CROTONE «Caro papà, per colpa mia hai dato la tua vita. Per paura e per vergogna, perché tuo figlio è un pentito». Lo scrive, in una lettera aperta pubblicata oggi dal Quotidiano della Calabria, Carmine Venturino, il collaboratore di giustizia che ha fatto ritrovare i resti del cadavere di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese che venne uccisa a Milano il 24 novembre del 2009 e il cui corpo fu bruciato in un magazzino a Monza, rivolgendosi al padre, Giuseppe, 59 anni, operaio forestale, morto il 6 giugno scorso nell’ospedale di Crotone dopo che il 24 maggio precedente si era impiccato a un albero. La lettera si conclude con un «a presto, papà».
Giuseppe Venturino pare fosse rimasto sconvolto dopo avere visto un’intervista del figlio in televisione il 23 maggio. «Mi hai aspettato in ospedale – scrive Carmine nella lettera – e appena sono arrivato te ne sei andato. Nonostante mi hai detto di non volermi più sentire al telefono quando hai saputo che ho collaborato. Nonostante vi siete fatti sempre negare e nonostante mi hai rinnegato io ti ho sempre portato nel mio cuore e ti porterò sempre con me. Spero che l’Italia sappia che buon uomo eri, onesto e umile. Tutti i pregi del mondo il Signore li aveva donati a te e ora che non ci sei più la mia vita non ha più un senso e spero di rivederti al più presto. A presto, papà».
Quando Carmine Venturino, l’ex fidanzato di Denise, la figlia di Lea Garofalo, decise di collaborare con la giustizia, il padre Giuseppe diffuse una lettera, attraverso il Quotidiano della Calabria, con la quale si dissociava dalla decisione del figlio. Quest’ultimo, sempre con una lettera, gli rispose che non si sentiva un infame e che non aveva calunniato nessuno, avendo solamente detto quanto era a sua conoscenza.
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