La Ferro nasce da una relazione in(Fiammata)Tricolore tra Irene Papas, Michele Tra(S)versa e Tiziano Ferro. Quest’ultimo la battezzerà “Nera relativa”. Al concepimento della piccola, partecipano, in concorso esterno, donna Assunta Almirante ed Enrico Ruggeri che, per lei, scrive “Quello che le donne non dicono”, preconizzando il silenzio impenetrabile di Jole, circa l’investitura di Wandiceddra, quale candidata presidente, al tempo delle elezioni regionali. La nascita della creatura desta l’invidia dei Neripercaso, incredibilmente esclusi dalla finalissima MovimentataSocialeItaliana, in quanto scarsamente definiti, sul piano cromatico. Ferro, sin da subito, evidenzia una particolare idiosincrasia per gli Intillimani e relative lagne cilene, tediose e mortali, alla stregua di nenie silane. Parimenti, detesta le orazioni funebri di Claudio Lolli, nonché i canti degli agrimensori della Val Brembana. La bimba è rock, rockettara e tosta. Preferisce i sapori forti alle svenevolezze caramellose di Liala. Evita, accuratamente, la lettura di Carolina Invernizio e non indugia sulle pagine de “Il lamento aurorale di una suora di clausura abbruzzese”. A dieci anni, prende la tessera dell’Msi, convinta che si tratti del partito di Giorgio Almirante. Toccherà a Michele Trasversa rivelarle l’atroce verità: l’Msi, in realtà, è il partito di Mimmo Tallini. Di qui, la profonda crisi mistica che la indurrà a prendere i voti e a rifugiarsi, presso il Monastero, diretto, nel senso dell’orchestra, dalla Madre Badessa Caporale, eternamente in lotta con un cognome, che avrebbe gradito essere, almeno, Tenente. Wanda, però, non mostra una particolare attitudine per le preghiere. Torna alla vita mondana e impatta in Alleanza nazionale, dove, come castigo divino per la scarsa vocazione monacale, è costretta a sciropparsi le rampogne di Maurizio Gasparri. Sulfureo pronipote della Lupa, sceso in terra calabra per radunare le truppe cameragne. Lei non demorde e si candida. Una, due, tre volte. Nel 2014, è nella rosa dei nomi papabili per Palazzo Alemanni. Il gioco si fa duro. Jole, capo della formazione azzurra, in Calabria, non manifesta soverchio entusiasmo, dal momento che la Ferrata rischia di vincere. E, poi, necessita il rinnovamento: uno sbarbatello incravattato o, al limite, una piccola fiammiferaia, purché venticinquenne, alle prese con l’ostico e kafkiano bilancio di previsione. A quarant’anni e passa, occorre darsi ai piaceri pensionistici. E poi, diciamolo, il peccato d’origine di Wanda, agli occhi di un’altra donna è proprio quello di essere, a sua volta, donna. La magnifica Jole non ha nulla da temere, avendo meritato il ruolo di condottiera. Se così non fosse, dovremmo ritenere che questo è il retaggio di cinquant’anni di glorioso femminismo. L’assalto al cielo, derubricato a piccola cattura della nuvola di cipria. Due Regine di Cuori sono troppe. Il copione non prevede il comprimariato. Quale dolce misoginia! In questo caso, però, i maschietti cattivi non c’entrano una mazza. Carmelo Bene dixit.
*conduttrice della trasmissione televisiva “Perfidia”
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