo».
Quanto è grande il buco di Atam?
Ma il buco si potrebbe allargare perché sono tante, troppe le anomalie riscontrate dalla Finanza e che tutto sembrano meno il risultato di una contabilizzazione distratta. Questo – tuttavia – sarà l’indagine della Procura a stabilirlo. Nel frattempo, sul piatto rimane un’azienda disastrata, in decozione, in cui «le perdite latenti, sino ad oggi nascoste in virtù di una (quanto meno) ottimistica valutazione dei crediti possano portare se non all’annullamento del capitale sociale, alla sua riduzione al di sotto del limite legale. A prescindere dal fatto che, l’ammontare dei debiti pregressi rimarrebbe comunque tale da giudicare negli anni successivi all’eventuale ricostituzione del capitale sociale, la gestione ordinaria dell’impresa». Di fatto, si tratta di una proposta di condanna a morte per la società di trasporto pubblico cittadina, uccisa nel migliore delle ipotesi dall’imperizia dei suoi amministratori i cui nomi – Filardo, Arena – sono iscritti nel registro degli indagati. Un’istanza che adesso toccherà ai giudici valutare. (0030)