Per i giudici del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, Roberta Sacco ha un ruolo «ancillare» nella rete che ha permesso all’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena di sottrarsi all’esecuzione di una condanna per mafia. La marginalità del suo ruolo ha indotto il collegio a non ritenere plausibili né il pericolo di fuga né il rischio di inquinamento probatorio, tuttavia il provvedimento con cui il tribunale presieduto da Filippo Leonardo ne ha disposto la scarcerazione la inchioda a pesanti responsabilità. «La Sacco – si legge infatti nelle motivazioni – pur essendo ancillare rispetto alla figura dell’indagato Scajola, tuttavia ha fornito il suo materiale e consapevole contributo nell’assicurare le comunicazioni riservate tra lo Scajola e la Rizzo, nel partecipare i cambi di programma e nell’allestire tutto l’ordito delle cautele che sono state svelate in indagine e che hanno condotto all’emissione del titolo cautelare». E se per i giudici è vero quanto già specificato dal gip Olga Tarzia, che in sede di ordinanza di custodia cautelare ha specificato che «indubbiamente il principale protagonista […] si rivela essere l’ex parlamentare e ministro dell’Interno nonché dello Sviluppo Economico Scajola Claudio, essendo invero, come vedremo appresso le investigazioni particolarmente ricche di riferimenti anche diretti che vedono il predetto in pole position nell’impegno volto all’individuazione di uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione del Matacena o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa», dagli atti si evince una partecipazione piena e consapevole della Sacco al programma criminale che l’ex ministro dell’Interno aveva elaborato con la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. «Si esclude – mettono infatti nero su bianco i giudici – che la stessa ricorrente abbia operato solo nella sua qualità di segretaria dello Scajola e all’insaputa del progetto di garantire la latitanza del Matacena, progetto questo che, come sopra si è potuto apprezzare, richiedeva costante attenzione in merito sia ai canali conoscitivi e influenti da attivare, sia alla necessità che fosse mantenuto il più grande riserbo, posto che i concorrenti nel reato e odierni indagati erano pienamente consapevoli dell’illiceità della loro azione congiunta e coordinata al fine di garantire la latitanza del Matacena ad ogni costo». Una conclusione cui il Tribunale giunge anche esaminando minuziosamente, una per una, le conversazioni intercettate, i pedinamenti e le attività tecniche compendiate nelle innumerevoli informative della Dia. Un’analisi attenta, all’esito della quale i giudici non esiteranno ad affermare che la Sacco «era pienamente al corrente di ogni cosa e funge da chiaro intermediario tra la Rizzo e lo Scajola, nel momento in cui quest’ultimo voglia comunicare con la Rizzo. Non si tratta, infatti, di mere comunicazioni di appuntamenti e non appare che la stessa abbia agito nel rispetto dei limiti della funzione di segretaria svolta». Al contrario, per il Tribunale la Sacco «ha svolto un ruolo necessario per informare la Rizzo dei diversi progressi del piano criminoso e per assicurarne la segretezza». Non a caso sarà proprio la segretaria dell’ex ministro a raccomandare più volte a Lady Matacena come allo stesso Scajola di non affrontare certi argomenti al telefono. Circostanze che per i giudici dimostrano «piena adesione e partecipazione alla condotta criminosa», al pari di quell’incontro fra l’ex ministro e la Rizzo in cui «chiaramente si fa riferimento al trasferimento di fondi all’estero per permettere la permanenza tuori dall’Italia al Matacena, cercando di preservarne il patrimonio», che vedrà la partecipazione anche della Sacco. Una circostanza determinante per i reati contestati alla Sacco.
Alessia Candito
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