Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 22:32
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 8 minuti
Cambia colore:
 

CASO SCAJOLA | Chiara «la pasticciona» e la Porsche Cayenne

REGGIO CALABRIA Era preoccupato delle presunta precaria situazione finanziaria di Lady Matacena e indaffarato a trovarle un lavoro che le permettesse di mantenersi «dignitosamente, ma ridimensionando…

Pubblicato il: 12/06/2014 – 11:13
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
CASO SCAJOLA | Chiara «la pasticciona» e la Porsche Cayenne

REGGIO CALABRIA Era preoccupato delle presunta precaria situazione finanziaria di Lady Matacena e indaffarato a trovarle un lavoro che le permettesse di mantenersi «dignitosamente, ma ridimensionando il livello di vita». Un politico tradito dagli uomini del suo stesso partito, e anche da quel «Berlusconi con cui per 20 anni ho vissuto in contiguità». Afferma di non aver fatto «mai affari con nessuno perché non sono capace. L’ultima volta che ho comprato una casa ho combinato un casino, cosa vi devo dire. Io di affari non ne ho mai fatti con nessuno. Poi devo fare affari con i Matacena?».

 

Nessun affare con i Matacena, ma all’ambasciata di Nuova Delhi…

Sembra quasi volersi ridimensionare Claudio Scajola agli occhi dei pm che lo interrogano a pochi giorni dall’arresto chiesto e ottenuto dalla Dda reggina. Per i pm, l’ex ministro avrebbe aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia a sottrarsi a una condanna definitiva per mafia, cercando di assicurargli un comodo rifugio in Libano. E forse non solo. Perché dalle carte sequestrate, come dalle conversazioni intercettate, quello che emerge sembra essere un coinvolgimento molto più profondo di Scajola anche nelle variegate attività economiche dell’imponente galassia societaria dei Matacena, impegnati – rivelano le indagini – non solo nella tradizionale attività di shipping, ma anche in complicati investimenti all’estero che vanno dalle energie rinnovabili alle case prefabbricate. Ed è proprio in questo quadro che per i pm – confortati nelle proprie ipotesi anche dall’enorme mole di materiale rinvenuta a casa della segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, che in sede di interrogatorio ha anche confermato molti dei sospetti dei magistrati – si inserirebbe il ruolo di Scajola, all’epoca dei fatti ancora ministro dello Sviluppo economico. Accuse che Scajola respinge al mittente, affermando che quello di investire in case prefabbricate per i Paesi in via di sviluppo non era che un progetto, di cui Matacena gli aveva parlato anni orsono.
«Amedeo mi aveva parlato di questa cosa dell’India, circa due anni prima. Ma io credo che sulla storia dell’India ci debba essere qualche mia lettera all’ambasciata di Nuova Delhi». La legittima presentazione di un imprenditore che vuole verificare la fattibilità di un affare, secondo Scajola, che sul punto molto altro sembra aver detto, nel corso di un interrogatorio che rimane in larga parte omissato. Eppure il progetto sembra tornare in auge due anni dopo, quando la Rizzo si reca a Bernareggio per quella che Scajola si limita a definire una riunione con «un avvocato per discutere una cosa che poteva portarle qualche utilità». Di quell’affare, nulla Scajola – che non esita ad accompagnarla a Milano nel giorno del suo compleanno, in una giornata per sua stessa ammissione pienissima – dice di sapere. «Le ho fatto praticamente da autista», riferisce quasi indignato ai magistrati, cui spiega: «Capivo che era una donna sola, turbatissima, che si era trovata a scoprire un mondo completamente opposto a quello che lei sapeva, quindi cercavo di assecondarla, cercando di portarla però alle mie conclusioni».

 

“L’angelo” inciampato nella Porsche

Stando a quanto riferito da Scajola, lui avrebbe voluto che la Rizzo si trovasse un lavoro che le garantisse indipendenza e tranquillità – e allo scopo le aveva procurato vari contratti di collaborazione – ma soprattutto la emancipasse dalla pesante ombra del marito. «Le dissi quale era la via che avrebbe dovuto scegliere: il marito sarebbe dovuto venire qua, lei sarebbe potuta andare a trovarlo ogni settimana. Avrebbe sofferto, ma il marito latitante è peggio di un marito in prigione. Io l’avrei aiutata». Ma lo spirito umanitario di Scajola – a suo dire – si sarebbe incrinato quando, nonostante le asserite difficoltà economiche, la donna si sarebbe presentata alla guida di un’auto nuova, una Porsche Cayenne bianca da 80mila euro. «Quando ho visto la Rizzo con la macchina nuova sono rimasto perplesso. Ho chiesto a Stefano di controllare e non poteva, ho chiesto a Michele e non poteva perché la targa era francese – riferisce l’ex ministro, alludendo ai presunti controlli abusivi nelle banche dati delle forze dell’ordine chiesti agli uomini della scorta, che per questo sono finiti sotto procedimento disciplinare – quindi mi sono informato dalla Spino che è una mia conoscenza di Montecarlo. Un paio di giorni dopo so che la macchina, una Porsche Cayenne bianca, è intestata a lei». Eppure Scajola non si sente, né si è mai sentito strumento di Lady Matacena. «Strumento di Chiara Rizzo? No, non credo. Non mi raccontava quasi niente, non mi ha mai detto balle. Ecco piuttosto non diceva, né io ho mai chiesto». Lui, sostiene, era animato solo dalla voglia di rendersi utile per alleviare «la grandissima difficoltà economica di Chiara che mi pareva di arguire». Per questo le avrebbe messo a disposizione anche la sua segretaria per attivare l’assistenza sanitaria per i figli minori che le spettava di diritto come moglie di ex parlamentare – ancorché condannato per via definitiva – e per questo si sarebbe attivato per procurarle collaborazioni, lavoretti, contatti. Almeno fino all’apparizione della nuova, costosissima, auto che in Scajola avrebbe fatto sorgere più di un sospetto. Eppure l’ex ministro non riserva parole di fiele alla «donna intelligente ma un po’ pasticciona» che l’ha fatto finire nei guai. «Se avessi parlato più chiaro non ci sarebbe tutta questa roba qua – afferma, respingendo ogni accusa –, pensavo di non fare niente di male e quindi non avevo preoccupazione col telefono anche se potevo sospettare che lei (Chiara Rizzo, ndr) potesse essere controllata. Usavo un linguaggio che ha creato solo casino».

