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Reggono le accuse nei confronti del clan Cordì

LOCRI Incassa lievi riduzioni di pena, ma si vede di fatto confermare le contestazioni a carico Antonio Cordì, figlio del boss Cosimo e figura apicale dell’omonimo clan, al termine del processo d’app…

Pubblicato il: 10/06/2014 – 22:00
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Reggono le accuse nei confronti del clan Cordì

LOCRI Incassa lievi riduzioni di pena, ma si vede di fatto confermare le contestazioni a carico Antonio Cordì, figlio del boss Cosimo e figura apicale dell’omonimo clan, al termine del processo d’appello “Locri è unita”. Per lui, come per Ilario Aversa, i giudici della Corte d’appello reggina hanno disposto una condanna a sei anni e due mesi di reclusione in luogo degli otto in precedenza rimediati, mentre sono sei gli anni di carcere inflitti ad Antonino Caroleo, considerato l’elemento di raccordo fra le cosche di Locri e quelle di Siderno.
I tre sono finiti alla sbarra all’esito dell’inchiesta che ha svelato i nuovi assetti delle ‘ndrine a Locri, soprattutto all’indomani della pace siglata fra Cordì e Cataldo, i clan che per oltre 40 anni hanno – a fasi alterne – insanguinato la zona. Un conflitto così aspro da determinare la temporanea chiusura del locale di Locri, giudicato troppo turbolento e riaperto solo quando le ostilità sono – quanto meno apparentemente – cessate. Un quadro che inquirenti e investigatori hanno tracciato sia grazie alle intercettazioni registrate all`interno della lavanderia Apegreen di Giuseppe Commisso, sia alle dichiarazioni di Domenico Oppedisano, fratellastro del presunto boss Salvatore Cordì, ucciso a Siderno il 31 maggio del 2005.
Un collaboratore importante, che con le sue rivelazioni ha permesso al pm De Bernardo di ricostruire in maniera inedita quel periodo di relativa tregua nella lunga faida fra i Cordì e i Costa. Ai pm, Oppedisano ha infatti dichiarato di aver deciso di collaborare con la giustizia nel momento in cui la sua famiglia gli avrebbe chiesto di testimoniare il falso in favore dei presunti assassini del fratello Salvatore. Una testimonianza necessaria per negare una faida che le ‘ndrine preferiscono gestire fra loro e senza che la magistratura possa utilizzare i fatti di sangue per costringere capi e gregari per lungo tempo dietro le sbarre. (0030)

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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