CASO SCAJOLA | La "fuga" dell`ex parlamentare vicino ai Rosmini
REGGIO CALABRIA Le ultime notizie che si hanno di Amedeo Matacena vengono da Dubai, dove l’ex parlamentare è stato arrestato mesi fa mentre tentava di sottrarsi a una condanna passata in giudicato a…

REGGIO CALABRIA Le ultime notizie che si hanno di Amedeo Matacena vengono da Dubai, dove l’ex parlamentare è stato arrestato mesi fa mentre tentava di sottrarsi a una condanna passata in giudicato a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Un verdetto giunto al termine di un lungo e complesso iter giudiziario durato oltre dodici anni. Coinvolto nella maxi-inchiesta “Olimpia”, che non solo ha scompaginato gli assetti delle maggiori cosche di Reggio, ma ha soprattutto svelato il ruolo della città come laboratorio di oscure trame e connivenze fra `ndrangheta, massoneria, eversione nera e pezzi di Stato, Matacena, condannato in primo grado dal Tribunale di Reggio a 5 anni e 4 mesi di reclusione, nel 2006 era stato assolto dalla Corte d`assise, in seguito all`annullamento della sentenza emessa dal Tribunale. Solo quattro anni dopo il procedimento approderà in secondo grado dove l’ex parlamentare incasserà una nuova assoluzione dalla Corte d’assise d’appello. Una sentenza «illogica» per l`avvocato generale dello Stato, Francesco Scuderi, che aveva fatto ricorso alla Suprema corte, incassando un nuovo annullamento con rinvio in appello, il cui esito darà ragione alla pubblica accusa. Per la Corte d`assise d`appello di Reggio, presieduta da Iside Russo, con Marialuisa Crucitti a latere, Amedeo Matacena è colpevole di aver favorito la cosca Rosmini e per questo da condannare a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Una sentenza resa definitiva dalla Cassazione, che nelle durissime motivazioni depositate lo scorso 14 agosto ha sottolineato: «Evidentemente non si può stringere un “accordo” con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal “pizzo”)».
A decidere di appoggiare Matacena – eletto nelle file di Forza Italia nel 94 e nel 2001, sarebbero stati – scrivono i giudici della Cassazione – i vertici assoluti della cosca nei cui confronti l’ex parlamentare «era in grado di vantare un credito tale che non solo lo avevano esentato dal pagamento del “pizzo” relativo ai lavori che si stavano eseguendo in via Marina di Reggio Calabria, ma addirittura avevano corrisposto – di tasca propria – alle altre cosche consorziate la quota da imputare al Matacena». A inchiodarlo – si ricorda in sentenza – sono le parole del pentito Umberto Munaò, per il quale sarebbe stato lo stesso boss Antonio Rosmini a confessare: «Non possiamo insistere perché a noi ci ha sempre favorito, a noi ci favorisce, ci aiuta se abbiamo bisogno, non possiamo forzarlo a darci i soldi.. cerchiamo di farli uscire in modo diverso».
Per i giudici si tratta di «indizi gravi, precisi e concordanti della serietà e concretezza degli impegni assunti dall’imputato nei confronti del sodalizio criminale per ottenere la sua elezione alla Camera dei deputati nelle elezioni politiche del 1994». Elementi divenuti prove a carico hanno pesato sul destino processuale di Matacena insieme a un’altra vicenda: la folgorante carriera di Giuseppe Aquila, uomo di fiducia dell’ex parlamentare, proiettato da un gramo destino da manovale a bordo dei traghetti Caronte di proprietà della famiglia dell’ex politico, ai comodi uffici della giunta provinciale che era arrivato a presiedere. «Aquila invero – scrivono i giudici – era uomo che faceva parte della famiglia (di sangue e mafiosa) dei Rosmini. E certamente nel circolo criminali del circondario la circostanza non poteva essere ignorata».
