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Processo “Leonia”, chiesti 12 anni per l`ex ad Mannucchi

Sono estremamente articolate, ma pesantissime, le richieste di condanna avanzate dal pm Sara Ombra al termine della sua requisitoria al processo con rito abbreviato “Athena 49%”, meglio conosciuto in…

Pubblicato il: 01/04/2014 – 19:59
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Processo “Leonia”, chiesti 12 anni per l`ex ad Mannucchi

Sono estremamente articolate, ma pesantissime, le richieste di condanna avanzate dal pm Sara Ombra al termine della sua requisitoria al processo con rito abbreviato “Athena 49%”, meglio conosciuto in città come procedimento “Leonia”. L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Lombardo, insieme al pm Sara Ombra, ha infatti fatto scattare le manette gli uomini del clan Fontana, accusati di aver messo le mani sulla Leonia (la partecipata del Comune di Reggio) rastrellando per anni tonnellate di finanziamenti pubblici, su mandato della triade De Stefano-Tegano-Condello mentre i lavoratori attendevano invano stipendi mai pagati e le strade della città si riempivano di rifiuti. Un vero e proprio furto ai danni della città, che sarebbe stato possibile grazie a personaggi apparentemente insospettabili come l’ex direttore operativo Bruno De Caria, finito in manette lo scorso ottobre, o l’ad livornese della Ecotherm, Angelo Mannucchi, fino a qualche mese fa socio privato della Leonia.

PENE PESANTISSIME E proprio per quest’ultimo è arrivata oggi una pesantissima richiesta di condanna da parte del pm Ombra, che per lui, accusato di concorso esterno e altri reati, ha chiesto 12 anni di reclusione. Altrettanto pesante è la pena invocata per Roberto Lugarà, uno dei dipendenti della Leonia, cui vengono contestati dodici episodi di truffa – per ciascuno dei quali il pm ha chiesto 8 mesi di reclusione e 200 euro di multa – e due di peculato, per ciascuno dei quali sono stati chiesti 2 anni di reclusione. Tutti episodi indipendenti tra loro, non ascrivibili a un unico disegno criminoso – ha affermato il pm Sara Ombra – quindi non legati dal vincolo della continuazione e da punire singolarmente. Qualora fossero accettate le istanze della pubblica accusa, questo per Lugarà significherebbe una condanna a 12 anni di reclusione, più 2400 euro di multa. Medesimo principio vale per gli altri dipendenti della municipalizzata imputati nel processo. Per Antonio Ursino, che risponde di tre episodi di truffa, la Procura ha chiesto infatti 2 anni di reclusione e 600 euro di multa, mentre per Francesco Minniti, accusato di un singolo episodio di truffa, sono stati chiesti 8 mesi di reclusione e 200 euro di multa.

L’INCHIESTA Pene severe, che toccherà al gup  Minniti vagliare al termine degli interventi difensivi previsti a partire dal prossimo 14 maggio, quando in discussione andrà anche il patteggiamento chiesto da Giuseppe Marrara. Dopo toccherà al giudice esaminare la posizione degli imputati anche alla luce dell’enorme mole di documenti messi agli atti dell’inchiesta che ha svelato come fin dal 2001, i Fontana – storica `ndrina della periferia nord di Reggio Calabria – si fossero fatti strada all`interno della Leonia, gestendo per anni appalti milionari. Grazie a Bruno De Caria – insospettabile testa di legno messa a capo della stessa società – per anni il clan avrebbe avuto saldo in mano quello che gli inquirenti non hanno timore a definire «il controllo strutturale delle imprese impegnate nello specifico settore della raccolta dei rifiuti, tra le quali la società mista pubblico-privata Leonia spa, partecipata al 51% delle azioni dal Comune di Reggio Calabria». Una colonizzazione – sottolineano i magistrati – portata avanti dai vertici decisionali della `ndrina e dai loro compiacenti prestanome, il cui risultato sarebbe stato «un pervasivo potere di condizionamento e controllo di tipo mafioso sul “comparto ambientale” o “comparto rifiuti” di Reggio Calabria». Un potere adesso incrinato dall`indagine lunga e complessa della Dda reggina, che già nel lontano 2001 era stata in grado di documentare l`inserimento della `ndrina dei Fontana nel ricco e lucroso comparto ambientale, attraverso la Semac srl, società alla quale era ed era stata affidata la «manutenzione dei mezzi meccanici» della Leonia. Una pista poi confermata dalle due distinte indagini svolte in parallelo da Gico e Squadra mobile, e confermata dalle straordinariamente coincidenti dichiarazioni di quattro pentiti.

