LAMEZIA TERME Può un messaggio lanciato dalla massima istituzione ecclesiale, per quanto fermo e innovativo, modificare un substrato fatto di decenni di asservimento della Chiesa alla criminalità organizzata? A quella ‘ndrangheta, stigmatizzata con durezza a Cassano da Papa Francesco, che dall’episodio di Oppido Mamertina è uscita, è il caso di dirlo, rinvigorita? L’interrogativo traspare dalle parole che il presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi ha usato durante un’intervista rilasciata oggi al quotidiano “Avvenire”.
Parole che delineano un quadro «grave», a tinte fosche, nel cui ambito classe politica e religiosa calabrese, ma anche i cittadini, sono chiamati non solo all’ordine – dunque a rifuggire da un atteggiamento reverenziale verso la criminalità – ma a non lasciare sola la parte virtuosa di magistratura e forze dell’Ordine che la mafia la combattono.
Due imperativi di non facilissima applicazione, visto l’emblematico episodio di Oppido: «È molto grave e sconcerta – ha riferito la Bindi – però è l’ennesima prova di una realtà che esiste da tanto tempo. La ‘ndrangheta è la mafia più potente proprio perché è quella più capace di confondersi e di rendere complicata la distinzione tra il grano e la zizzania. C’è chi continua a negarlo, ma ora è sempre più evidente. Anche perché – ha proseguito – accanto alle parole del Papa bisogna registrare un comportamento molto fermo da parte dell’espiscopato calabrese, a partire dal suo presidente monsignor Salvatore Nunnari».
Innovare, insomma, rompere con un passato non proprio edificante. «La Chiesa si è fatta usare – sono le parole dure usate dal presidente della Commissione parlamentare antimafia – e quindi non si può pensare che nel giro di qualche giorno tutto cambi. Sarà un lavoro lungo, di semina – ha riferito ancora la Bindi ad “Avvenire” – perché il Papa ha solo indicato una strada che deve intraprendere la Chiesa e tutta la società calabrese. Quello che ha detto per i credenti, vale anche per i cittadini, perché tra Costituzione, cittadinanza e mafia c’è assoluta incompatibilità. Quindi quello che è accaduto nella processione è grave per la Chiesa ma anche per le istituzioni, per la politica e per la cittadinanza».
Tanto da far parlare di una «questione Calabria» che «il governo deve impugnare per fare di questa regione un laboratorio di rilancio economico, di superamento delle grandi ingiustizie sociali e dell’isolamento in cui vive, di pari passo con la lotta forte e determinata nei confronti della ‘ndrangheta». Lotta alla criminalità organizzata che, è il senso di quanto afferma la Bindi, «non è impossibile».
«Per farla in maniera efficace – ha chiosato – serve un impegno fortissimo di sostegno della magistratura e delle forze dell’ordine, e dopo bisogna avere il coraggio, come ha fatto il Papa, di tracciare questa linea tra cittadinanza e mafia che chiama in causa la politica, le professioni, l’imprenditoria. Mi sembra che in Calabria non ci sia una Confindustria che espelle chi paga il pizzo o chi concorre agli affari della ‘ndrangheta».
«La sua forza – ha proseguito – è proprio quella di penetrare ovunque: nella Chiesa, nella pubblica amministrazione, nella politica e nelle imprese. Bisogna rompere questa connivenza silenziosa che dura da troppo tempo», è il monito conclusivo che la Bindi ha lanciato ai vertici istituzionali ed ecclesiali e al mondo dell’imprenditoria.
Zaira Bartucca
redazione@corrierecal.it
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