GLI ALTRI “GUAI” DI MATACENA
Sono queste le motivazioni della sentenza di condanna emessa dalla Cassazione, cui l’ex parlamentare ha cercato di sottrarsi, rendendosi irreperibile. Ma questo non è l’unico procedimento a carico dell’ex parlamentare di Forza Italia. Quanto meno in primo grado, per i giudici italiani, Amedeo Matacena jr è colpevole di aver corrotto un alto magistrato e per questo da condannare a quattro anni di detenzione. Una vicenda totalmente distinta e successiva all’inchiesta Olimpia 4 – che provato i cordiali rapporti dell’ex deputato con la cosca Rosmini ed è costata a Matacena una condanna definitiva a cinque anni e quattro mesi – ma per l’ex politico ugualmente preoccupante, quanto meno in prospettiva. E non solo perché in caso di conferma della sentenza di primo grado, gli anni di carcere collezionati nei due procedimenti sfiorerebbero il decennio.
TUTTA COLPA DELL’UFFICIO MARITTIMO
I fatti risalgono al 2005, quando – racconta l’inchiesta Mozart – l’ex parlamentare, eletto con il partito di Berlusconi nel 94 e nel 2001, avrebbe deciso di “ammorbidire” l’allora presidente del Tar Calabria, Luigi Passanisi, per ottenere sentenze favorevoli al gruppo Matacena, la Ulisse Shipping e la Amedeus spa, entrambe operanti nel settore del trasporto marittimo. Due società – affermano i giudici in sentenza – che l’ex politico di fatto governava, pur essendo formalmente amministrate rispettivamente all’avvocato Salvatore Riiji e a Giuseppe Praticò, quest’ultimo anche coimputato nel procedimento per corruzione. Ed è proprio in qualità di dominus delle società che Matacena avrebbe fatto di tutto pur di risolvere in proprio favore quel contenzioso che la Amedeus fin dal 2000 aveva con l’Ufficio marittimo di Villa San Giovanni e le Ferrovie dello Stato. «Matacena – sottolineano i giudici – era titolare di una posizione economica in capo alla quale sussisteva un forte interesse ad operare nel settore della navigazione marittima nello Stretto di Messina; interesse frustrato, tuttavia, dall’ostacolo frapposto dall’Ufficio marittimo di Villa San Giovanni, che nel 2000 aveva rigettato l’istanza della società Amadeus spa finalizzata a ottenere l’accosto nell’invasatura “0” del porto di Villa San Giovanni, invasatura utilizzata all’epoca esclusivamente dalle Ferrovie dello Stato e considerata assolutamente necessaria per lo svolgimento dell’attività di traghettamento nello Stretto di Messina, in quanto il porto di Villa San Giovanni costituiva l’unico approdo che consentiva il trasporto di merci e di persone tra la Calabria e la Sicilia in tempi concorrenziali».
LE INTERDITTIVE ANTIMAFIA
Un’autorizzazione contro cui Matacena inizia una lunga battaglia in sede legale, ma che si allontana sempre più dall’orizzonte dell’armatore non solo a causa del no testardo dell’Ufficio marittimo, ma anche perché nel corso degli anni e delle battaglie legali, a complicare ulteriormente la situazione, nel 2004 arrivano due decreti della Prefettura di Roma che attestano un pericolo di condizionamento della società da parte della criminalità organizzata. Interdittive contro cui l’ex politico fa ricorso di fronte al Tar Calabria, all’epoca retto dal giudice Passanisi. «Può affermarsi – si legge in sentenza – che questo è il momento topico che vede intersecarsi le figure di di Matacena Amedeo e di Passanisi Luigi, in quanto in quell’epoca il presidente della Sezione di Reggio Calabria del Tar Calabria era quest’ultimo e tutte le successive fasi della vicenda contenziosa relativa alla richiesta di approdo allo scivolo 0 da parte della Amadeus spa sono state scandite da numerose pronunce dell’Ufficio giudiziario diretto dal citato Passanisi Luigi».
