Blitz antidroga in Sicilia, tre finanzieri reggini nei guai
Avrebbero effettuato false attestazioni durante alcuni blitz contro il traffico di stupefacenti, per questo cinque finanzieri in servizio a Catania sono finiti agli arresti domiciliari. Tra loro ci s…

Avrebbero effettuato false attestazioni durante alcuni blitz contro il traffico di stupefacenti, per questo cinque finanzieri in servizio a Catania sono finiti agli arresti domiciliari. Tra loro ci sono anche tre militari calabresi: Gianfranco Corigliano, di 43 anni, di Villa San Giovanni; Santo Marino, di 37 anni, di Reggio Calabria; Antonino Surace, di 52 anni, di Reggio Calabria. Assieme ai tre si aggiungono anche due siciliani Domenico Minuto, di 51 anni, di Catania, e Massimiliano Palermo, di 56 anni, sempre di Catania.
La posizione dei finanzieri è emersa nell`ambito di una più vasta indagine, denominata “Scarface”, sugli affari illeciti del clan Mazzei di Catania. Gli inquirenti hanno comunque chiarito che i cinque finanzieri sono estranei alle vicende dell`associazione mafiosa, le uniche accuse che gli vengono mosse riguardano le presunte false attestazioni e omissioni nel corso di un’operazione antidroga.
Nell`ambito dell`indagine Scarface sono state arrestate in totale 11 persone, compreso il boss Sebastiano Mazzei, figlio di Santo, reggente dell`omonimo clan noto come quello dei “carcagnusi”. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono di intestazione fittizia di beni, estorsione e bancarotta fraudolenta, reato al quale la procura di Catania contesta per la prima volta anche l`aggravante dei metodi mafiosi. Durante l`operazione, denominata `Scarface`, sono stati sequestrati beni per oltre 65 milioni di euro: società di costruzione, ville, magazzini, un lido balneare e una discoteca.
Secondo quanto emerso delle indagini della guardia di finanza di Catania coordinate dalla Dda della Procura etnea i componenti dell`organizzazione mafiosa preposti alla gestione degli affari economici del clan, dopo aver fittiziamente creato, anche nel centro e nel nord Italia, alcune società operanti per lo più nei settori dell`edilizia e delle lavorazioni tessili, intestandone le quote a prestanome. Poi provvedevano all`acquisto di prodotti e materiali per rilevanti importi senza pagare, facendo leva sul potere di intimidazione mafiosa. Ci sarebbero stati episodi di violenze e minacce sia nei confronti di fornitori-creditori sia di clienti ai quali non era stata emessa la fattura fiscale. Il sistema così ideato, operando a monte (acquisti di merce non pagata) e a valle (vendite in nero), realizzava l`illecito arricchimento degli associati e il progressivo depauperamento delle società, fino al loro fallimento. Di questo “sistema” avrebbe fatto parte anche il luogotenente della Finanza Francesco Caccamo, 53 anni, originario di Palermo, accusato di avere dato un «contributo causale all`associazione di stampo mafioso».