Restare o andarsene
Restare o andarsene dalla Calabria: hic est busillis, dicevamo tanti, ma davvero tanti anni fa, quando non sapevamo dello shakespeariano: to be or not to be, this is the problem! In molti hanno risol…
Restare o andarsene dalla Calabria: hic est busillis, dicevamo tanti, ma davvero tanti anni fa, quando non sapevamo dello shakespeariano: to be or not to be, this is the problem! In molti hanno risolto l’enigma, rinviando la risposta alla domanda (e alla fine rimanendo). Altri invece, hanno scelto di emigrare, in Italia o all’estero, riuscendo (incredibile) finanche a mettere, tra la città o il paesello d’origine, una barriera di ferro, intesa come off limits, qui non ci tornerò più. In tanti, invece, nonostante l’assillo del posto di lavoro – e non solo –, abbiamo scelto di rimanere, pur avendo trovato occasioni professionali di tutto rispetto da Roma in su. Lo abbiamo fatto per una serie di motivi: l’attaccamento alla terra di origine, la difficoltà di tagliare il cordone ombelicale con i genitori e, infine anche, l’illusione di rimanere in Calabria per dare un contributo, se non al miglioramento, certo al tentativo di non farle peggiorare. E così vi all’impegno socio-culturale, dopo le ore di studio. Azione cattolica, c.t.g.,centro turistico giovanile, associazione studenti. Tutti punti di riferimento non tanto di svago quanto di riflessione sul cosa fare per l’oggi( di allora) ed il domani (che è oggi)! E di cose ne abbiamo fatte. Non molte: i nostri paesi erano piccoli, non sempre si riusciva a trovare una ventina di persone con cui riflettere e proporre. E così ci siamo inventati le gite dentro e fuori regione, il giornalino in ciclostile, i dibattiti con i nostri professori che contribuissero a farci crescere, al di là delle materie scolastiche. Le argomentazioni trattate – scritte o orali che fossero – erano sempre le condizioni di vita e le cose da fare per migliorare il paese, nel nostro stesso interesse che non volevamo passare il tempo con i giochi tipici degli anni sessanta: dai birilli,alle noci, al formaggio da lanciare, alle monetine lanciate in alto a testa o croce! Ed il tempo passava. No, ci siamo detti un gruppo di giovani. Anche questo, ma due giorni alla settimana pensiamo al nostro futuro. C’è chi, a forza di studio e di volontà, è riuscito a vincere qualche battaglia (pur, come vedremo, ha perso la guerra) ed è rimasto. E non con le mani in mano. Professori, ingegneri, giornalisti, geometri: si sono inseriti e,a costo di immancabili ed indispensabili sacrifici, è ancora qui a “tirare la carretta”! Per scelta e non per costrizione,
Oggi non è più così,anche se una sorta di risveglio ideale inizia a manifestarsi. Rinascono circoli, social club, paesi in movimento:tutti con lo scopo dell’impegno nell’interesse comune. Di quanti ci sono e di quanti verranno. Nonostante questo, l’Ipr marketing ha effettuato un sondaggio dal quale è emerso che i calabresi sono delusi e insoddisfatti della qualità della vita ed il futuro lo vedrebbero meglio oltre confine. Settanta calabresi su cento pensano che in Calabria si viva male, mentre poco meno del trenta è soddisfatto della qualità della vita. Solo un misero due per cento ha ritenuto che,rispetto al passato, oggi, dalle nostre parti si viva meglio. Un altro due per cento ha dichiarato che le cose sono peggiorate, negli ultimi tre anni. Che significato attribuire a questi dati? Lo ha detto il direttore di Ipr Marketing, Antonio Noto, conosciuto attraverso le televisioni, per i rilevamenti politici. «Se la percezione della qualità della vita fosse risultata costante,avremmo registrato – ha dichiarato il noto sondaggista – una volontà maggiore di reagire. Chi, invece, riscontra un peggioramento, è più incline alla rassegnazione»!
Il sondaggio si è esteso all’intero Mezzogiorno. La maggioranza assoluta dei calabresi si è detta dell’opinione che nelle altre regioni meridionali si viva meglio che in Calabria (come fanno a saperlo?), eccezione fatta per la Campania, dove,a loro parere, le condizioni di vita tra campani e calabresi sono pressoché uguali. Se,invece, si va oltre Roma, allora sono stati tutti pronti a dire che la nostra Calabria vada bocciata. Ed allora? Rimanere o fare le valigie? Il 64 per cento si è detto,a parole, pronto a partire verso il Nord, mentre il 48 del 64% si è dichiarata pronta ad andare all’estero. E questo, secondo Antonio Noto, non può significare che il nostro Paese, per i calabresi ha perso l’appeal che pure una volta aveva! E naturalmente, il motivo di lasciare la propria terra è tutto da ascrivere alla mancanza di lavoro! C’è stato anche chi azzardato che sarebbe pronto a partire, nell’ordine, per la irrisolta questione dei rifiuti, per la invadenza della criminalità organizzata, il mancato funzionamento della sanità. La corruzione ha fatto capolino, ma solo per il 29% dei calabresi. Insomma, per l’indagine di mercato, non c’è fiducia nella ripresa. Per prossimi anni le cose non potranno cambiare, hanno dichiarato un migliaio di calabresi intervistati dall’istituto Ipr. C’è stato chi ha espresso certezze assolute sulla mancanza della ripresa ma anche chi ha lanciato una “probabile ripresa”. Chi,invece, si è detto assolutamente fiducioso nella ripresa, è arrivato – non male – al trenta per cento.
Nel sondaggio, non c’è stato chi si è assunto responsabilità. La colpa,per come vanno le cose, è sempre degli altri,mai la propria. Solo Giancarlo Costabile – il sondaggio era stato richiesto dai riformisti calabresi – nella sua qualità di pedagogista e docente dell’Università ha invocato la reazione dei calabresi e la necessità di una scossa da parte di politici, scuola, società nel suo complesso. Non si può e non si deve stare con le mani in mano,la manna dal Cielo…. Una sola volta. O no?
*giornalista