REGGIO CALABRIA Non è facile essere Angelino Alfano. Non è da tutti riuscire a barcamenarsi tra un nome proprio con tanto di diminutivo e al tempo stesso mantenere un simulacro di coerenza tra la propria funzione partitica e una carica istituzionale. Alfano, infatti, non ce l’ha fatta. Tralasciando il “tradimento” stile Bruto ai danni del padre putativo Berlusconi – al momento della scissione del Pdl e del consequenziale cambio di casacca con tanto di fondazione di un nuovo partito (Ncd) –, l’attuale ministro dell’Interno ha dato prova di un certo relativismo della ragione soprattutto quando si è trovato a giudicare le cose reggine. Barricadero ed eversivo, prima: moderato, statalista e silente, dopo.
La pronuncia di ieri del Consiglio di Stato – che ha rigettato il ricorso contro lo scioglimento di Palazzo San Giorgio presentato dall’ex sindaco Demi Arena e dagli altri amministratori – conferma la propensione del ministro a una pluralità di vedute. Ecco cosa diceva l’allora segretario del Pdl all’indomani del decreto con cui veniva azzerato il Comune per contiguità con la ‘ndrangheta: il provvedimento del governo «penalizza e condanna un’intera comunità e non rafforza la presenza dello Stato in questa parte di Paese». Una dichiarazione dai chiari toni assolutori nei confronti dell’operato delle giunte vecchie e nuove e soprattutto dell’amico e maggiorente azzurro Peppe Scopelliti, ex sindaco in quel momento ancora governatore della Calabria. Difatti Alfano esprime la sua solidarietà «a tutti quegli amministratori che, col sindaco di Reggio, Demetrio Arena, hanno fatto della trasparenza, della moralità e della legalità, elementi cardine dell’azione politico amministrativa in questi anni. Il Pdl si stringe ancora una volta attorno ai cittadini reggini, consapevole che quanto accaduto, anche in termini di proiezione mediatica, non rende giustizia del grande processo di crescita avuto negli ultimi dieci anni». Una difesa a spada tratta.
Pochi mesi dopo Alfano fa anche di più, e firma di suo pugno la prefazione al libro “La democrazia sospesa”, l’instant book presentato dai parlamentari calabresi del Pdl che aveva il chiaro intento di smontare le tesi che avevano portato allo scioglimento. Alfano verga un pensiero degno della migliore ortodossia scopellitiana: «La finalità di questa pubblicazione risponde alla volontà e all’esigenza di fare luce e chiarezza in merito alle vicende che hanno portato allo scioglimento dell’amministrazione comunale. Nonostante il doveroso rispetto nei confronti delle istituzioni preposte alla decisione, è altrettanto doveroso, in presenza di ragionevoli dubbi e provati elementi in contrasto con questa determinazione, tenerne in considerazione i fattori di rilievo e contribuire con ciò a una operazione di verità». Fin qui la coerenza è salva. Ma poi succede che Alfano diventi ministro dell’Interno e allora la prospettiva cambia. I concetti di bene e male si ribaltano, le prese di posizioni del passato sono archiviate con nonchalance, perché ci si può pure sbagliare nella vita.
Da capo del Viminale, l’ex delfino di Berlusconi deve decidere se prolungare o meno di altri sei mesi lo scioglimento di Palazzo San Giorgio. Opta per la prima risoluzione. Il Consiglio dei ministri – su sua proposta – delibera la proroga, con le elezioni amministrative che slittano all’autunno 2014.
È allora del tutto normale che l’“Alfano ministro” non abbia oggi alcuna intenzione di alzare la voce contro la sentenza del Consiglio di Stato, che mette la parola fine all’intera vicenda. Fosse ancora in vita l’“Alfano segretario” se ne sarebbero viste delle belle. E chissà che instant book, e chissà che recriminazioni.
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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