Un personaggio che Matacena avrebbe deciso di avvicinare per ottenere sentenze non solo favorevoli, ma soprattutto in grado di passare indenni anche al vaglio del Consiglio di Stato. Un piano che Matacena non avrebbe portato avanti da solo.
GLI “ABILI MEDIATORI” AL SERVIZIO DI MATACENA
A condurre per l’ex deputato la trattativa sarebbe stato Martino Politi, ex dipendente della segreteria di Matacena nei suoi anni da parlamentare, formalmente dipendente della società Amedeus, ma per i giudici soprattutto un “fedelissimo” dell’ex politico, «lo shadow chief executive office
r” (amministratore delegato ombra) in seno all’organizzazione dell’ente – spiegano i giudici – con il compito di curarne gli affari più importanti e di riferire tutto ciò che accadeva al suo manager effettivo, ossia Matacena». Ed è proprio ascoltando le conversazioni intercorse fra Politi e Matacena tra l’ottobre e il dicembre 2005, che gli investigatori riusciranno a ricostruire l’intera vicenda, così come a identificare i personaggi che hanno permesso all’ex parlamentare di “agganciare” il giudice. «Abile mediatore del pactum sceleris» – per i giudici – sarebbe stato Cesare Giglio che non solo avrebbe avvicinato il giudice, ma avrebbe fatto anche da tramite fra lui e Politi. Un ruolo non nuovo per lui, come lo stesso Giglio non esita a ricordare a Politi, quando uno sgarbo gratuito – un saluto ignorato in aeroporto dal deputato – gli fa saltare i nervi: «Quell’ordinanza del decreto… del Commissario Stranges (fonetico) l’ha fatta perché gliel’ho chiesto io». Incomprensioni che tuttavia non sono d’ostacolo al nuovo incarico, che Giglio avrebbe perseguito con impegno. E successo.
LE CONDIZIONI DI PASSANISI
A riferirlo a Matacena – ascoltato dagli investigatori – è lo stesso Politi, che racconta, riferendo le parole del faccendiere: «Lui mi ha detto che la cosa è molto delicata. È molto più importante dell’altra volta. Lui ha le carte, deve smontare un decreto prefettizio, due decreti prefettizi». Ed è tramite Giglio che Passanisi avrebbe fatto sapere non solo di essere disponibile a un aggiustamento, ma anche a farlo su misura. «Io – afferma il factotum riferendo le parole di Passanisi apprese da Giglio – dovrei emettere una sentenza per dire che non doveva essere chiesta la certificazione Antimafia per l’accosto però non voglio entrare nel merito… mi ha detto a me quella sera, me l’ha detto…”, dice… “…perché voglio che si vada al Consiglio di Stato … però se voi volete.. lui può entrare nel merito».
IL “GARANTE” ALBERTO SARRA
Una disponibilità totale che forse – suggeriscono i giudici – si spiega anche in ragione del «ruolo determinante di intermediario» che nella vicenda avrebbe giocato l’attuale sottosegretario regionale Alberto Sarra, mai indagato, ma la cui posizione è – per decisione del Tribunale del primo grado – oggi al vaglio della Procura. Il sottosegretario – vicino per ammissione dello stesso giudice – a Passanisi, è in ottimi rapporti sia con Cesare Giglio – nel 2006 sosterrà con convinzione la candidatura del figlio Vincenzo alle provinciali – sia con Politi, che a lui ricorre come “garante” degli accordi presi. «Sarra – si legge in sentenza – non solo era stato parte nella trattative ma costituiva la figura di riferimento che accreditava il Matacena nei confronti di Passanisi Luigi, tanto che il Politi ha avvertito l’esigenza di ripetere i termini dell’accordo proprio davanti al Sarra». A indurre i giudici a tali considerazioni sono le conversazioni intercettate fra Politi e Matacena. È infatti lo stesso factotum a riferire «ti devo dire l’incontro con Alberto (…)lui l’altra sera mi ha detto: “Vedi che questi qua voglio mangiare al solito, sappiamo che tipi sono” dice “se tu vuoi, io prendo… vediamo.. i contatti». Allo stesso modo, la presenza del politico – considerato insieme a Giglio dagli inquirenti «il tramite essenziale per far incontrare le volontà di Matacena Amedeo e di Passanisi Luigi» – sarà determinante il 5 ottobre 2005, quando Matacena, concordate con Politi le modalità di pagamento del “disturbo del giudice”, avrebbe ordinato al suo factotum di riferire il tutto a Passanisi tramite Giglio, ma solo alla presenza del Sarra.