 

La congiura in Forza Italia

Sono dure invece, le parole e i giudizi che l’ex ministro riserva agli ex colleghi di partito, rei di averlo lasciato al palo, quando – dopo l’assoluzione nel procedimento relativo alla vicenda della casa pagata “a sua insaputa” – avrebbe voluto rilanciarsi con una candidatura al parlamento europeo. Una vicenda che già in principio aveva segnato una frattura con i fedelissimi di Forza Italia, all’epoca ancora inglobata nel Pdl. «Mi sono dimesso appena ho visto i giornali della mia parte politica che mi hanno ammazzato. Ho capito che non ero difeso da nessuno». Ancor prima che l’assoluzione arrivasse, quando il dibattimento ha iniziato a volgersi a favore dell’ex ministro, Scajola ha deciso di presentare il conto. «Andai da Berlusconi e gli dissi: “Il processo sta andando bene”. E lui mi ha detto: “Io te l’ho sempre detto che è prescritto”. E io gli dissi: “Lo credo anche io, ti chiedo però una cosa. Ho bisogno di vedere e di mettermi alla prova per vedere la mia gente cosa pensa di me. Io mi voglio candidare alle europee». Era dicembre. E lui mi dice: “Mi pare giusto”. Gli dico io: “Se prendo una sventrata vuol dire che avevano ragione i tuoi giornali, se invece non prendo una sventrata vuol dire che l’opinione pubblica ha capito. Ed è anche occasione questa campagna elettorale perché se uno alza un dito e dice qualcosa di questa vicenda, posso rispondere”. Berlusconi mi disse di sì. Le liste le ho sempre fatte io quindi non è che ragionavo sulla possibilità che mi facessero il bacino. Parlavamo noi due. Con Berlusconi ho vissuto in contiguità per 15 anni, poi le liste le facevo io. Lui mi disse: “Mi pare una cosa giusta”».
Eppure, nonostante quelle rassicurazioni, per l’ex ministro non arriverà mai alcuna candidatura. E non perché – a suo dire – la sua capacità di raccogliere consensi fosse scemata ma al contrario – sostiene – forse proprio perché era rimasta intatta. «Di fronte a queste elezioni europee, dove Forza Italia si presenta con debolezza, dove vogliono imporre come capolista questo Toti – avrei dovuto vederlo il giorno dopo l’arresto a Milano, avevo un appuntamento con lui e la Gelmini a Milano – perché dovrebbero rischiare che io faccio magari il primo eletto e Toti fa una figura… loro hanno capito prima di me che ero più forte di quanto pensassi io e soprattutto che avevo una capacità di attrazione”.

 

«Berlusconi mi ha scaricato»

Tuttavia, per l’ex ministro la delusione c’è ed è cocente. E riguarda soprattutto l’atteggiamento di Silvio Berlusconi. «Fino all’ultimo giorno non sono andato a pietire niente a nessuno. Ho cercato Berlusconi tre volte al telefono e non mi si è fatto passare. Per vent’anni di fila – dice quasi con astio – gli telefonavo e me lo passavano sempre a qualsiasi ora del giorno e della notte, quando fui prosciolto sul problema della casa, la prima telefonata, appena letto il dispositivo, fu quella di Berlusconi che diceva: “Ho sempre creduto in te”. Mai più riuscito a parlargli. Per questo io volevo andare fino in fondo». Ad animarlo, era «una motivazione politica, anche perché – sottolinea – il parlamento europeo non fa gestione, la gestione la fa la commissione europea con i governi. La facevo io in parte quando ero ministro dello Sviluppo economico perché fra le mie deleghe avevo i fondi strutturali, ma il parlamento europeo…». Ed è quasi incredulo Scajola anche a distanza di mesi dalla “congiura” delle liste, tanto da ripetere ai pm: «Non ipotizzavo che non mi mettessero in lista dopo un’assoluzione. Dopo l’assoluzione, con le motivazioni dell’assoluzione, con tutti quelli che ci sono nelle liste di Forza Italia, potevo immaginare che non mi mettessero in lista? La mia preoccupazione era “mi eleggeranno?”. Saltava il discorso che potessero pensare “non lo vogliamo perché lo abbiamo scaricato”, non arrivavo a pensare questo. La mia delusione era nei confronti di Berlusconi. Non credevo che Berlusconi non mi mettesse in una lista di 21 persone dove eri scelto per le preferenze. Non era il discorso di Matacena, che l’ho dovuto togliere dalla lista perché lo avevano già condannato», si lascia scappare l’ex ministro che da oltre un mese – proprio per colpa di Matacena – è finito dietro le sbarre.

 

a.c.

Argomenti
Categorie collegate

x

x