«Chiesa e `ndrangheta? Manca la coerenza»
«So della lettera e della visita in carcere, ma bisogna andare più in profondità ed essere ancora più integralisti. È determinante capire perché i mafiosi continuano a stare attorno ai preti». Con qu…

«So della lettera e della visita in carcere, ma bisogna andare più in profondità ed essere ancora più integralisti. È determinante capire perché i mafiosi continuano a stare attorno ai preti». Con queste parole del magistrato antimafia si chiude lo scambio radiofonico tra Nicola Gratteri e Salvatore Nunnari, vescovo di Cosenza e presidente della Conferenza episcopale calabra. La chiosa del dialogo è una risposta alla domanda “La Chiesa fa abbastanza nella lotta contro la mafia?”. Ed è una risposta che permea gli ultimi quarant’anni di esternazioni pubbliche dei vescovi calabresi sulla ’ndrangheta. In un certo senso è d’accordo anche Nunnari, che a “Radio Anch’io” dice: «È dal 1975 che scriviamo lettere e messaggi, ma non basta». Il presule lo ricorda prima di sottolineare la recente presenza nelle carceri calabresi, dove ha, appunto, portato la sua lettera e avvertito forte le difficoltà dei detenuti che vogliono riscattarsi. «Uno di loro, nel carcere di Paola, mi ha detto chiaramente che ha paura di uscire, perché sua madre è ai domiciliari e suo padre è in carcere. A chi finirà in mano, una volta libero?». Questo è uno degli snodi essenziali: cosa fanno le comunità per proteggersi dalle ingerenze della ’ndrangheta?
IL “COMPROMESSO” SULLA PROCESSIONE
Proprio una comunità calabrese e un forte simbolo delle proprie tradizioni religiose sono finite al centro delle cronache alla vigilia di Pasqua. L’Affruntata di Sant’Onofrio è diventata un caso nazionale. E la proposta di affidare il trasporto della statua alla Protezione civile per sottrarla al primato delle famiglie mafiose ha stoppato, di fatto, la processione. Nunnari dice di «capire le difficoltà di quel vescovo (si riferisce a Luigi Renzo, ndr), che ha dato segnali forti l’anno scorso, esponendosi in prima persona», poi marca un distinguo rispetto alle decisioni piovute dall’alto: «Non si tratta di imporre, ma di convertire le coscienze. Davanti a quella scelta forte da parte della Prefettura il popolo poteva essere preparato». Niente processione, dunque? Niente affatto, secondo il vescovo si poteva «far portare la statua a un gruppo di volontari più alcuni fedeli scelti dal parroco o dal vescovo».
«MANCA LA COERENZA»
Meno incline ai compromessi l’intervento di Gratteri. Domanda esplicita («Quanto è complice la Chiesa?»), come le risposte. «Ciò che manca in Calabria – esordisce il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria – è la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ho letto tutti i documenti scritti dai vescovi dal ’75 fino a oggi: l’idea che mi sono fatto è che una cosa è la predica, altro è nel concreto come ci si comporta». Il magistrato inserisce nel ragionamento anche l’atteggiamento avuto da alcuni vescovi nei confronti di”Acqua santissima”, il libro che ha dato alle stampe insieme con Antonio Nicaso: «Alcuni hanno cominciato a criticare il libro prima ancora che venisse pubblicato, segno evidente che c’erano dei nervi scoperti. Ma il nostro volume non è un attacco, semmai un atto d’amore. Bisognerebbe chiedersi, piuttosto, perché la Chiesa di Reggio Calabria ha dimenticato i primi due eroi uccisi dalla picciotteria, quando ancora la ‘ndrangheta non esisteva. Era il 1862 e due preti vennero uccisi perché avevano denunciato il boss della loro zona. La diocesi di Reggio Calabria non ha detto neppure una messa in suffragio delle prime due vittime della mafia in Italia». Ci sono eroi, ma anche dimenticanze e omissioni nella storia del rapporto tra Chiesa e clan: «Perché nella chiesa di Annà, a Melito Porto Salvo, c’è una lapide con scritto “Dono della famiglia Iamonte”? Perché nessuno ha avuto il pudore di prendere uno scalpello e toglierla?». Nunnari interviene, chiedendo di non fermarsi agli esempi negativi. E Gratteri replica: «Veramente non ne avevo ancora fatti». E continua: «Don Panizza, per decenni, non è stato creduto dal vescovo di Lamezia Terme. Gli diceva che era fissato con la ‘ndrangheta, però intanto gli sparavano e gli mettevano le bombe davanti casa, perché aveva avuto l’ardire di occupare un palazzo confiscato alla cosca Torcasio, dove non volevano andare neanche le forze dell’ordine». Una lettera, come quelle scritte dal ’75 a oggi: ma «non basta», come dice lo stesso Nunnari.
IL CASO DI DON TOMMASO SCICCHITANO
Gratteri e Nunnari non sono d’accordo neppure sul “piccolo” caso di un sacerdote cosentino. È don Tommaso Scicchitano, che si è fatto conoscere per il suo impegno per l’ambiente e le iniziative a favore della libertà di stampa. Il magistrato reggino svela un particolare. Don Tommaso, che fa parte di Libera, l’associazione che si batte contro le mafie, ha collaborato ad “Acqua santissima” e «per questo motivo – secondo il pm – non è stato accolto bene nella sua diocesi». Una valutazione alla quale il vescovo, che guida proprio quella diocesi, replica stizzito: «Di don Tommaso conosco tutto ed è meglio che non parli perché sono il suo vescovo». (0020)