DUECENTOMILA EURO PER UNA SENTENZA
Una conversazione che i giudici in sentenza riassumono con malcelato sdegno: «Politi continua a riferire a Matacena ciò che a sua volta aveva appreso da Giglio Cesare, parlando apertis verbis della sentenza da redigere in modo favorevole alla Amadeus spa. Politi riferisce anche che per iniziare il percorso finalizzato all’attuazione del pactum sceleris sarebbe stato necessario oliare il meccanismo mediante una prima tranche di denaro di 20mila euro, necessaria per le spese che Giglio avrebbe dovuto affrontare per recarsi a Roma e per le esigenze di colui che avrebbe dovuto redigere la sentenza (id est, come si vedrà più avanti, Luigi Passanisi)».
Ma quella non sarebbe stata che una prima tranche. Il conto finale per l’ex politico sarebbe stato molto più pesante: 20mila euro subito, 100mila dopo la sentenza favorevole del Tar e altrettanti dopo quella del Consiglio di Stato. Un conto salato per l’ex deputato, che però avrebbe avuto anche la possibilità di confezionarsi una sentenza su misura. «Politi riferisce a Matacena che sarebbe stato addirittura possibile scrivere una bozza della sentenza in questione affinché gli stessi Politi e Matacena (dopo eventuali correzioni da essi proposte) dessero il loro placet prima della sua stesura definitiva e successiva pubblicazione». Condizioni che per Matacena giustificano l’esoso pagamento preteso, di cui però contesta le modalità. «Allora, noi gli possiamo dire – dice Matacena chiacchierando senza timore al telefono con Politi – che possiamo andare incontro così: adesso, proprio… proprio perchè noi abbiamo bisogno… la società non può tirare fuori disponibilità nel momento in cui non ha certezze. Allora, oggi per coprire queste spese, noi gli possiamo dare 5.000,00 euro! Lui si copre le spese, dopodiché alla sentenza del Consiglio di Stato gli diamo altri 95 per coprire i 100.000. Dopodiché, gli altri 100 che lui chiede glieli possiamo dare (…)se voglio dire, abbiamo noleggiato le navi e se ci hanno incominciato a pagare i noli, troviamo il modo di farli uscire, oppure al risarcimento del danno».
Tutte indicazioni che Matacena avrebb dato a Politi, mettendolo in guardia: «Senti, però tu glielo dici a lui, dopodiché questa cosa gliela devi ripetere di fronte ad Alberto, eh? O meglio gliela dici direttamente di fronte ad Alberto».
Tuttavia neanche la garanzia di Alberto, sarebbe bastata a convincere il giudice Passanisi a emettere una sentenza favorevole. Dopo aver scoperto di essere intercettato, l’allora presidente del Tar Calabria – oggi con lo stesso ruolo nelle Marche – avrebbe fatto rapidamente marcia indietro mandando all’aria gli accordi presi. Una ritirata precipitosa, che comunque non lo salverà né dal procedimento penale – durante il quale si è sempre proclamato innocente – né dalla condanna a tre anni e sei mesi, nonché all’immediata risoluzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Un verdetto che se dovesse divenire definitivo, costringerebbe il giudice ad appendere definitivamente la toga al chiodo, ma anche per Matacena potrebbe essere estremamente pesante. (0040)