LE PAROLE DEI PENTITI È il lontano 2005, quando Antonio Zavettieri, inizia a parlare della Leonia come “cosa dei Fontana”, ma a gettare luce sui nuovi scenari, sono le dichiarazioni di Roberto Moio, nipote del boss Giovanni Tegano, che a partire dal 2010, di fronte ai magistrati che lo interrogano, dichiara: «Ma veramente i soldi, tutti, tutti i soldi della Leonia, tutti i soldi li prende Giovanni Fontana». Soldi – ha svelato il pentito che poi  verrebbero però distribuiti ai De Stefano, ai Tegano, ai Condello, il triumvirato di `ndrine un tempo nemiche che, all`indomani della seconda guerra di `ndrangheta, ha preso in mano la città. Le stesse cosche che dall’85 al 91 sono state protagoniste di un conflitto che ha visto morire in pochi anni più di settecento persone, proprio sulla gestione dei lucrosi affari che l`era delle privatizzazioni ha inaugurato in città – dicono le inchieste degli ultimi anni –  hanno fondato il nuovo regime di concordia. Un nuovo corso che trova conferma anche nelle dichiarazioni di un terzo pentito, o meglio ex, il controverso ex collaboratore Nino Lo Giudice, che interrogato dai pm reggini sull`argomento non ha alcun dubbio: «A Reggio Calabria centro funziona così, per esempio se si va ad Archi il discorso cambia, ad Archi prendono parte i Condello, i De Stefano e i Tegano. Fontana non prende niente, perché allora hanno deciso che Fontana, questo su volere di Pasquale Condello, Fontana non deve prendere niente».
È un vero e proprio sistema, di cui la “Leonia” non è che un elemento, quello che l’ex pentito Lo Giudice descrive in dettaglio agli inquirenti reggini. E che pochi mesi dopo un altro collaboratore non farà che confermare. «La Leonia spa – racconta Consolato Villani – è totalmente controllata da Giovanni Fontana: doveva versare una tangente a questi e ai suoi figli. Nel 2007, mi disse Nino Lo Giudice che Peppe De Stefano e Pasquale Condello decisero che la tangente doveva essere divisa anche con loro: per questo motivo decisero di danneggiare alcuni mezzi della Leonia. La tangente veniva ricavata gonfiando le richieste di finanziamento che la Leonia faceva: da tali somme veniva ricavata la tangente che veniva versata alla `ndrangheta per il tramite di tale De Caria».

UN IMPERO COSTRUITE SULLE PARTECIPATE Dietro i Fontana, torna dunque l`ombra di quel triumvirato De Stefano- Tegano – Condello , che tutto insieme o come singole cosche,  fa capolino nelle più importanti inchieste di `ndrangheta dell`ultimo decennio. E non solo in Calabria, ma – dimostrano le più recenti indagini – in tutta la penisola. Quelle cosche che in Italia si dimostrano in grado di permeare il tessuto economico, politico e sociale delle realtà in cui si incistano e proliferano, è a Reggio Calabria che hanno la propria base e le radici del proprio dominio. Un impero basato su un regime di concordia che proprio nella gestione del grande affare delle partecipate ha trovato – dicono i magistrati  e confermano le indagini–  terreno fertile per nascere e prosperare. Affari come la Leonia. «Si può ritenere senza tema di smentite – afferma nell’ordinanza di custodia cautelare il Gip Domenico Santoro – come le società miste hanno rappresentato uno dei poli di attenzione della `ndrangheta, finendo con il rivelarsi strumento (l`ennesimo) mediante il quale la criminalità organizzata ha infiltrato (sarebbe meglio, forse, dire l`ha fatta propria) l`economia cittadina. Con la prima aggravante che ciò è avvenuto in un settore, come quello dei servizi pubblici, destinato alla collettività e con l`ulteriore rappresentata dall`incapacità (a voler essere ottimisti) del socio di maggioranza (n.d.r. Comune di Reggio Calabria detentore dl 51% delle azioni della Leonia S,.p.A.) di controllare, nel corso degli anni, cosa accadesse in seno alla società mista». (0080)

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