PROCESSO FALLARA | Verso la sentenza
REGGIO CALABRIA Sentenza sì o sentenza no? Che ci si annoveri fra i fan del governatore o fra chi l’ha sempre avversato, fra gli esperti di politica o i semplici cittadini, oggi l’attenzione di buona…

REGGIO CALABRIA Sentenza sì o sentenza no? Che ci si annoveri fra i fan del governatore o fra chi l’ha sempre avversato, fra gli esperti di politica o i semplici cittadini, oggi l’attenzione di buona parte dei calabresi sarà puntata sul Tribunale di Reggio Calabria, dove si avvia alle battute finali il processo Fallara, il procedimento che forse più preoccupa – quanto meno nell’immediato – il governatore Giuseppe Scopelliti. A impensierire – e non poco – il presidente della Regione non sono semplicemente le conseguenze penali di un’eventuale condanna – per lui, il pm Sara Ombra ha chiesto cinque anni di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici – ma soprattutto quelle politiche. Qualora il collegio presieduto da Olga Tarzia dovesse infatti ritenere Scopelliti responsabile di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, anche in attesa dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione fino a sentenza definitiva, la legge Severino obbligherebbe il governatore a una sospensione della carica fino a sentenza di appello e per un massimo di 18 mesi. Una panchina obbligata che potrebbe compromettere il presente e il futuro politico del governatore, che nonostante la più volte pubblicamente proclamata serenità riguardo al verdetto, i più dicono dia non pochi segni di nervosismo. Del resto, la sentenza è ormai alle porte.
Dopo decine di udienze, l’escussione di un esercito di testimoni, l’infuocata arringa del pm Sara Ombra e le altrettanto appassionate arringhe dei legali dell’ex sindaco di Reggio Calabria, imputato per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, e dei revisori dei conti dell’epoca, Carmelo Stracuzzi, Domenico D`Amico e Ruggero Alessandro De Medici, alla conclusione dell’istruttoria mancano solo l`arringa difensiva dell’avvocato Nico D’Ascola e le eventuali repliche del pm. Dopo, toccherà ai giudici, nel segreto della camera di consiglio, valutare l’enorme mole di materiale probatorio finito agli atti del procedimento che ha scandagliato l’attività amministrativa del Comune di Reggio Calabria, negli anni dell’implosione del “modello Reggio”. Un modo di amministrare tuttora rivendicato tanto dal centrodestra cittadino e regionale, ma che – stando a quanto accertato i periti incaricati dalla Procura e confermato dal dibattimento – quanto meno dal 2008 al 2010 per sopravvivere a se stesso avrebbe marciato su un bilancio volutamente alterato, divenuto un buco nero in cui sono spariti oltre 87 milioni di euro.
Un’operazione rischiosa, garantita da manovre finanziare complesse, quasi spericolate. Ma necessarie. Per far quadrare i conti. Per rispettare il Patto di stabilità. E quindi poter spendere, assumere, contrarre mutui, pagare consulenze e progettazioni. E accumulare debiti su debiti, che sarebbero stati mascherati abilmente. Medesimo modus operandi fotografato dalla relazione degli ispettori del ministero dell`Economia, secondo i quali – tra il 2006 e il 2010 – dalle casse comunali sono spariti oltre 170 milioni di euro. Una voragine, si legge in quel documento, «approssimata per difetto», perfettamente compatibile con il cratere accertato per il mero biennio 2008-2010.
IL RUOLO DELLA FALLARA
Stando alle ipotesi della Procura,a rendere possibili tali alterazioni sarebbe stata la potentissima ex dirigente del settore Bilancio, Orsola Fallara, accusata non solo di essersi indebitamente liquidata ingenti somme di denaro per aver assunto la difesa dell’ente di fronte alla commissione tributaria, ma anche di avere per anni gonfiato il bilancio e alterato i documenti contabili al fine di rendere possibili spese e contributi insostenibili per le casse del Comune. Ma di questo Orsola Fallara non può più rispondere. La burocrate, che per anni ha avuto in mano le chiavi del tesoro comunale e ha accompagnato Scopelliti fin dagli albori della sua carriera politica, è morta suicida nel dicembre 2010 dopo essersi somministrata una dose letale di acido muriatico.
A bara chiusa, quando lo scandalo dell’enorme debito del Comune è deflagrato, a puntare il dito contro di lei sono stati proprio i suoi amici di sempre. Ma la scomparsa dell`indiziata numero uno, come le prese di distanza dell’ultima ora, non hanno fermato i pm, decisi a chiarire se dietro il tanto decantato “modello Reggio” si nascondesse la condotta illecita di un singolo o un sistema di illegalità diffusa. E più le indagini sono andate a fondo, più gli inquirenti si sono convinti che l`ex dirigente del settore Bilancio non potesse aver fatto tutto da sola, senza che nessuno a Palazzo San Giorgio se ne accorgesse.
