"Vecchia guardia", De Raho: «Non c`è stata neanche una denuncia»
REGGIO CALABRIA Non solo le città, i negozi, gli appalti pubblici o privati, piccoli o grandi che siano, anche la terra in Calabria è preda del dominio asfissiante dei clan. È quanto emerso dall’oper…

REGGIO CALABRIA Non solo le città, i negozi, gli appalti pubblici o privati, piccoli o grandi che siano, anche la terra in Calabria è preda del dominio asfissiante dei clan. È quanto emerso dall’operazione “Vecchia guardia”, che questa mattina ha portato all’arresto di tre uomini e tre donne, ritenuti elementi di vertice dei clan Cianci e Zappia, storicamente radicati e tuttora egemoni a San Martino di Taurianova, dove per anni avrebbero imposto la “guardiania” ai terreni di un imprenditore agricolo della zona.
Per ordine del gip, su richiesta del pm Giulia Pantano e dal procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho, in manette sono finiti, il pluripregiudicato Domenico Cianci, ritenuto elemento di spicco dell’omonimo clan, insieme a Vincenzo Giuseppe, Maria, Teresa, Rosetta e Giuseppe Zappia, tutti nipoti di quel “Presidente” Peppe Zappia, cl. 1912, divenuto noto alle cronache giudiziarie per aver presieduto il “summit di Montalto”.
Ma da quella riunione di `ndrangheta interrotta oltre quarant’anni fa dalle forze di polizia – durante la quale proprio Peppe Zappia avrebbe sancito di fatto quel principio di unitarietà delle `ndrine, che solo oggi sembra essere universalmente riconosciuto, affermando: «Qui non c’è più la ’ndrangheta di don Mico Tripodo, qui non c’è la ’ndrangheta di ’Ntoni Macrì, qui non c’è la ’ndrangheta di ’Ntoni Nirta. Siamo tutti la ’ndrangheta», le famiglie che dominano la Calabria non sono cambiate. È per questo che al di là della soddisfazione per l’ennesima fortunata operazione, è con amarezza che Cafiero de Raho afferma: «A distanza di quarant’anni quelli che detengono il potere sono sempre gli stessi. Forse ai calabresi questo non stupisce, ma per chi viene da fuori questo immobilismo è sconvolgente, ma fa comprendere come e perché la `ndrangheta abbia oggi il potere assoluto su queste terre». Un dominio – ricorda il questore Guido Longo – che anche tramite le estorsioni i clan non dimenticano mai di sottolineare tanto nelle città come nelle campagne. A San Martino di Taurianova, prima gli Zappia, dal 2004 al 2009, quindi Cianci, in virtù dei nuovi assetti determinati dal suo rientro in Calabria dopo un periodo di sorveglianza speciale in Emilia, avrebbero regolarmente preteso e riscosso una tangente su quei terreni. «Ma – sottolinea Cafiero de Raho nonostante la condotta estorsiva risalga quanto meno al 2004, non c’è stata alcun tipo di collaborazione, ma ci siamo arrivati grazie alle rivelazioni del collaboratore Antonio Russo, che era stato coinvolto dai clan nell’operazione. Non c’è stata nessuna denuncia, addirittura quando la vittima è stata sentita per la prima volta ha fornito solo una ricostruzione parziale». Un dato significativo per il procuratore, che come più volte in passato, torna a spiegare: «Fin quando si continuerà a mantenere il silenzio, la `ndrangheta sarà forte, quando si comincerà a denunciare la `ndrangheta sparirà come se non fosse mai esistita». Per questo – suggerisce – nonostante la legislazione antimafia sia fra le più “invidiate” in Europa, «è necessario prevedere un reato o qualche altra ipotesi che spinga le vittime a parlare. Le persone offese sono i primi soggetti da tutelare nel corso di indagini e procedimenti, ma anche per spingerle a denunciare». Ma soprattutto – ci tiene a sottolineare il procuratore – è necessario che il no alle `ndrine si radichi nella coscienza. «La `ndrangheta – afferma – prende tutto, occupa tutti gli spazi di libertà economica, ma per molti, anche per molte vittime l’attività estorsiva non viene sentita come un’imposizione, ma come una forma di protezione». Una tassa da pagare per stare tranquilli e non avere problemi, ma che nasconde quell’accettazione sociale che è una delle radici del dominio della `ndrangheta. «La gente – sbotta il procuratore – deve fare i conti con la jattura della `ndrangheta. Si deve dire basta al calare la testa, salvo poi mandare i propri figli a Roma o a Milano perché sfuggano al dominio dell’oppressione mafiosa». Un punto su cui anche il questore non può che essere concorde: «Se tutti collaborassero noi, i carabinieri, la Finanza, di queste operazioni ne potremmo fare un paio al giorno. Ma posto che questa collaborazione alluvionale non c’è ancora, contiamo sulle persone per bene di questa provincia». Un appello probabilmente non casuale. Quello accertato – dice il procuratore Cafiero de Raho – è solo un episodio estorsivo, ma le vittime degli Zappia e dei Cianci potrebbero essere molte di più». E nonostante le più volte sottolineate qualità degli investigatori, «i risultati sono ancora troppo pochi per quello che è la `ndrangheta in questo territorio. La battaglia è ancora lunga, ma questo si deve anche al fatto che la `ndrangheta per lungo tempo è stata in grado di accordarsi con quei pezzi di società che dovrebbero contrastarla. Ma questa è la storia di questa città, di questa provincia». Una storia che per il procuratore capo della Dda deve cambiare. (0050)