LE IRREGOLARITÀ DI BILANCIO
Troppe e troppo evidenti erano infatti le anomalie che i periti incaricati dalla Procura di passare al setaccio i bilanci del Comune di Reggio Calabria hanno riscontrato. Una lunga e variegata lista di «22 irregolarità palesi» e altre alterazioni che vanno dall`iscrizione a bilancio di entrate definite inesistenti nei servizi per conto terzi (oltre 26 milioni di euro) all`omessa contabilizzazione dell`esposizione debitoria verso le società miste cresciuta fino a 41 milioni e 728mila euro. Dal «mancato versamento all`erario dall`anno 2007 fino al 2009 (fenomeno proseguito anche nell`anno 2010 ed accertato solo dopo la sospensione della dirigente Fallara) delle somme trattenute al personale dipendente a titolo di Irpef», alla presunta alterazione «dei residui attivi riportati nei conti consuntivi per la presenza di crediti del tutto fittizi relativi all`Ici ordinaria, a somme già riscosse e trattenute dalla Reges e dai maggiori crediti contabilizzati rispetto a quelli in riscossione tramite la Reges». Ancora, dalla «dolosa omissione della determina di riaccertamento prevista dal regolamento di contabilità allo scopo di occultare un disavanzo di amministrazione e giustificare la previsione di entrate fittizie atte a bilanciare spese previste in bilancio altrimenti insostenibili», alla dissimulazione «dell`abnorme ricorso all`anticipazione di tesoreria che veniva imputata nei consuntivi relativi agli anni 2007, 2008, 2009, anziché al Titolo III della spesa (spesa per rimborso di prestiti) al Titolo IV (spese per conto terzi) allo scopo di far fronte al crescente bisogno di liquidità». E questi non sono che esempi di un bilancio costruito – secondo i periti incaricati dalla Procura – sull`alterazione sistematica di dati, entrate e uscite.
IL QUADRO EMERSO DAL DIBATTIMENTO
E il dibattimento non ha fatto che analizzare un quadro devastante, sintetizzato in fredde cifre dai periti. Udienza dopo udienza, l’esercito di testimoni sfilato di fronte al Tribunale presieduto da Olga Tarzia ha fatto emergere l’immagine di un Comune in balia dei marosi già da molto tempo prima che lo scandalo delle milionarie autoliquidazioni della Fallara divenisse di dominio pubblico. Nonostante le, quasi imbarazzanti, testimonianze dei responsabili politici dell’epoca – l’ex assessore comunale alle Attività produttive, Candeloro Imbalzano, quello alle Politiche sociali, Tilde Minasi, il neosenatore Giovanni Bilardi, l’ex assessore esterno ai Beni culturali e grandi eventi, Francesca Antonia Freno, l’ex responsabile del Turismo, Vincenzo Sidari, l’ex assessore al Patrimonio edilizio, Michele Raso, quello ai Lavori pubblici, Francesco Sarica, l’ex titolare della delega all’Urbanistica, Demetrio Porcino, e persino Rocco La Scala, ex assessore al Bilancio – tutti concordi nell’affermare che fino al 2010 tutto andava bene e nessuno avrebbe avuto il benché minimo sentore degli artifici contabili grazie ai quali era stata creata una voragine nei conti comunali, i testimoni stessi hanno raccontato l’inferno dei creditori, le angherie subite dai dipendenti del Comune, i soprusi patiti dagli altri dirigenti, ma soprattutto quel rapporto fiduciario, quasi simbiotico, che legava la Fallara all’allora sindaco Scopelliti – unico interlocutore della dirigente – in nome del quale qualsiasi diktat dell’allora potente buro
crate sarebbe stato sopportato.
«FIRMAVO ATTI CHE NON LEGGEVO»
«In qualità di sindaco – ha detto per la prima volta ai magistrati che lo interrogavano il 10 marzo del 2011, per poi ripeterlo in maniera più o meno pedissequa di fronte alle folle convocate per ascoltare la sua versione – ho firmato tantissimi atti e preciso che gli stessi mi venivano sottoposti in notevole quantità all`interno di faldoni. Sicché li sottoscrivevo senza leggerne il contenuto, confidando nella responsabilità e professionalità dei colleghi competenti». Una tesi ribadita in maniera fedele al processo che lo vede imputato, di fronte al Tribunale cui ha raccontato che lui – tecnicamente responsabile giuridico e politico di quanto avvenisse dentro Palazzo San Giorgio – negli anni in cui era sindaco, in realtà non avrebbe avuto la benché minima cognizione di quanto concretamente accadesse con il bilancio. Una tesi che adesso toccherà al Collegio vagliare. (0050)